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La Stampa Rassegna Stampa
04.04.2023 Rai, Auschwitz non è Polonia
Commento di Elena Loewenthal

Testata: La Stampa
Data: 04 aprile 2023
Pagina: 7
Autore: Elena Loewenthal
Titolo: «Cara Rai, Auschwitz non è Polonia»

Riprendiamo da La Stampa di oggi, 04/04/2023, a pag.7, con il titolo "Cara Rai, Auschwitz non è Polonia" il commento di Elena Loewenthal

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Elena Loewenthal

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Per anni, dopo che tutto era finito, la cenere dei forni crematori ha continuato a depositarsi al suolo formando una specie di coltre impalpabile e pesante, terribile. Oswiecim, cittadina a vocazione agricola situata nel sud della Polonia che si è vista lungo i secoli governata dal ducato di Slesia, Boemia, Galizia e altro, è diventata Auschwitz nel maggio del 1940, quando i tedeschi occupanti decisero di creare in quella sperduta località la più grande macchina della morte mai concepita e realizzata. Da allora Oswiecim è Auschwitz. Non più la cittadna polacca, non più il borgo di campagna, non più centro di cultura protestante né la sede di un piccolo ducato vassallo di qualcun altro. Auschwitz è, da allora, il segno e l'evidenza del progetto nazista di sterminio della "razza" ebraica e a seguire di tutte quelle "razze" – che razze non sono – non conformi al modello ariano. Stupisce dunque che una rete di informazione pubblica l'abbia definito un «campo di sterminio polacco», cosa che ha suscitato la pronta, e stupita reazione dell'Auschwitz Memorial. Bene ha fatto Paolo Petrecca, direttore di Rai News24, a scusarsi e rettificare. Se non altro, questa scivolata lessical-geografica diventa un'occasione per riflettere. Sulla storia, sulla memoria e il suo uso. Una riflessione più necessaria che mai pochi giorni prima che il presidente Mattarella si rechi ad Auschwitz/Oswiecim insieme alle sorelle Andra e Tatiana Bucci, sopravvissute allo sterminio. L'occasione sarà la cosiddetta "marcia dei viventi" a segnare il passaggio della memoria fra le generazioni; del resto, in ebraico il nome più comune per dire "cimitero" è proprio "casa dei vivi", perché il ricordo di chi non c'è più è dovere ma soprattutto patrimonio di chi resta. No, Auschwitz non è Polonia. Non lo è anche se in quegli anni dai camini dei forni crematori usciva sempre una lunga colonna di fumo nero che si vedeva in lontananza, anche se i treni che arrivavano carichi di materiale umano (i "pezzi", come li chiamavano i tedeschi) e ripartivano vuoti passavano lungo la ferrovia e attraversavano le campagne e tutte le stazioni lungo la tratta. Non è Polonia anche se l'indifferenza e il silenzio di chi c'era e vedeva e sentiva sono stati parte indispensabile del progetto nazista di sterminio. Auschwitz non è più Polonia da allora perché quel campo di sterminio nazista, cioè tedesco, il più grande progetto di morte mai concepito e realizzato, tutto ciò è parte di una storia comune all'Europa, in cui l'Europa non può, suo malgrado, fare a meno di riconoscersi. Perché Auschwitz no, non era e non è un campo di sterminio polacco anche se si trova entro i confini della Polonia: era e resterà per sempre il prodotto più malato e tremendo, più inconcepibile eppure vero, del nazifascismo. Ed è doveroso usare le parole giuste per chiamarlo, è doveroso non fermarsi alla geografia quando si chiama in causa Auschwitz, quando si cita quel passato che deve restare un presente continuo, un chiodo fisso nella memoria collettiva.

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