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Il Manifesto Rassegna Stampa
27.12.2012 Cristiani a Betlemme, una specie scomparsa
Michele Giorgio preferisce attaccare Israele-Ristabilisce la verità Andrea Tedesco

Testata: Il Manifesto
Data: 27 dicembre 2012
Pagina: 7
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Su Betlemme colata di cemento israeliano»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 27/12/2012, a pag. 7, l'articolo di Michele Giorgio dal titolo "Su Betlemme colata di cemento israeliano".


Michele Giorgio incolpa, come al solito, Israele di tutti i presunti mali degli arabi. In questo caso, l'economia di Betlemme non sarebbe abbastanza florida per via della 'colata di cemento israeliana', un nuovo modo per descrivere la barriera difensiva.
Terrorismo palestinese ? Non merita di essere menzionato.
Emorragia di cristiani che, un tempo, erano la maggioranza a Betlemme e che, oggi, sono fuggiti in massa dalla città governata dall'Anp ? Nemmeno una sillaba.

Ecco il pezzo di Michele Giorgio:

Guarda al futuro con ottimismo il sindaco di Betlemme, Vera Baboun, eletta qualche settimana fa grazie ai voti di Fatah e, soprattutto, all’assenza dalle amministrative del movimento islamico Hamas. «Dopo sette anni di boicottaggio internazionale, la sfida per Betlemme è di riuscire a riottenere gli aiuti necessari per rilanciare la città, la sua infrastruttura turistica e l’area industriale », ha dichiarato il sindaco rispondendo alle domande di giornalisti stranieri. A contribuire a tanto ottimismo c’è anche il Natale che, stando ai dati della Camera di Commercio locale, avrebbe portato nella città della Natività 10-15 mila turisti il 24 e 25 dicembre. Baboun sembra addossare agli islamisti, che controllavano la passata amministrazione, la responsabilità della crisi economica della città e del calo delle donazioni internazionali. Una spiegazione quantomeno ingenerosa nei confronti di chi che l’ha preceduta alla guida della città. Anche le pietre a Betlemme sanno che la città non potrà sfruttare le sue potenzialità finché esisterà ilMuro israeliano che la circonda, non terminerà l’occupazione militare e la città potrà ricevere liberamente, senza limitazioni, il flusso di turisti e pellegrini. Tra qualche tempo il sindaco di Betlemme e delle altre località palestinesi circostanti, in particolare Beit Jala e Beit Sahour, vedranno davanti a loro colonie israeliane ancora più grandi. Dopo la rappresaglia annunciata dal governo Netanyahu in risposta all’ingresso (29 novembre) della Palestina come Stato osservatore nell’Onu che prevede la costruzione di migliaia di case per coloni nel corridoio E1 ad est di Gerusalemme, il premier israeliano ha dato il via ad una colata di cemento ovunque, in particolare a ridosso di Betlemme e dei centri vicini. Dopo aver fatto gli auguri ai cristiani palestinesi per il Natale - ai quali ora vuole strappare terreni (proprietà sia di 58 famiglie e delle Chiese) nella valle tra gli insediamenti colonici di Gilo eHar Gilo - Netanyahu ha dato il via libera alla costruzione di 1200 nuove case, sempre a Gilo. In quella stessa zona si espanderà anche Givat Hamatos. Un progetto di colonizzazione addolcito dal proposito di costruire case anche per i palestinesi a Beit Safafa. Il premier è stato chiaro nel ribadire qualche giorno fa che le (timide) critiche dei governi europei non lo spaventano e che Israele continuerà a costruire a Gerusalemme e nelle colonie in Cisgiordania, senza freni. Un’intenzione frutto anche della campagna elettorale (in Israele si voterà per le legislative il 22 gennaio) poichè il suo partito, il Likud e l’alleato Yisrael Beitenu, si stanno posizionando ancora più a destra per rispondere ai colpi che subiscono da Naftali Bennett, leader carimastico della lista religiosa ultranazionalista «Bayit Yehudi» (Focolare ebraico) capace in questi ultimi giorni di raggiungere (almeno nei sondaggi) il ruolo di terza forza politica del paese proclamando che lotterà senza sosta contro la nascita di uno Stato palestinese e l’evacuazione anche solo di una colonia. Temi cari a gran parte dell’opizione pubblica israeliana che - secondo un recente rilevamento svolto dall’istituto Maagar Mohot per conto del giornale Maariv - per un 66% respinge l’idea dello Stato di Palestina anche se smilitarizzato e per un 51% guarda con favore alla costruzione di nuove colonie ebraiche nei Territori occupati. Netanyahu ha reso ancora più roventi i toni di una campagna elettorale che vede (come sempre in passato) una attenzione eccezionale sui temi della sicurezza e della questione palestinese e scarso interesse per i problemi economici e sociali del paese. Il premier due giorni fa, chiedendo di votare la lista unita Likud-Yisrael Beitenu, ha ribadito che al primo posto del programma del prossimo governo – che formerà ancora lui, sondaggi alla mano – ci sarà l’impegno di fermare i piani nucleari dell’Iran e di rafforzare il controllo israeliano su Gerusalemme e intorno alla Città Santa. I suoi alleati di governo, attuali e futuri, lo spingono inoltre a non tenere conto delle pressioni dell’Unione europea che, stando ad indiscrezioni, vorrebbe un accordo israelo-palestinese entro il 2013. Toni da battaglia, come quella in corso, che si scontrano con quelli soft usati dal presidente palestineseMahmud Abbas (Abu Mazen) che crede (non si capisce perchè) ancora in un avvio di trattative serie con questa maggioranza (e quella futura) in Israele. «Facciamo appello – ha detto due giorni fa - affinchè il 2013 sia un anno di pace e di speranza per questa Regione e per il mondo...Noi vogliamo invece tornare ai negoziati, sulla base della legittimità internazionale». Yigal Palmor, portavoce del ministro degli esteri israeliano, gli ha ricordato chi decide tempi e luoghi di tutto ciò che si muove nella regione. Palmor, solo per fare un esempio, ha detto ieri che il segretario della Lega Araba, Nabil Arabi, a Ramallah il 29 dicembre arriverà in elicottero direttamente da Amman solo se Israele darà il permesso di sorvolo (nello spazio aereo palestinese), altrimenti dovrà passare come tutti per il ponte di Allenby.

