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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
02.02.2018 Federico Rampini disinforma dagli Usa, stessa tecnica da Israele
Leggerlo per capire quanto è inaffidabile

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 02 febbraio 2018
Pagina: 32
Autore: Federico Rampini
Titolo: «Dal nostro turista speciale»

Riprendiamo da VENERDI' di REPUBBLICA di oggi, 02/02/2018, a pag.33, con il titolo "Dal nostro turista speciale" il reportage di Federico Rampini

Vale la pena leggerlo, per rendersi conto - senza bisogno delle nostre critiche- come Rampini usi le stesse visioni deformanti che applica quando scrive dagli Usa. Israele subisce lo stesso trattamento.

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Federico Rampini

TEL AVIV. La prima sorpresa è all'atterraggio. Mia moglie era stata in Israele 38 anni fa. Conservava un ricordo dei controlli di sicurezza: lunghi e severi interrogatori ai passeggeri in arrivo, perquisizione dei bagagli, guai ad avere un tubetto di dentifricio, l'addetto te lo spremeva davanti agli occhi. Io c'ero stato di recente ma sempre al seguito di presidenti americani; presumevo di aver goduto di un trattamento privilegiato. Eravamo preparati al peggio. Invece l'aeroporto Ben Gurion ci ha lasciati scivolare via senza controlli particolari, la formalità del visto è stata veloce, l'esame del passaporto in un lampo, nulla a che vedere con le file estenuanti a cui viene sottoposto un turista in arrivo a New York. Primo mito infranto: Israele non ti accoglie come un Paese in stato di assedio. Non lo è. Questo viaggio per me aveva un significato particolare. Lultima volta ero stato a Gerusalemme seguendo Donald'Trump nel suo primo tour all'estero. Maggio 2017. La tappa precedente l'avevamo fatta a Riad, dove era sbocciato l'idillio fra il presidente e la monarchia saudita. Nessuno immaginava ancora la'rivoluzione"del principe Mohammad bin Selman. O la sconfitta dell'Isis in Siria. O le rivolte in Iran. L'impatto diTrump in Medio Oriente ancora non è chiaro ma potrebbe essere significativo. Tornare in Israele senza i vincoli del lavoro al seguito di un presidente, mi attirava. Poi c'era stata, alla vigilia della nostra partenza dagli Stati Uniti, la mossa su Gerusalemme.Il riconoscimento americano che quella è la capitale d'Israele. La maggioranza dei governi mondiali rimane fedele a un principio: lo status di Gerusalemme non può essere deciso finché non c'è un accordo di pace con i palestinesi che sistemi tutte le questioni territoriali. Da NewYork, dove avevo seguito lo strappo di Trump, l'impressione era di un finimondo. Molti ci consigliavano di cancellare il viaggio. Per fortuna non lo abbiamo fatto.
TEL AVIV la città è la vetrina per sedurre gli stranieri. Giovane, eccitata, mondana, modaiola. Piena di locali dove si mangia e si beve, si ride e si balla fino a tarda notte. Un po' Miami un po' Barcellona, un po' Brooklyn un po' Rio. Bruttissima dal punto di vista architettonico: si salvano solo l'antica Jaffa, che fu un porto pre-romano e conserva un'impronta araba; e il quartiere Bauhaus dove ebrei tedeschi in fuga dalle persecuzioni portarono lo stile anni Trenta. Per il resto, orridi grattacieli sulla spiaggia come in Florida. Folle di runner ciclisti e surfisti. In questo anche californiana, perché gli stessi ragazzi che corrono e fanno surf, o a sera tarda si divertono nei mille ristoranti, li ritrovi nelle start-up del miracolo tecnologico israeliano. Al Nasdaq, la Borsa americana dove si quotano le aziende hi-tech, ci sono più società israeliane di quante ne abbia l'intera Unione europea.
