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Il Manifesto Rassegna Stampa
03.02.2015 Ridicolo articolo contro Netanyahu di Michele Giorgio
Ogni tanto il Manifesto fa ridere, cosa rara...

Testata: Il Manifesto
Data: 03 febbraio 2015
Pagina: 8
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Netanyahu, scandalo in bottiglia»

Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 03/02/2015, a pag. 8, con il titolo "Netanyahu, scandalo in bottiglia", il commento di Michele Giorgio.

Lo "scandalo" - vero o presunto, lo stabiliranno le indagini - riportato da Michele Giorgio è a dir poco ridicolo, a prescindere dalle idee di ciascuno sul valore e la capacità politica dell'attuale leader del Likud. L'ammontare della somma che la moglie di Netanyahu non avrebbe restituito allo Stato, infatti, nell'arco di diversi anni ammonterebbe a molto meno di 900 euro, il rimborso per la consegna delle botiglie di vetro dell'acqua minerale, che vengono riciclate, il cui valore è di 10 cent. di shekel l'una, cioè 2 (due) cent. di euro !!
Ancora più ridicolo è vedere un episodio tanto marginale trasformato in notizia in Italia. Ma questo, lo sappiamo bene, dipende dal fanatismo anti-israeliano di Michele Giorgio e del "quotidiano comunista" su cui scrive ogni giorno.
Michele Giorgio prende di mira Netanyahu perché è l'attuale Primo ministro di Israele, ma le posizioni del Manifesto non sarebbero meno ostili allo Stato ebraico se anche il governo fosse guidato dal centro-sinistra o dalla sinistra radicale di Meretz.

Ecco l'articolo:


Michele Giorgio


Benjamin Netanyahu con la moglie Sara

Benyamin Netanyahu prova ad evitare il peggio. II suo avvocato sta cercando in ogni modo di contenere la fuga di notizie dal dossier del «bakbuk gate» («bottiglia-gate»). Ma per il premier israeliano non sarà facile uscire indenne dallo scandalo che vede per protagonista la (troppo spesso) criticata moglie Sara. Una vicenda che potrebbe limitare le chance di successo del suo partito, il Likud, a un mese e mezzo dal voto.

Solo ieri, secondo un sondaggio pubblicato dal quotidiano Haaretz, il Likud sarebbe tomato un paio di seggi davanti a «Blocco Sionista», la lista composta dal Partito laburista di Isaac Herzog e dal partito HaTnua dell'ex ministra della giustizia Tzipi Livni. II «pericolo» di un testa a testa fino al 17 marzo preoccupa la destra. Lo dimostra l'intenzione del Likud di buttarla in bagarre. ll partito di maggioranza relativa è passato all'offensiva. Sostiene che il «bakbuk-gate» non sarebbe altro che una astuta iniziativa di diffamazione orchestrata dalle opposizioni per mandare a casa Netanyahu. Un ministro ha addirittura riferito di «finanziamenti provenienti dall'estero» e destinati alla sinistra allo scopo di far crollare il premier.

La campagna elettorale si fa sporca, senza esclusione di colpi, notava ieri il giornale online Times of Israel, E il «bakbuk gate» sarà il punto centrale di questa lotta condotta con ogni arma disponibile. Il «bottiglia-gate» si deve a Meni Naftali, l'uomo che ha gestito la residenza di Stato del primo ministro tra il 2011 e il 2012. Naftali sostiene che Sara Netanyahu — già in passato al centro di accuse per il suo comportamento e per il maltrattamento del personale di servizio — pretendeva che i suoi assistenti riportassero i vuoti a rendere al supermercato e le consegnassero i 10 centesimi del deposito. Fin qui nulla di strano. Ma quelle bottiglie erano state acquistate con i soldi dei contribuenti israeliani. Secondo quanto riferiscono i media locali, la moglie del premier sarebbe riuscita a mettersi in tasca almeno 4.000 shekel, poco più di 900 euro. Per altre fonti la somma sarebbe sensibilmente più alta.

II premier nega, difende la moglie, respinge le accuse. Il suo avvocato ha fatto sapere che Sara Netanyahu ha restituito allo Stato le somme raccolte nel 2013 con i vuoti a rendere. Ma lo scandalo si è allargato. Alte risulterebbero anche le spese, sempre con fondi pubblici, per l'acquisto di vino e soft drink da parte dei coniugi Netanyahu. Pare che a casa del premier si consumi in media una bottiglia di vino al giorno. Troppo, poco? Dipende dai punti di vista. Non è un'opinione invece che quelle migliaia di euro spese per il vino appartengano al contribuente. Peraltro la lista delle spese pubbliche per la famiglia del primo ministro fino a poco tempo fa comprendeva 2000 euro l'anno per il gelato.

Domenica sera il procuratore dello stato Yehuda Weinstein ha chiesto al revisore del conti Yosef Shapira di passargli il dossier con le informazioni sulle spese nella residenza di Stato del premier e sulla possibile appropriazione di fondi pubblici da parte di Sara Netanyahu. Dovesse Weinstein considerare concrete le accuse, nei confronti del primo ministro israeliano sarebbe avviata una indagine formale. Ma al momento pochi credono che una eventuale inchiesta sul «bakbuk-gate» potrà andare fino in fondo con la campagna elettorale in corso.

Anche nei Territori occupati si comincia a seguire la vicenda. L'uomo che i palestinesi vorrebbero vedere alla sbarra per crimini di guerra davanti ai giudici della Corte Penale Internazionale, rischia (si fa per dire) di terminare la sua carriera politica per uno scandaletto da poche migliaia di euro. In pochi però si fanno illusioni. Netanyahu resta, per ora, ben saldo in sella e non ha mancato anche negli ultimi giorni di far «regali» ai palestinesi, come il rilancio della colonizzazione in Cisgiordania e a Gerusalemme Est.

E come il mese scorso, il premier israeliano ha bloccato il trasferimento all'Anp di 100 milioni di dollari palestinesi raccolti a gennaio con dazi doganali per conto dell'Anp, in risposta alla decisione del presidente Abu Mazen di aderire alla Cpi. Israele aveva già congelato un mese fa oltre 120 milioni di dollari palestinesi. Il quotidiano Israel HaYom, vicino al premier, ha scritto ieri che i congelamenti mensili proseguiranno fino quando Israele avrà deciso una politica definitiva dopo che «Abu Mazen ha varcato una linea rossa rivolgendosi alla Cpi, per crimini di guerra asseritamente compiuti da Israele a Gaza e in Cisgiordania». Una punizione devastante per le casse palestinesi e soprattutto per decine di migliaia di dipendenti pubblici, molti dei quali ora sono senza stipendio. Si aggiungono ai circa 50 mila ex impiegati del governo di Hamas a Gaza lasciati senza reddito da Abu Mazen dopo la formazione del governo palestinese di unità nazionale.

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redazione@ilmanifesto.it

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