Su Betlemme, pubblichiamo l'articolo di AndreaTedesco dal titolo
" Da Betlemme "quelli del Venerdì" lanciano il loro messaggio di "pace" al mondo ",
dove vengono descritte con chiarezza e lucidità le minacce che gli islamici fanno a Betlemme contro ebrei e cristiani.
Magari Giorgio potrebbe leggerlo per rendersi conto delle assurdità con cui infarcisce i suoi articoli.
Ecco il pezzo di Andrea Tedesco:


Andrea Tedesco

http://www.ioamolitalia.it/blogs/il-perfetto-e--nemico-del-bene/da-betlemme--quelli-del-venerdi--lanciano-il-loro-messaggio-di--pace--al-mondo--prima-quelli-del-sabato-poi-quelli-della-domenica.html

Un mito attualmente molto diffuso anche tra i cristiani, in particolare quelli politicamente di sinistra, é che gli attacchi degli islamici ai cristiani siano causati dall´esistenza di Israele e dalle sue politiche oppressive nei confronti dei palestinesi.
 
L´adesione della sinistra cattolica a questa ipotesi fantasiosa si può forse spiegare alla luce dell´apparente scelta del Vaticano di favorire pragmaticamente la teoria della Jihad difensiva, ovvero della violenza islamica come reazione a qualche sopruso subito per mano dell´occidente, in particolare degli USA e di Israele, che dell´occidente sarebbero rispettivamente il rappresentante più influente e un avamposto.
 
La decisione potrebbe essere stata presa dai vertici ecclesiali perché la teoria della Jihad difensiva sembra porre la violenza apparentemente incontrollata degli islamici sotto il nostro controllo, fornendo una sorta di interruttore per spegnere l’attacco. Nella nostra cultura, e nella tradizione cristiana, infatti, le scuse sincere, la rinuncia ad esacerbare i toni, la disponibilità al compromesso, risolvono le vertenze più accese nella maggior parte dei casi.
 
Il Vaticano potrebbe aver agito sulla base dell'assunto della somiglianza di tutti gli esseri umani, e quindi della possibilità di riappacificarci con gli islamici impiegando lo stesso approccio.
 
Oppure, più probabilmente, la Santa Sede, consapevole del pericolo posto dalla natura aggressiva e dalle mire egemoniche dell'Islam, sulla falsariga di scelte a volte operate in passato nei confronti dei Nazisti, avrebbe giocato la carta della "dhimmitudine" nella speranza almeno di ridurre la violenza contro le comunità cristiane in Medio Oriente e nei paesi a maggioranza islamica, oltre che per ragioni di dialogo interreligioso e fratellanza universale volti a scardinare le basi di quella violenza.
 
