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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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La Stampa - Corriere della Sera Rassegna Stampa
19.01.2015 Boko Haram: proseguono le stragi dei terroristi islamici
Cronache di Maurizio Molinari, Alessandra Muglia

Testata:La Stampa - Corriere della Sera
Autore: Maurizio Molinari, Alessandra Muglia
Titolo: «Militari corrotti, rivalità interne: così la Nigeria si è ritrovata sola - Camerun, Boko Haram rapisce 50 bimbi»

Riprendaimo dalla STAMPA di oggi, 19/01/2015, a pag. 5, con il titolo "Militari corrotti, rivalità interne: così la Nigeria si è ritrovata sola", la cronaca di Maurizio Molinari; dal CORRIERE della SERA, a pag. 6, con il titolo "Camerun, Boko Haram rapisce 50 bimbi", la cronaca di Alessandra Muglia.


Terroristi di Boko Haram in Nigeria

Ecco gli articoli:

LA STAMPA - Maurizio Molinari: "Militari corrotti, rivalità interne: così la Nigeria si è ritrovata sola"


Maurizio Molinari

La capacità di Boko Haram di controllare vaste regioni nel Nord-Est della Nigeria, imponendosi attraverso brutali violenze di massa, si spiega con il fallimento degli sforzi militari finora condotti per sconfiggerlo. Dalla formazione nel 2009, Boko Haram ha ucciso oltre cinquemila civili trovando solo una debole resistenza da parte dell’esercito nigeriano. La situazione è mutata a partire da aprile quando gli jihadisti africani hanno rapito 276 ragazze a Chibok, spingendo gli Stati Uniti a inaugurare una cooperazione anti-terrorismo con Abuja, nel tentativo di liberarle, che ha portato anche alla nascita di un patto d’azione militare fra i Paesi del Lago Ciad per tentare di sconfiggere i miliziani di Abubakar Shekau, che a fine agosto hanno proclamato un Califfato islamico sui territori controllati. Ma sia il patto Usa-Nigeria che la cooperazione militare regionale sono andati in frantumi.

Frizioni Usa-Nigeria
Il Pentagono in giugno ha infatti iniziato a consegnare camion ed equipaggiamento - armi leggere - ma sono seguite ripetute frizioni con Abuja perché alcuni militari nigeriani avrebbero commesso «violenze contro i civili» adoperando proprio gli equipaggiamento «made in Usa». Ne sono seguiti mesi di fibrillazioni fra i due governi, che hanno portato Washington prima a sospendere i sorvoli dei droni per cercare le ragazze rapite, poi ad annullare la consegna di elicotteri Cobra e infine a sospendere l’addestramento di un battaglione anti-terrorismo nel quartier generale dell’esercito a Abuja. L’ambasciatore nigeriano a Washington, Ade Adefuye, ha protestato con la Casa Bianca affermando che «sono stati terroristi di Boko Haram con divise dell’esercito a compiere le violenze contro i civili» e che il blocco della fornitura dei Cobra ha arrecato un «grave danno».
Ma l’amministrazione Obama ha aumentato la pressione, fino a contestare al presidente Goodluck Jonathan «politiche che hanno alienato la popolazione musulmana nel Nord» giocando a favore di Boko Haram. Da qui la decisione del Segretario di Stato John Kerry di aprire in tempi stretti un Consolato Usa a Kano per «cercare il dialogo con i musulmani nigeriani» perché «Boko Haram è un problema che non ha solo una soluzione militare».

Vicini in disarmo
Arenatasi l’intesa con gli Usa, l’iniziativa militare è passata a Camerun, Niger e Ciad ovvero gli altri tre Paesi che con la Nigeria si affacciano sul Lago Ciad: accomunati dal timore di contagi jihadisti da parte di Boko Haram, hanno concordato la creazione di un contingente congiunto da inviare in una base nigeriana nella regione di Baga per operazioni di anti-terrorismo.
Ma Abubakar Shekau li ha presi in contropiede, lanciando il 3 gennaio la sanguinosa operazione che da un lato ha espugnato la base e dell’altro ha fatto scempio delle popolazioni locali, causando oltre duemila vittime con una pulizia etnica tesa a consolidare il controllo dell’accesso proprio sul Lago Ciad. La contromossa di Camerun e Ciad è stata posizionare truppe nazionali attorno al lago per prevenire infiltrazioni ma ciò implica mano libera per Boko Haram nella Nigeria del Nord-Est, tantopiù che Abuja va incontro a elezioni politiche in febbraio e ciò impedisce al presidente Jonathan di pianificare vaste operazioni militari.
Da qui l’iniziativa del presidente del Ghana, John Mahama, di proporre questa settimane alle 15 nazioni dell’Africa Occidentale di creare un contingente Ecowas, simile a quello impegnato in Darfur, per chiedere al Consiglio di Sicurezza dell’Onu un mandato di intervento contro Boko Haram. «Da soli i nigeriani non ce la fanno e neanche il Camerun da può bastare, dobbiamo muoverci assieme» sostiene Mahama, appoggiato dall’ex Segretario generale dell’Onu Kofi Annan.

