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La Stampa Rassegna Stampa
23.04.2014 Il caso Dajani, il palestinese minacciato per l'insegnamento sulla Shoah
Commento di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 23 aprile 2014
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Coi palestinesi ad Auschwitz: ora è accusato di tradimento»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 23/04/2014, a pagg. 1-24, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo "Coi palestinesi ad Auschwitz: ora è accusato di tradimento".

Oltre che della vicenda di Mohammed Dajani, l'articolo tratta  dell'annuncio di una lettera di condoglianze per la  Shoah da parte di Abu Mazen.
Su questa ipotesi   rimandiamo i nostri lettori al commento di IC del 22/04/2014 http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=53139
Essa "contrasta con l'uso strumentale che di quella tragedia storica fanno la proganda e la narrativa  palestinesi, che indicano negli israeliani i 'nuovi nazisti' e nei palestinesi le loro vittime. Una distorsione della realtà che certo non ha nulla a che fare con il rispetto.
D'altro canto, il rifiuto da parte dell'Auorità palestinese di riconoscere Israele come Stato ebraico è l'espressione più chiara della mancata volontà di accettare la storia e le ragioni degli ebrei di Israele".
Proprio la vicenda di Dajani, isolato e minacciato per aver accompagnato un gruppo di studenti in visita ad Auschwitz, inoltre, rivela "quanto siano sbagliate le illusioni su una presunta disponiblità palestinese a prendere in considerazione la memoria della Shoah".

Ecco l'articolo di Maurizio Molinari:

      
Maurizio Molinari M. Dajani

E' un ex guerrigliero di Al Fatah il docente palestinese che ha accompagnato i suoi studenti in una visita ad Auschwitz, andando incontro ad una reazione talmente violenta da obbligarlo a vivere blindato nella casa di Gerusalemme Est. «Aspettavo le critiche ma non di essere additato come traditore del mio popolo, per cui mi batto da sempre», ci dice, con voce ferma. Dajani nasce nel 1946 a Bakaa, Gerusalemme Ovest, nella famiglia dei Daoudi che si vanta di aver conservato per secoli le chiavi della Tomba di Davide, e dopo la nascita di Israele fuggono, iniziando un percorso che lo porta ad aderire all’Olp in Libano nel 1964, prima ancora della leadership di Yasser Arafat. Condivide la lotta armata, diventa il responsabile della propaganda dell’Olp in lingua inglese e Israele gli vieta, per 25 anni, di entrare nei Territori. Sono gli accordi di Oslo del 1993 a consentirgli di tornare e vede gli anziani genitori, gravemente malati, curati entrambi «da medici ebrei in ospedali israeliani». «Fu il momento in cui iniziai a vedere l’umanità del nemico», racconta, ammettendo che gli studi negli Usa «mi hanno aiutato ad avere una visione più ampia». La formazione anglosassone lo porta a guidare il Centro di studi americani dell’ateneo di Al Quds, dove nel 2007 fonda Wasatia» (moderazione), il gruppo che si propone di «superare l’incomprensione fra i due popoli». «I palestinesi devono mostrare comprensione per la Shoà e gli israeliani devono farlo con la Naqba», spiega, precisando però che «lo sterminio degli ebrei non può essere paragonato alla tragedia dei palestinesi». Per Dajani «ciò che conta è la comprensione reciproca delle altrui sofferenze» senza «banalizzare la Shoà». Quando l’Università di Jena ha proposto un programma di dialogo sulla memoria, Dajani ha aderito per Al Quds in parallelo alle scelte di docenti israeliani di Beer Sheva e Tel Aviv. E’ nato così «Cuori di carne, non di pietra», da una citazione di Ezechiele, che prevede la visita ad Auschwitz di 30 studenti palestinesi e una visita parallela di 30 coetanei israeliani in un campo profughi a Betlemme. «Ho ricevuto più di 70 richieste di studenti palestinesi e - ammette - le difficoltà sono arrivate subito». Alcuni ragazzi hanno dato forfait all’ultima ora e gli altri, una volta nel lager, hanno rifiutato un sopravvissuto come guida, preferendo un polacco. Poi, al ritorno, è stato il putiferio. «Mi hanno accusato di essere il re dei traditori, sono stato messo all’indice», dice con amarezza. Anche Al Quds ha preso le distanze, parlando di «iniziativa di singoli» e alcuni studenti gli hanno imputato di «fare il gioco degli estremisti». Senza contare le minacce dei più estremisti. «Sfidare i tabù è sempre difficile ma non mi tiro indietro - afferma - se avessi saputo che sarebbe finita così, avrei fatto comunque il viaggio». Ecco perché: «Visitare Auschwitz spazza via i dubbi su veridicità storica e aberrazione morale di quanto avvenuto» e in questa maniera «possiamo parlare alla mente degli israeliani con maggiore possibilità di fargli comprendere le nostre sofferenze». Dajani è convinto che il riconoscimento della Shoà sia un pilastro della convivenza e legge dunque come «un passo positivo» la scelta del presidente palestinese Abu Mazen di inviare ad Israele un messaggio per il giorno dell’Olocausto. Ciò non toglie che molto resta da fare: i libri del «Mein Kampf» sulle bancarelle di Ramallah celano un negazionismo frutto del rigetto di Israele. «Dobbiamo entrambi rinunciare ai grandi sogni e accontentarci di piccole speranze» conclude Dajani, spiegando che «il desiderio di veder sparire l’altro non si avvererà mentre l’empatia per la sofferenza altrui ci può portare lontano».

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