La componente di sinistra della Chiesa potrebbe aver interiorizzato e idealizzato quella che era più che altro una comprensibile scelta politica inserendola in un contesto ideologico di sinistra, e quindi sposando la causa araba e palestinese e l'anti-sionismo, rispolverando l'antipatia verso gli ebrei, e a volte persino l'accusa di Deicidio, nonché lasciandosi incantare dalla teoria della Jihad reattiva.
 
Purtroppo, la posizione della Chiesa Cattolica, e l´anti-sionismo e anti-semitismo dei Cattolici di sinistra non sono serviti a guadagnarsi le simpatie degli islamici, ma a generare antipatia e sospetto negli ebrei israeliani.
 
Per quanto concerne costoro, infatti, dopo secoli di persecuzioni cristiane ai danni degli ebrei basate proprio sull´accusa di Deicidio e culminate con la Shoá perpetrata nel cuore dell´Europa cristiana, non dovrebbe sorprendere che la scelta di sposare la causa di chi non solo delegittima, ma tenta in ogni modo di distruggere Israele e gli ebrei, non riesca a generare un moto di istintiva simpatia verso i cristiani.
 
Per quanto riguarda gli islamici, invece, alla luce dell´atteggiamento filo-palestinese della Chiesa, dovrebbe suscitare non poche perplessità il fatto che recentemente il Gran Muftì dell'Arabia Saudita, una delle massime autorità del mondo islamico, abbia emesso una Fatwa che prescrive la distruzione di tutte le chiese cristiane in terra islamica, rievocando le istruzioni del Profeta ai suoi fedeli sul letto di morte, secondo cui non potevano sussistere due religioni in terra d'Arabia.
 
In linea con gli auspici e le istruzioni dell´autorevole leader islamico, la discriminazione e gli attacchi violenti contro i cristiani sono continuati senza interruzioni in tutto il Medio Oriente e in tutti i paesi islamici, con un’impennata in Iraq riconducibile alla reazione delle componenti islamiste all'invasione americana. Questa reazione ha però colpito la popolazione civile in generale, maggioranza musulmana e minoranza cristiana, mietendo più vittime tra i musulmani stessi, anche come percentuale. L'invasione non ha promosso maggiore violenza esclusivamente verso la minoranza cristiana, che ha sofferto più che altro come componente della popolazione civile. Questa mancanza di specificità vale la pena di essere sottolineata perché smentisce un‘implicazione della teoria della Jihad reattiva: le vittime della violenza islamica non sono solo gli occidentali o i cristiani, sono anzitutto i musulmani stessi.
 
Il Papa, nonostante la scelta della Chiesa Cattolica di schierarsi dalla parte dei palestinesi, non si é potuto permettere di aprire bocca in difesa dei cristiani senza essere condannato dai leader religiosi della comunità islamica mondiale e, guarda caso, criticato anche da illustri prelati della Chiesa stessa, rappresentanti della corrente di sinistra, come accaduto in occasione del discorso del Pontefice a Ratisbona.
 
In realtà, se Israele non esistesse, i luoghi santi della cristianità sarebbero già stati distrutti, o comunque, nella migliore delle ipotesi, sarebbero preclusi ai pellegrini cristiani, come del resto già accaduto in passato per mano degli islamici. Se Israele, Dio non voglia, cadesse sotto l´ennesimo attacco dell´Islam, l´Europa si ritroverebbe a sperimentare ancora una volta l´aggressione islamica esplicita del passato e sarebbe necessario lanciare un´altra Crociata per liberare il Santo Sepolcro e sostituire Israele con un´agguerrita guarnigione di moderni cavalieri Crociati.
 
A Nazareth uno striscione campeggia da anni sulla via di accesso alla Chiesa dell'Annunciazione sul quale, a caratteri cubitali, in arabo e inglese, viene ricordato ai cristiani in visita ad uno dei loro luoghi più sacri, che l'Islam è l'unica vera religione, superiore al Cristianesimo e all'Ebraismo.
 
Solo grazie all'intervento delle autorità israeliane, lo striscione è in realtà fortunatamente l'unico frutto della gratitudine islamica verso la Chiesa Cattolica per aver sposato la causa palestinese: il progetto originale della comunità musulmana, bocciato dal governo israeliano, era di costruire una mega-moschea sul terreno affidato alla Santa Sede, proprio accanto alla Chiesa dell'Annunciazione.
 
A Betlemme la componente cristiana della popolazione è passata dall´80% al 20% dopo la cessione del controllo della Giudea e della Samaria all'Autorità Palestinese nel 1994 con i Trattati di Oslo.
 
