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La Stampa Rassegna Stampa
26.04.2024 Trump: attivisti anti-Israele peggio dei nazisti
Analisi di Alberto Simoni

Testata: La Stampa
Data: 26 aprile 2024
Pagina: 8
Autore: Alberto Simoni
Titolo: «La rivolta per Gaza dilaga in tutti i campus Usa. Trump: attivisti anti-Israele peggio dei nazisti»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 26/04/2024, a pag. 8, con il titolo "La rivolta per Gaza dilaga in tutti i campus Usa. Trump: attivisti anti-Israele peggio dei nazisti" l'analisi di Alberto Simoni.

Alberto Simoni - US CORRESPONDENT - La Stampa | LinkedIn
Alberto Simoni
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Ci sono i cartelli e gli slogan, appelli nel megafono e le tende colorate, anche gli studenti della George Washington University occupano il cortile e erigono un accampamento Tutto in regola purché entro le 19 (l'1 di notte italiana) le tende lascino il posto al prato. Il Dipartimento di Stato è a due passi, con gli studenti della Gwu diplomatici e funzionari condividono spesso locali, bar, ristoranti del Western Market. A loro anche si rivolgono – nemmeno simbolicamente – quando i ragazzi, qualcuno con la kefiah, altri a mostrare bandiere palestinesi, chiedono che la loro università la smetta di prendere soldi da società produttrici di armi. La richiesta si è fatta ancora più forte quando martedì sera il Senato ha dato il via libera a 26 miliardi di dollari di aiuti per la difesa di Israele. La protesta nei campus dilaga, oltre 32 college da una costa all'altra e nel Midwest e nel Sud sono luoghi di protesta. E di scontri. Mercoledì la polizia texana ha sgomberato il campus di Austin; gli agenti di Los Angeles sono intervenuti alla Usc; all'Emerson college di Boston ci sono stati 100 arresti e 45 a Princeton in New Jersey. Ieri pomeriggio è esplosa la tensione anche ad Atlanta, sono stati sparati fumogeni. Alla Emery sono stati arrestati anche due professori. Alla Northwestern, nei pressi di Chicago, i ragazzi ieri hanno organizzato un presidio in cui hanno chiesto che la scuola protegga i relatori pro-Palestina e interrompa i legami con Israele. Tensioni al City College di New York – pronto lo sgombero – e alla Northeastern University di Boston. Solo stanotte, invece, si scoprirà il destino dei manifestanti di Columbia, lo sgombero è stato posticipato di 48 ore, alle 4 del mattino quando in Italia saranno le dieci: un'intesa su come e dove continuare la protesta dovrà essere raggiunta. L'università ha già provato a spegnere con la forza la protesta il 18 aprile quando la presidente Minouche Shafik ha invitato la polizia di New York ad agire causando la rivolta di studenti e gran parte dei professori. La Casa Bianca segue ma non interviene. La portavoce del presidente Karine Jean-Pierre ha detto mercoledì che le proteste «devono essere pacifiche» e che nel Paese «non c'è spazio per l'odio, l'antisemitismo, l'islamofobia». Josh Hawley senatore del Missouri chiede la Guardia Nazionale e parlando dalla scalinata della Columbia mercoledì l'ipotesi l'ha evocata anche Mike Johnson, fra applausi e sonori fischi e insulti. «Tocca ai governatori schierarla», la replica della Casa Bianca che, però, sente che dai campus arriva una minaccia seria alla tenuta del Paese e al consenso elettorale di Biden. Si sta assottigliando – causa crisi a Gaza – quello dei giovani, e pure certi donatori minacciano di andarsene. Bill Ackman, fondatore di Pershing Square Capital Management, ieri ha scritto su X di non escludere un voto per Trump. L'altra notizia negativa per il presidente viene da un sondaggio di Bloomberg: il 56% degli elettori negli Stati chiave (sono 7) è contrario all'invio di armi ad Israele. Donald Trump prova a far suo il tema. Su Truth ha rievocato la manifestazione di suprematisti bianchi di Charlottesville nel 2017, morì una ragazza investita da un'auto. Allora Trump disse: «Ci sono persone perbene da entrambe le parti». Ieri, invece, le parole del tycoon: «Charlottesville sono noccioline rispetto a quel che accade nei campus». Biden e Trump si sono trovati nel pomeriggio a poche miglia di distanza, il primo è arrivato a New York per un evento elettorale; il secondo è bloccato in città per il processo Stormy Daniels. Con lo sguardo, però, puntato a Washington. La Corte Suprema ieri ha ascoltato le argomentazioni di accusa e difesa sull'immunità per Trump. Non deciderà prima di fine giugno, e già questo è motivo per ritenere che i processi in cui il tycoon è implicato (caso documenti a Mar-a-Lago e la Georgia sono quelli direttamente coinvolti) slitteranno ancora. La Corte è sembrata spaccata, non disposta ad accogliere in toto le ragioni di Donald. Il quale sostiene che senza immunità il «ruolo di presidente si riduce a quello di cerimoniere», ha detto da New York. Tre giudici sono inclini ad appoggiare Trump, altri tre no, i tre in mezzo non hanno mostrato alcuna inclinazione. Si va verso una distinzione fra atti ufficiali e atti privati svolti durante la presidenza. Chi deciderà quali rientrano sotto una categoria o l'altra saranno – e questo è il compromesso verso il quale la Corte sembra muoversi – i tribunali di grado inferiore. Magari in estate. Tardi per una sentenza prima del 5 novembre. Per Trump una buona notizia.

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