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Il Foglio Rassegna Stampa
21.12.2023 Iran: Samira impiccata all’alba
Analisi di Paola Peduzzi

Testata: Il Foglio
Data: 21 dicembre 2023
Pagina: 1
Autore: Paola Peduzzi
Titolo: «Samira Sabzian, impiccata all’alba»
Riprendiamo dal FOGLIO  di oggi, 21/12/2023, a pag. 1, con il titolo "Samira Sabzian, impiccata all’alba", l'analisi di Paola Peduzzi.
Paola Peduzzi
Paola Peduzzi
Samira Sabzian, sposa bambina e impiccata ieri

Milano. Samira Sabzian è stata giustiziata ieri mattina nella prigione di Ghezel Hesar, a una ventina di chilometri da Teheran. Poco più che trentenne, era in carcere dal 2013 accusata di omicidio: aveva ucciso suo marito, che era stata costretta a sposare quando aveva quindici anni. Nei sette anni di matrimonio, aveva messo al mondo due bambini e aveva vissuto nella violenza e nella reclusione, botte e lividi e silenzi, cosa che non aveva destato né scandalo né denuncia perché la moglie, la donna – ancorché ragazzina: la legge nella Repubblica islamica prevede il matrimonio dai 13 anni per le ragazze e dai 15 anni per i ragazzi – non ha diritti nella coppia, è proprietà del marito che può disporne a suo piacimento. Così faceva il marito di Samira, ne disponeva, e lei, sembra con l’aiuto della sorella, ha infine deciso di ucciderlo, non avendo alternative e non avendo nemmeno troppa speranza nella possibilità di sopravvivere alla giustizia impietosa del regime iraniano. Morire di botte in casa o morire impiccata dopo la reclusione: Samira ha scelto la seconda, confidando forse in un ammorbidimento nel regime o nelle pressioni internazionali o nella possibilità del popolo iraniano di liberarsi di questa cappa di repressione violenta. Sono successe molte cose da quando Samira è entrata in prigione, dieci anni fa, ma nulla è servito a salvarla.

La condanna era prevista per il 13 dicembre: Samira aveva sperato fino all’ultimo nella grazia dei genitori del marito, i suoceri che, loro soltanto, avrebbero potuto dire: no, non uccidetela. La grazia non era arrivata, così lei aveva infine chiesto di vedere i suoi due figli, ormai grandi, che non aveva mai più incontrato dopo l’arresto e la condanna per dimostrare ai suoi suoceri che, se fosse sopravvissuta alla giustizia capitale, non avrebbe interferito nelle loro vite. Li ha visti per poco tempo, per la prima e ultima volta in dieci anni. Le ong che hanno segnalato la sua esecuzione imminente e che hanno chiesto ai governi e alla società civile internazionale di fare rumore perché il regime agisce più spietato quando c’è il silenzio, hanno raccontato che, nell’ultimo mese in isolamento, Samira ha perso l’uso della parola e l’uso delle gambe: è tornata su una sedia a rotelle. La storia di Samira si intreccia con quella del regime e con la nostra. Nel 2013, la Repubblica islamica ha eletto un presidente che era considerato meno falco degli altri, Hassan Rohani, con il quale l’occidente ha negoziato l’accordo sul programma nucleare iraniano, che oltre a introdurre dei controlli sullo sviluppo dell’arricchimento dell’uranio avrebbe dovuto favorire una nuova apertura per gli iraniani, e quindi sollevare la cappa repressiva del regime. L’obiettivo umanitario era andato di pari passo con quello di sicurezza, ma entrambi sono falliti: i controllori internazionali non possono visitare liberamente i siti nucleari e le condizioni di vita degli iraniani, economiche e sociali, non sono affatto migliorate. Nel frattempo è stato eletto un presidente falco ancorché abbastanza sconosciuto, Ebrahim Raisi, che ha riacceso l’ostilità nei confronti dell’occidente, che aiuta la Russia a uccidere gli ucraini con i suoi droni killer, che ha aspettato paziente (ma non per questo meno brutale) che scemasse il sostegno internazionale alla straordinaria rivolta guidata dalle donne dopo l’uccisione di Mahsa Amini perché malvelata – ma partecipata dai padri, dai fratelli, dai mariti che non considerano le donne di loro proprietà e che vogliono che possano scegliere di non indossare il velo così come vogliono scardinare un diritto di famiglia che prevede che la polizia riporti a casa la donna che si presenta denunciando abusi domestici. Tutte le organizzazioni e gli attivisti che si occupano di Iran dicono: appena crolla l’attenzione internazionale, gli iraniani muoiono un po’ di più. C’è un nesso diretto tra la nostra distrazione e la brutalità del regime che quest’anno ha fatto più di 700 esecuzioni tra cui almeno 17 sono donne. Di Samira c’è solo una foto che gira assieme alla dicitura “sposa bambina”: non ci sono ancora i segni di dieci anni passati nelle galere dell’Iran, dopo sette anni con un marito violento, ma non c’è nulla di una sposa né di una bambina.

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