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Il Manifesto Rassegna Stampa
01.06.2016 Per capire l'abilità diplomatica di Netanyahu leggere con attenzione il Manifesto
Nelle intenzioni, è ovvio, non sono complimenti

Testata: Il Manifesto
Data: 01 giugno 2016
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Bibi ora fa 'tattica': sì al piano arabo del 2002»

Qualche volta l'analisi di Michele Giorgio della politica israeliana può persino essere interessante, anche se siamo certi che l'intenzione del corrispondente del MANIFESTO non era quella. Succede nel pezzo uscito oggi, 01/06/2016, a pag. 9, con il titolo "Bibi ora fa 'tattica': sì al piano arabo del 2002".
Il titolo non corrisponde del tutto al testo, ma non è su questo aspetto che vogliamo soffermarci, quanto piuttosto sulla interpreatazione che Giorgio dà della 'tattica' che Bibi userebbe per nascondere le sue reali intenzioni.
Non essendo interpreti ufficiali del pensiero di Netanyahu, non avanziamo nessuna ipotesi, ma non ci dispiacerebbe affatto che, per una volta, Giorgio avesse ragione. Confermerebbe gli elogi che in genere rivolgiamo al Premier israeliano per la sua eccellente capacità diplomatica.

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Michele Giorgio     Bibi Netanyahu

Ecco l'articolo:

Il governo più di destra della storia di Israele all'improvviso intona la canzone della pace. Dopo aver nominato l'ultraradicale Avigdor Lieberman nuovo ministro della difesa, il premier Netanyahu ha riscoperto l'Iniziativa Araba del 2002 come percorso per una intesa permanente tra mondo arabo e Israele. Il piano prevede in cambio di un accordo di pace il ritiro dello Stato ebraico alle linee di armistizio del 1967 («Linea verde») antecedenti all'occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est. Per 14 anni tutti i governi israeliani hanno ignorato la proposta araba, in realtà saudita perché fu Riyadh a formularla e ad imporla al vertice arabo di Beirut. Ora il primo ministro la tira fuori dal cesto delle innumerevoli iniziative di pace presentate negli ultimi 30 anni. Agita il ramoscello d'ulivo anche Lieberman. Il neo ministro ha colto l'occasione del giuramento per dichiararsi un sostenitore della soluzione dei «Due Stati», Israele e Palestina. L'IniziativaAraba «include elementi positivi che possono aiutare a far rivivere negoziati costruttivi con i palestinesi» ha detto Netanyahu, aggiungendo che Israele è disponibile a negoziare con gli arabi le revisioni necessarie alla luce dei «drammatici cambiamenti nella regione dal 2002» mantenendo l'obiettivo di «Due Stati per due Popoli». Non è solo un passo per dare all'esterno una immagine più flessibile del governo israeliano. Netanyahu si è posto due obiettivi: sparigliare le carte prima della conferenza internazionale sulla questione israelo-palestinese che si apre il 3 giugno a Parigi (e che lui ha respinto con forza) e trarre vantaggio dai cambiamenti avvenuti nella regione e che vedono Israele e Arabia saudita cooperare dietro le quinte su molti punti, dalla Siria all'Iran. Netanyahu non ha intenzione di ritirare l'esercito, non lo farebbe alcun governo israeliano: cerca una legittimazione araba alla annessione di fatto a Israele di ampie porzioni di Cisgiordania occupata, avvenuta attraverso la colonizzazione e la costruzione del Muro. Questo riconoscimento, in cambio della nascita di uno staterello palestinese minuscolo e senza sovranità, il premier israeliano crede di poterlo ottenere più per merito dell'Arabia saudita che agli alleati occidentali. Non solo. Il Medio oriente da cinque anni è sconvolto da guerre civili devastanti, aggravate dagli interessi e dalle manovre di attori regionali e internazionali, che ne hanno cambiato il volto. Nel 2002 la Siria, nemica storica di Israele, era un Paese tra i più influenti del mondo arabo, con un peso importante nella Lega araba. L'Iraq, che pure era piegato sotto il peso delle sanzioni interazionali, aveva ancora al comando un avversario implacabile di Israele, Saddam Hussein. 14 anni dopo la Siria è stata, di fatto, espulsa dalla Lega araba su pressione dei sauditi e del Qatar ed è un Paese devastato e spaccato in più territori controllati dalle parti in lotta, tra queste l'Isis. L'Iraq vive una condizione simile se non peggiore. Un quadro «favorevole» che, prevede Netanyahu, potrebbe consentire a Israele di arrivare a un'intesa «regionale» imposta al presidente dell'Olp e dell'Anp Abu Mazen (o al suo successore) da Riyadh e delle altre petromonarche del Golfo, interessate a chiudere la questione palestinese e ad occuparsi a tempo pieno della Siria, dello Yemen, dell'Iraq e non più di Israele, ormai alleato contro il nemico comune Iran. Da parte loro i palestinesi, attraverso il segretario dell'Olp, Saeb Erakat, hanno negato la sincerità di Netanyahu e messo in evidenza le sue «incoerenze». Ora «pacifista» all'esterno il governo israeliano non abbandona l'approccio militante nelle questioni interne. La maggioranza continua alla Knesset l'iter di approvazione della nuova le : e anti-terrorismo che darà poteri senza precedenti al servizio di sicurezza interno (Shin Bet) e alla polizia. A cominciare dalla definizione, già ora molto ampia in Israele, di organizzazione terroristica fino a una forte limitazione di diritti per i «sospetti» e ad altre misure punitive come le confische patrimoniali, espropri di terreni, requisizioni di case. Una volta approvata la legge sostituirà quattro le leggi esistenti e le ordinanze in materia di terrorismo, tra cui vari decreti d'urgenza.

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