Tel Aviv è laica, il sabato ci sono tanti negozi aperti e nei ristoranti l'unico rischio è il tutto esaurito. Sta ad Israele come NewYork all'America: non è rappresentativa. Gli equilibri demografici, ideologici, valoriali, si sono spostati altrove. La religione detta legge in altre aree del Paese.Tel Aviv è l'eccezione, non la regola. GERUSALEMME un'ora di autobus, ma è come trasferirsi in un Paese diverso. Il fascino di questa città ti prende allo stomaco. Perfino Roma, Città Eterna per definizione, non compete alla pari: qui ci sono tre religioni che hanno messo radici profonde e inestricabili tra loro, hanno impresso strati di paesaggio e di storia. La primogenita, con i "rotoli del Mar Morto" risale a otto secoli prima di Cristo. Solo i cinesi possono vantare una continuità cosi antica nella loro civiltà, e non è un caso se ne incontro tanti che visitano Gerusalemme. La potenza simbolica per alcuni visitatori è insopportabile. Esiste una "sindrome di Gerusalemme", patologica, per cui ogni anno qualche visitatore viene ricoverato in stato confusionale, convinto di essere un profeta o che l'Apocalisse sia imminente. La più tradizionale delle vedute d'insieme è dal Monte degli ulivi, dove Gesù Cristo avrebbe passato l'ultima sera della sua vita nell'orto del Getsemani. Hai una prospettiva sull'immenso cimitero ebraico sottostante, seguito da un cimitero islamico: metafora di una città che ha fatto scorrere tanto sangue in nome di Dio. Più in là c'è il gioiello celebre, il Monte dei Tempio che sorregge la Cupola della Roccia, da dove Maometto sarebbe asceso in cielo. Al-Aqsa, la terza moschea più importante per i musulmani dopo Mecca e Medina.
La Chiesa del Santo Sepolcro. Qualche giornale aveva descritto una Gerusalemme piena di manifesti che inneggiano a Trump. A fatica ne trovo un paio, non molto visibili. L'effetto-Trump, che sembrava tremendo da lontano, è pressoché inesistente. In tutti i sensi. Gli israeliani per lo più lo approvano, ma considerano che la sua dichiarazione non fa che riconoscere una realtà. Le proteste palestinesi al nostro arrivo sono già finite. La città trabocca di visitatori, il boom degli arrivi quest'anno è in netto contrasto con quel che accade nei Paesi vicini. La paura di attentati ha ridotto il turismo in Egitto,Tunisia,Turchia. In Israele no, anzi Gerusalemme come Tel Aviv colpisce per la rilassatezza, la normalità dei controlli di polizia. Di questa "normalità" fanno parte anche le comitive di soldatesse in gita premio al Muro del Pianto, con mitra a tracolla. Nessuno ci fa caso. Invece dell'isolamento di Trump, è evidente la terribile solitudine dei palestinesi. II sostegno saudita è sempre più evanescente. La loro causa ha perso priorità in tutto il mondo arabo. Netanyahu approfitta di questi rapporti di forza per rafforzare lo status quo. Al sabato Gerusalemme si ferma eccome. Nei quartieri ultraortodossi è addirittura vietato entrare.
HEBRON di che religione sei?». Se rispondi cristiano puoi passare. A seconda della tua religione, puoi entrare o vieni respinto dalle guardie. E la regola a Hebron, in uno dei luoghi più sacri del mondo, sede della Tomba dei patriarchi e delle matriarche. Attaccate ci sono una sinagoga e una moschea dedicate ad Abramo, venerato dalle tre religioni monoteiste. Se sei musulmano non puoi vedere la singagoga, se sei ebreo la moschea ti è preclusa. Tutto a Hebron è all'insegna di una convivenza tesa, conflittuale, talvolta con fiammate di violenza. E dal 1929 che fu l'epicentro di scontri sanguinosi fra i primi ebrei sionisti e la popolazione araba locale. Oggi appare a tratti città in guerra, altrove città-fantasma. I posti di blocco, i fili spinati, si alternano con interi isolati di case in stato di abbandono. Tristezza: il suo centro storico sarebbe un gioiello, assomiglia alla città vecchia di Gerusalemme ma è ancora più raccolto, di una bellezza raffinata. Conserva vestigia della vocazione antica: fu città di ricchi mercanti, con una tradizione speciale nella decorazione delle ceramiche e nei tessuti. I vicoli ospitano ancora delle bancarelle ma il clima da stato d'assedio tiene lontani i turisti. I mercanti delle bancarelle hanno dovuto proteggersi, con delle alte reti, dal getto di immondizia che i coloni israeliani gli rovesciano addosso dalle finestre sovrastanti, per spregio. Incollati gli uni agli altri, nemici che si stanno addosso col flato sul collo. Questa di Hebron è la versione estrema di una realtà che t'insegue appena esci da Gerusalemme. La distanza tra gli insediamenti di coloni israeliani e i territori palestinesi occupati, è microscopica. In questo minuscolo lembo di terra che è Israele, tutti stanno incollati a tutti. Per un attimo gli insediamenti dei coloni israeliani sono alla tua destra e i palestinesi a sinistra,500 metri più avanti è il contrario. Gli uni e gli altri separati ora da alti muri, ora da fili spinati, posti di blocco, divieti.