Qui, sulle mura della cattedrale, un'altra scritta, ancora più densa di significato, ricorda ai cristiani che arriverà anche il loro turno dopo la distruzione degli ebrei: "Prima quelli del Sabato, poi quelli della Domenica".
 
In linea con il messaggio di Betlemme, ogni Venerdì, nel loro sermone, "quelli del Venerdì", nello specifico gli imam di Hamas, non si limitano ad incitare i fedeli alla distruzione di Israele, ma li invitano alla riconquista della Spagna e alla conquista di Roma predicendo la collocazione della bandiera dell'Islam in Vaticano.
 
In realtà, non avendo riscosso molto successo nel realizzare sequenzialmente il processo di distruzione auspicato, a cavallo della I Guerra Mondiale, molto prima del 1948, anno della rinascita di Israele, i Turchi avevano sovrapposto le due fasi e sterminato un milione e novecentomila cristiani Armeni e gli ebrei turchi.
 
Prima della fondazione dello Stato di Israele, e che ciò potesse suscitare una qualsiasi reazione anti-occidentale e anti-cristiana, la conquista e l'assoggettamento delle popolazioni cristiane in Medio Oriente, Anatolia e Nord Africa, aveva comportato il massacro di almeno 60 milioni di persone.
 
A meno che non si voglia rovesciare la sequenza cronologica degli eventi e logica di causa ed effetto, Israele non può, dunque, essere responsabile delle persecuzioni dei cristiani, anzi, nel deserto mediorientale é un´oasi di pace che garantisce la sopravvivenza e la crescita demografica della comunità cristiana assediata dagli islamici.
 
Israele, nonostante la comprensibile antipatia verso la Cristianità, oltre a proteggere il Santo Sepolcro, e garantire un rifugio sicuro ai cristiani perseguitati, per ragioni geografiche svolge un ruolo di avamposto dell´Occidente in “terra d´Oriente”, ragione per cui la "ripresa" delle ostilità l´ha coinvolta per prima, estendendosi poi al resto del mondo con la “dichiarazione ufficiale di guerra” all´Occidente dell´11 Settembre 2001. Oggi guardare verso Israele é un po´ come guardare una stella molto speciale lontana nel cielo verso Oriente. Come per le stelle del cielo, la sua luce arriva dal passato, e osservando Israele possiamo riscoprire le nostre radici, ma a differenza delle altre stelle, in quella luce possiamo anche cogliere i bagliori del nostro futuro, di quello che ci attende, in negativo come gli sviluppi futuri della ripresa dell´attacco dell´Islam all´Occidente, ma anche in positivo, come una grande opportunità di convivenza pacifica di culture e religioni diverse.                     
 
Israele é il nostro passato e il nostro futuro, Israele siamo noi.
 
Comprendiamola, amiamola, difendiamola perché, come ci ricorda il politico olandese Geert Wilders, fondatore del Partito della Libertà, "in tutti questi anni i suoi figli hanno subito i colpi inferti dai nostri comuni nemici e destinati anche a noi, hanno versato il sangue anche al nostro posto, sono stati costretti a prendere le armi e a uccidere per proteggere anche i nostri figli, hanno vegliato nella notte e permesso a noi e ai nostri figli di dormire sonni tranquilli". Israele in questi poco più di 60 anni dalla sua fondazione é stata “i nostri 300 Spartani alle Termopili della porta tra Oriente e Occidente”, che hanno guadagnato il tempo necessario perché noi ci svegliassimo dal sonno della ragione e capissimo l´importanza di difendere la nostra identità cristiana e fondare anche noi un partito a questo scopo.
 
Come cristiani abbiamo in realtà un debito di gratitudine, non certo “un conto da regolare con Israele”.
 
L´Islam, che sin dalla sua fondazione nel VII secolo, ha rappresentato la minaccia più grave alla Cristianità, come documentato dalla storia e dalle battaglie sanguinose combattute per arrestarne la marcia inesorabile, ha ripreso la sua avanzata e freme a poche centinaia di km dalle nostre case, ansioso di stuprare anche le nostre donne, ridurre in schiavitù anche i nostri figli, appiccare il fuoco anche alle nostre chiese.
 
Solo Israele oggi si frappone tra noi e i barbari.
 
Il messaggio di "pace" di Betlemme rischia di materializzarsi sotto i nostri occhi grazie al nostro contributo: se continuiamo ad aiutare "quelli del Venerdì" a eliminare "quelli del Sabato", finiremo per accelerare la scomparsa di "quelli della Domenica"...

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