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Il Venerdì di Repubblica Rassegna Stampa
11.03.2016 Il passato nascosto della famiglia Thyssen
Il racconto di Sacha Batthyany intervistato da Brunella Schisa

Testata: Il Venerdì di Repubblica
Data: 11 marzo 2016
Pagina: 90
Autore: Brunella Schisa
Titolo: «La mia famiglia (Thyssen) ha partecipato all'Olocausto»

Riprendiamo dal VENERDI' di REPUBBLICA di oggi, 11/03/2016, a pag.90, con il titolo "La mia famiglia (Thyssen) ha partecipato all'Olocausto", l'intervista di Brunella Schisa a Sacha Batthyany, autore del libro " Le bestie di Rechnitz"(Rizzoli).

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Brunella Schisa

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Sacha Battyany

«Ho il dovere di parlare» uanto il passato può condizionare la vita e l'identità di una persona? Questa è la domanda ricorrente che si pone il giornalista Sacha Batthyany nel suo libro inchiesta. L'autore appartiene a una delle famiglie ungheresi più importati del secolo scorso. Nel 2006, da un reportage di un giornale scopre che una sua prozia, poche settimane prima della fine della guerra, ha partecipato all'uccisione di centottanta ebrei nella città austriaca di Rechnitz e, scioccato, decide di saperne di più.
Il massacro lo riavvicinerà alla sua famiglia e ai suoi tanti silenzi. La prozia Margit Thyssen Bornemisza è stata davvero un angelo sterminatore? Quanto ha influito sulla vita familiare la prigionia del nonno Batthyany in un lager russo? Perché la nonna, testimone dell'uccisione di una coppia ebrea, ha taciuto? L'autore ha cercato le risposte in Europa, in America latina, oltre che sul lettino dello psicoanalista e il risultato è un libro potente e trascinante.
Lei parte dalla domanda «Che cosa ha a che fare con me una vicenda accaduta settanta anniprima?» e non mi sembra che abbia trovato la risposta. «Perché non è una storia solo personale, ma riguarda il collasso dell'Ungheria e l'ordine mondiale del dopoguerra che ha coinvolto la mia famiglia e che ancora mi tormenta. Lavorando al libro, ho scoperto che la questione se la ponevano anche i miei nonni, mio padre, quindi la risposta è sì, penso che per noi il passato sia ancora nell'aria. Nel mio caso è stato il massacro dei centottanta ebrei a rendermi consapevole dell'intera storia e mi ha avvicinato alla famiglia».
Sua nonna ha scritto nel suo diario «siamo una famiglia di talpe», eppure ha chiesto che alla sua morte il diario venisse bruciato. Perché lei non lo ha fatto e lo ha letto?
«Sono un giornalista oltre che una persona molto curiosa. E poi, onestamente, fm dall'inizio ho capito che non si trattava di un semplice diario, ma piuttosto di una sorta di messaggio per me. Almeno questa è la scusa che mi sono dato per leggerlo».
Lei scrive: «Su Facebook e Twitter ci esprimiamo costantemente a favore o contro qualcosa, sottoscriviamo petizioni virtuali, ma come ci comporteremmo se questi avvenimenti si spostassero dal computer alla strada?». Lei cosaavrebbe fatto se fosse stato sua nonna?
«Difficile rispondere, di certo qualche anno fa non sarei stato capace di affrontare la situazione. Ma adesso credo che sarei riuscito a fermare il brutale assassinio. Scrivere il libro mi ha cambiato la vita».
È riuscito dunque a rimuovere quelle che lei chiama le «macerie interne dell'anima»?
«Spero di sì, perché ho fatto tutto quanto ho potuto per tirare fuori un passato per troppo tempo rimosso».

Per inviare al Venerdì di Repubblica la propria opinione, 06/49823128, oppure cliccare sulla e-mail sottostante 


segreteria_venerdi@repubblica.it

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