Il sostegno francese
La Francia si è detta pronta a «sostenere una missione Ecowas» con messaggi dell’Eliseo ad Accra nei quali si ipotizza l’invio di armi, equipaggiamento e forse truppe speciali. Anche Mosca mostra interesse e Nikolay Ratsiborinski, ambasciatore in Ghana, promette «armi e assistenza umanitaria». Tace invece Washington, a dimostrazione dell’impasse con Abuja. E nell’esitazione generale, Boko Haram continua a colpire.

CORRIERE della SERA - Alessandra Muglia: "Camerun, Boko Haram rapisce 50 bimbi"


Terroristi di Boko Haram

Questa volta hanno trovato i soldati a sbarrargli la strada. Ma dopo due ore di scontro a fuoco i miliziani islamici di Boko Haram hanno avuto campo libero e hanno ridotto il villaggio di Mabass, nel Camerun, al confine con la Nigeria, a un cumulo di macerie con case saccheggiate e bruciate, molti abitanti brutalmente sequestrati. Un’ottantina di persone sarebbero state rapite, per lo più donne e bambini. Piccoli magari da indottrinare e arruolare per farsi saltare in aria, kamikaze spesso inconsapevoli, come accaduto appena una settimana fa prima nel mercato della città nigeriana di Maiduguri, nello Stato nordorientale del Borno e poi ancora tra le bancarelle di telefonini di Potiskum, nel vicino Stato di Yobe. La stessa cittadina funestata ieri da un altro attentato che ha fatto quattro morti. Se l’orrore in Nigeria è diventato drammaticamente ordinario (il presidente Jonathan non ha sprecato nemmeno una parola dopo il massacro nella cittadina di Baga, sul lago Ciad: a distanza di quasi due settimane il bilancio dei morti — stimato tra poche centinaia e duemila — resta ancora affidato a resoconti non ufficiali e a immagini satellitari), in Camerun la reazione è stata immediata, non solo dal punto di vista militare: «E’ il più grande sequestro di persone mai effettuato nel Paese» ha denunciato il ministro dell’Informazione camerunese, Issa Tchiroma Bakary, confermando che 50 dei rapiti sono bambini. Se c’era bisogno di un attacco in grande stile per accreditare i Boko Haram come minaccia regionale, è arrivato. E il momento non è casuale: proprio ieri sono iniziate ad arrivare in Camerun le truppe inviate dal vicino Ciad per far fronte all’offensiva del gruppo fondamentalista. Iniziativa resa pubblica dallo stesso presidente camerunense Paul Biya che nei giorni scorsi aveva annunciato l’arrivo di un «importante contingente» dal Ciad a sostegno dell’esercito del Camerun contro l’offensiva islamista. Lo stesso Biya qualche giorno prima era stato minacciato dal capo di Boko Haram, Aboubakar Shekau, in un lungo messaggio video diffuso su YouTube. Le alleanze fanno paura ai miliziani integralisti che puntano a creare nell’area intorno al lago Ciad, tra Nigeria, Niger, Camerun e Ciad, un califfato simile a quello dell’Isis in Iraq. Finora i tentativi di dar vita a una risposta congiunta sono naufragati. Non ce l’ha fatta neppure il presidente francese Hollande che lo scorso aprile aveva convocato un summit anti Boko Haram per richiamare i leader della regione alle loro responsabilità e mettere a punto «una risposta globale» che non è mai decollata. Mentre alla marcia di Parigi dopo la strage di Charlie , Jonathan ha brillato per assenza, preso com’è dalla sua campagna per le presidenziali (con #BringBackGoodluck2015 ha avuto la faccia tosta di parafrasare l’hashtag delle ragazze rapite senza portarle a casa). In settimana il progetto di una forza multinazionale è atteso sul tavolo dell’Unione Africana. Ma i tempi non saranno brevi. Intanto un po’ di pressione internazionale per smuovere le autorità nigeriane potrebbe aiutare.

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