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La Stampa Rassegna Stampa
12.04.2023 Addio Meir Shalev
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 12 aprile 2023
Pagina: 29
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Addio allo scrittore Meir Shalev che amava la musica delle parole»

Riprendiamo da La Stampa di oggi, 12/04/2023, a pag.29, con il titolo "Addio allo scrittore Meir Shalev che amava la musica delle parole" il commento di Elena Loewenthal.

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Elena Loewenthal

Meir Shalev, beloved writer of fiction and complicated Israeli lives, dies  at 74 | The Times of Israel
Meir Shalev

Aveva un orecchio assoluto per la musica delle parole, Meir Shalev. Adorava vederle scritte sulla pagina e ascoltarle, nella sua e nelle altre lingue. Era la prima cosa che chiedeva delle sue traduzioni: ascoltare la musica delle parole, e di lì estrarre sensazioni, significati. Con lui se ne va un altro dei grandi scrittori israeliani che possiamo e dobbiamo definire classici per quanto siano contemporanei, nati più o meno insieme allo stato ebraico. Classici perché diventati un modello, una sorta di canone in cui riconoscersi e da amare. Di Israele Meir Shalev, che ci ha lasciati ieri nel cuore della Pasqua ebraica – che è anche festa della primavera e di quella natura che lui tanto amava – era proprio coetaneo, nato due mesi e qualche giorno dopo la dichiarazione d'Indipendenza, il 14 maggio del 1948. Ma la sua appartenenza non è un puro fatto anagrafico, è ben di più: Meir è infatti venuto al mondo a Nahalal, comune agricola fondata agli albori del Novecento da uno sparuto gruppo di pionieri giunti dall'Europa dell'est, e divenuta ben presto il modello di una rinascita del popolo ebraico che partiva dalla terra e alla terra tornava. Il padre di Meir era il poeta Yitzhak Shalev, nato e vissuto in un mondo come quello di allora in cui essere scrittori e contadini, intellettuali e manovali di fatica non era una contraddizione, anzi: bisognava costruire ed essere costruiti, se stessi e il proprio paese. Anche Meir era fatto proprio così: adorava le parole e la natura. Scriveva con un'eleganza rara, attingendo a tutte le sfumature di colori di cui l'ebraico è capace, ma era anche capace di fermarsi sul ciglio della superstrada per raccogliere qualche seme di lupino di un colore che mancava nel suo giardino, come racconta nel suo ultimo libro Il mio giardino selvatico, pubblicato in italiano da Bompiani. Era un uomo dalla straordinaria semplicità - come quella volta in un albergo in Italia in cui, di fronte a una sontuosa colazione continentale scelse una fetta di pane con un po' d'olio d'oliva lentamente colato sopra – eppure straordinariamente raffinato nel suo modo di guardare al mondo e all'arte. E aveva anche un senso dell'umorismo così sottile e benevolo, sempre in pace con il mondo. Del resto, aveva cominciato la sua carriera artistica come autore di sketch per la televisione. Ma era fatto per il romanzo, era uno scrittore nato. E un raccontatore di storie che si facevano passo a passo, man mano che le disegnava con le parole, come succedeva sempre nei suoi libri, da Per amore di una donna a Il pane di Sara, da Il ragazzo e la colomba (piccola notazione da traduttrice: avevo dovuto studiare trattati e manuali di allevamento di piccioni viaggiatori, per districarmi. E che divertimento che era stato, tradurlo, come sempre) a È andata così, spassosa storia di un aspirapolvere approdato a Nahalal dall'America per cambiare le sorti della famiglia. Le sue storie sono quasi tutte ambientate in campagna: nulla a che vedere con l'Israele di altri autori, che sia la Tel Aviv postmoderna e un po' malinconica o la cupa e troppo santa Gerusalemme. Meir Shalev racconta di stalle, campi di senape, colline e uadi. Racconta di zabaglioni che sono un po' come l'incanto di Sherazade: servono a non interrompere la storia e a farla sempre nuova perché come le storie anche rosso d'uovo e zucchero racchiudono il mistero dell'esistenza. Racconta dei templari, che non erano cavalieri armati bensì una comunità di protestanti messianici arrivati in Terra Santa ad aspettare la seconda venuta del Messia e le sue tappe, che nel frattempo allevavano bovini, coltivavano la terra, facevano il vino e costruivano casette con il tetto spiovente, disseminando la regione di "villaggi tedeschi". E ancora: Fontanella, La montagna blu, La casa delle grandi donne. Romanzi indimenticabili, pieni di forza e dolcezza, di personaggi che ti entrano dentro, che fanno soffrire e sorridere. Aveva un senso della vita tutto speciale, Meir Shalev: sapeva che talvolta è capace di mostrarsi spietata, la vita, ma che non bisogna mai dimenticare che, a cercarlo, un risvolto ironico, paradossale e pure consolatorio lo si trova sempre. E lui la strada per cercarlo la indicava sempre, nei suoi libri ma prima ancora nel rapporto di confidenza che sapeva instaurare con le sue lettrici e i suoi lettori sin dalla prima pagina di ogni suo libro. E quanto ci mancherà, quanto già ci manca, quel suo essere e scrivere così, forte e delicato al tempo stesso, sempre con le orecchie e tutto il corpo e tutto il cuore pronti ad ascoltare: storie, vite, destini. Sapeva, eccome se sapeva parlare al suo pubblico – di adulti e bambini, perché ha scritto anche per i più piccoli, con la stessa grazia che aveva e che metteva nei suoi protagonisti. Perdere un autore così, da traduttrice e lettrici, è sentirsi proprio un po' orfani. E per lui, viene da oggi in poi una nostalgia che non è soltanto della sua voce, ma anche del suo modo di ascoltare – come quando di ogni libro appena tradotto in italiano voleva farsi leggere una pagina, per sentire la musica che fa.

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