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Il Manifesto Rassegna Stampa
23.03.2018 Caso Tamimi: le menzogne di Michele Giorgio...
...che descrive Israele come un Paese dove la giustizia non è indipendente

Testata: Il Manifesto
Data: 23 marzo 2018
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «'Ha patteggiato, processo equo era impossibile'»
Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 23/03/2018, a pag.8, con il titolo 'Ha patteggiato, processo equo era impossibile' il commento di Michele Giorgio.

Michele Giorgio difende Ahed Tamimi, nota per le violenze contro soldati israeliani e per essere una "attrice" dell'industria di menzogne Pallywood, che crea e monta scene di finte aggressioni a "poveri" arabi palestinesi con lo scopo di accusare Israele di crimini - il che puntualmente accade dopo che questi video vengono diffusi in tutto il mondo, centinaia di video regalati ai palestinisti dalla Ong israeliana B'Tselem.  

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Ahed Tamimi si è dichiarata colpevole delle violenze contro soldati israeliani, anche perchè sono documentate, e cos' facendo ha approfittato della legge sul patteggiamento. Per Michele Giorgio, però, si sarebbe trattato solo di una mossa strategica per evitare una "condanna già scritta". In Israele, però, la giustizia è indipendente e non guarda in faccia a nessuno, diversamente da come Giorgio scrive, e non esistono condanne prima dei processi. Forse Giorgio, tanto abituato a frequentare gli ambienti dei terroristi arabi palestinesi, si confonde con quanto accade a Ramallah, a Gaza e in ogni altra capitale araba?

Ecco l'articolo:

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Michele Giorgio

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Il clan dei Tamimi aggredisce un soldato israeliano che non si difende

«Un processo equo per Ahed Tamimi non è mai stato possibile. La ragazza rischiava una condanna a diversi anni di carcere e il patteggiamento era l'unico modo per evitarla». L'avvocato Gabi Lasky spiega le ragioni che l'hanno spinta a consigliare ad Ahed Tamii di proclamarsi colpevole in modo da arrivare a un accordo — otto mesi di carcere — con la procura militare israeliana che aveva presentato ben 12 capi d'accusa contro l'adolescente palestinese arrestata lo scorso dicembre per aver schiaffeggiato due soldati israeliani. Con lei erano finite in prigione la madre Nariman, «colpevole» di aver filmato e postato in rete l'accaduto, e la cugina Nour, accusata di aver partecipato a quella che il procuratore dell'esercito descrive come un'«aggressione aggravata». La svolta, aggiunge l'avvocato, è stata la decisione di qualche giorno fa dei giudici di confermare il processo a porte chiuse. «Abbiamo capito che l'intero sistema militare era mobilitato contro Ahed. D'altronde se si fosse trattato di un procedimento giusto la ragazza sarebbe stata rilasciata subito e non tenuta in carcere», aggiunge Lasky. La procura militare ha cancellato otto dei 12 capi d'accusa e in estate Ahed dovrebbe tornare a casa. La parola finale però spetta ai giudici che potrebbero non accettare il patteggiamento, strada scelta anche da Nariman e Nour Tamimi. L'opinione pubblica israeliana, in gran parte, ha invocato una «condanna esemplare» per la ragazza responsabile agli occhi di molti di aver «umiliato», con due schiaffi, le forze armate. I comandi dell'esercito invece vogliono chiudere la vicenda che ha suscitato sdegno e attenzione in tutto il mondo sulla condizione dei circa 300 minori palestinesi nelle carceri israeliane. Quasi due milioni di persone hanno firmato l'appello di Avaaz per la liberazione immediata di Ahed e in diversi paesi si sono formati comitati di solidarietà. I centri internazionali per i diritti umani condannano la detenzione della giovane palestinese. «Le autorità israeliane hanno confermato ancora una volta di non avere alcun riguardo per i diritti dei minorenni palestinesi e alcuna intenzione di rivedere le loro politiche discriminatorie. Nulla di ciò che Ahed ha fatto avrebbe dovuto essere sanzionato col carcere», commentava ieri Magdalena Mughrabi, vice direttore di Amnesty per il Medio Oriente e il Nord Africa. Tra i palestinesi qualcuno ha accolto con amarezza la decisione di dichiararsi colpevole e di patteggiare con l'occupazione israeliana. Ma in generale, sui social, molti hanno accettato la soluzione consapevoli che l'alternativa sarebbe stata la condanna quasi certa ad anni di carcere. Tutti comunque attaccano la «doppia giustizia» applicata da Israele. Appena qualche giorno fa i giudici israeliani hanno ridotto a 9 mesi la pena detentiva, già scesa da 18 a 14 mesi, per il soldato Elor Azaria che nel 2016 a Hebron uccise a sangue freddo un assalitore palestinese che giaceva a terra ferito, non in grado di nuocere.

 

 

 

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