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La Stampa Rassegna Stampa
11.11.2023 L’ira dei prof cancella la Storia
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 11 novembre 2023
Pagina: 29
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «L’ira dei prof cancella la Storia»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 11/11/2023, a pag.29, con il titolo "L’ira dei prof cancella la Storia" il commento di Elena Loewenthal.

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È tutto così insensato e assurdo eppure terribilmente prevedibile, l'ennesima replica di un copione che non ammette ritocchi, ripensamenti, correzioni di rotta. Dopo l'appello unilaterale per un cessate il fuoco a Gaza lanciato la settimana scorsa dall'Università di Bologna (e respinto dal rettore), ora quattromila professori e ricercatori di svariati atenei italiani firmano una petizione per arrestare il "genocidio" e chiedono alle loro università di «interrompere la collaborazione con le università e i centri di ricerca in Israele». In una spiccia disamina storica del tutto fuorviante, chiamano in causa l'«oppressione storica, disumana e coloniale che i palestinesi stanno vivendo da 75 anni», negando per rapido sillogismo ogni diritto all'esistenza dello stato d'Israele, nato per l'appunto 75 anni fa a seguito di una risoluzione delle Nazioni Unite nel novembre del 1947 che prevedeva la nascita di due stati palestinesi – uno ebraico e uno arabo. Lo stesso principio che ha portato il sette ottobre scorso centinaia di terroristi a fare strage in Israele, e – non ci stancheremo mai di ripeterlo anche se per lo più a orecchie che non vogliono ascoltare l'evidenza – non nei territori occupati e contesi a seguito della guerra del 1967, bensì dentro i confini sanciti e definiti dalle Nazioni Unite. Il conflitto fra lo stato ebraico/palestinese, sorto nel 1948 perché gli ebrei accolsero la risoluzione e uno stato arabo/palestinese che nessuno ha creato perché il fronte arabo respinse sdegnosamente la spartizione, è complesso e tormentoso. Ma la semplificazione è comoda: ci sono i cattivi da una parte e i buoni dall'altra. E poi c'è qualcosa di molto chiaro, onnipresente e devastante: il principio della negazione del "nemico" (o "vicino di casa" a seconda della prospettiva). Israele è una entità innominabile (sono i "sionisti", che fra parentesi non è affatto un insulto ma l'adesione a un movimento di emancipazione nazionale), un corpo estraneo che nella percezione purtroppo di gran parte di quel mondo cosiddetto "progressista" (il virgolettato è d'obbligo), se sparisse dalla faccia della terra e del Medio Oriente porterebbe all'istante la soluzione di tutto. Questa negazione porta con sé una serie di conseguenze per lo più terribili ma a volte cariche financo di un pizzico di ridicolo, come quest'ultimo appello a interrompere ogni contatto con le università israeliane. A che pro, se non per ribadire che Israele è nemico a prescindere, è il nemico che si può e si deve combattere negando, boicottando, relegandolo in un angolo cieco della storia e del presente, come se non ci fosse perché in fondo non ha il diritto di esistere? Non esiste altro paese il cui diritto di esistenza, seppur sancito dalle Nazioni Unite, è condizionato al giudizio su come il suo governo, il suo esercito, il suo popolo, i suoi accademici si comportano. Parlare di oppressione dei palestinesi negli ultimi 75 anni, cioè lungo la storia d'Israele a partire dalla sua fondazione, non significa altro che negarne la legittimità a priori e fare un torto non soltanto allo stato ebraico ma anche a ogni ragionevolezza, all'evidenza della storia e alla drammaticità di questo presente.

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