Incontro due italiani impegnati a vigilare sul rispetto dei diritti umani. Uno è un carabiniere in borghese, in servizio come osservatore dell'Unione europea insieme a una rappresentante di una ong scandinava. E qui da un anno come volontario e dice: «Per quanto avessi studiato per prepararmi, per quanti libri e giornali avessi letto, finché non t'immergi qui non hai idea della situazione». Disarmato, è preso di mira ora dagli uni ora dagli altri. Se vigili sul rispetto dei diritti sei sempre scomodo, una volta gli israeliani ci considerano spie, la volta seguente sono i palestinesi ad accusarci».
L'altro italiano porta la divisa della Croce Rossa, è un giovane criminologo. Mentre io entro ed esco dalla moschea, lui viene bloccato, ogni pretesto è buono per contestare la validità dei suoi documenti. Lo vedo negoziare con pazienza infinita con una soldatessa israeliana: è abituato. Sia lui che il carabiniere mi chiedono di non metterli su Facebook. Sono qui per fare un lavoro umanitario difficile e ingrato, non sono in cerca di fama sui social.
Betlemme. Usa il linguaggio de! calcolo delle probabilità al centro mette gli eventi più frequenti, alle estremità gli scenari più rari. «Su una punta c'è il genocidio degli indiani d'America o degli aborigeni d'Australia. I palestinesi potrebbero fare la stessa fine, fuga o annientamento? È possibile. È poco probabile. All'opposto c'è l'Algeria. Il popolo invaso caccia via i coloni. Improbabile anche questo. In mezzo, le varianti intermedie. I] Sudafrica è un esempio di transizione verso una democrazia basata sul principio di una testa un voto». All'ombra dei Muro c'è l'hotel Banksy, così chiamato perché il misterioso artista inglese ha trasformato la fortificazione in una gigantesca mostra dei suoi graffiti. Nella lobby dell'hotel una parete è piena di videocamere appese, finti trofei di caccia incorniciati, per imitare le teste dei cervi abbattuti. Mi chiedo se il vero successo della polizia israeliana non sia nascosto nell'ubiquità di questi apparecchi: ha convinto gli altri della sua onnipotenza. . Dolorosa barriera quotidiana per i palestinesi di qui. «Ma ha ridotto gli attentati» ribattono gli israeliani. Mazin Qumsiyeh, 60 anni, in America andò a prendersi una laurea in biologia molecolare e un dottorato in citogenetica. Per anni ha insegnato a Yale. Poi ha sentito il richiamo per la causa del suo popolo. Ha doppia cittadinanza, americana e »palestinese con passaporto israeliano». «La prima forse aiuta a farmi liberare quando mi arrestano durante le manifestazioni. La seconda limita i miei movimenti: quando sul passaporto israeliano c'è scritta l'origine palestinese, le frontiere si chiudono».
GERUSALEMME EST Mahmoud Muna è il libraio dell'American Colony, a Gerusalemme Est. Giovane palestinese, gestisce una caverna magica di Ali Babà. Una Libreria semi-nascosta, ricchissima. preziosa, raffinata. C'è tutto quello che avreste voglia di leggere, se dedicate la vita intera a decifrare questa terra. Il meglio dei classici del Medioevo arabo. Il meglio della letteratura ebraica dalla diaspora ai nostri giorni. Libri di denuncia sulla questione palestinese. Rigorosi trattati di storia del Medio Oriente. Lui conosce tutti gli autori, è una guida all'antica. Le sue opinioni non le nasconde. «Gli israeliani vogliono annettermi definitivamente, con tutti gli altri palestinesi? lo non sono un nazionalista acceso. Potrei accomodarmi dentro lo Stato d'Israele. Purché facciano di me un cittadino vero. Col diritto di voto, per scegliere anch'io le leggi del mio Paese, e i suoi governi»

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