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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
23.07.2016 Fiamma Nirenstein: 'Ecco le 12 bugie su Israele' - parte III
Svelate le menzogne più diffuse contro lo Stato ebraico

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Le 12 bugie su Israele»

Riprendiamo la terza e ultima puntata del testo del libro di Fiamma Nirenstein dal titolo "Le 12 bugie su Israele", in allegato due giorni or sono con il GIORNALE. Le prime due parti sono alle pagine http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=253&sez=120&id=63155
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=9&sez=120&id=63170

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Fiamma Nirenstein

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La copertina

Bugia n. 9: Israele fa un uso sproporzionato della forza militare

Ecco un'altra accusa carica di bugie, e di nuovo falsamente ingenua. Addirittura a volte si arriva ad accusare Israele per aver causato la morte dei terroristi armati di coltello di quest'ultima ondata di violenza, e si porta a motivazione della condanna morale il fatto che siano ragazzi spesso in giovane o giovanissima età. E' vero, è un peccato che debbano perdere la vita o essere feriti: succede perché il terrorismo è letale, insiste nel suo obiettivo finché non lo fermi e la reazione al terrorismo in Israele è pronta, immediata e anche popolare. Chi reagisce a volte è solo un passante ben allenato dal servizio militare, che intende soltanto bloccare la possibilità che un altro bambino, un altro vecchio, un altro civile qualunque sia accoltellato, o investito con la macchina, o giustiziato a fucilate. In una situazione di confusione, la reazione più immediata è quella di fermarlo a tutti i costi. A volte l'esasperazione e la continua tensione possono certo creare reazioni forti e anche da giudicare secondo la legge, come infatti succede. In questi giorni la corte militare sta processando un soldato per aver sparato a Hebron a un terrorista colto sul fatto ma ormai, secondo il parere del suo comandante, non più in condizione di nuocere.

La seconda ragione per cui Israele fa vittime civili, a volte purtroppo anche bambini (cosa su cui sempre vengono aperte severe inchieste che portano alla punizione di soldati eventualmente responsabili di errori) è come si diceva, che essi vengono usati da Hamas, come anche i vecchi e le donne, come scudi umani, così come vengono usate anche le strutture civili, come le scuole, gli edifici dell’UNRWA o gli ospedali. A Gaza, la leadership di Hamas in situazione di guerra era solita rifugiarsi sotto l'Ospedale principale. Difendendo Israele dall'accusa di aver distrutto infrastrutture di uso civile nel corso della Seconda Guerra del Libano (2006), ha scritto Alan Dershowitz: "Per forza Israele mette fra i suoi obiettivi ponti e strade, sarebbe militarmente negligente se non lo avesse fatto, date le circostanze (gli Hezbollah bombardavano le città israeliane senza tregua da infrastrutture civili ndr). Ma non ha mai messo fra i suoi obiettivi la vita della popolazione civile, non ne avrebbe ricavato nessun beneficio militare. Quando Amnesty afferma, accusando Israele, che ‘una strada è costruita per usi civili anche se viene usata dai militari’, fa intendere che i terroristi hanno dunque il diritto di utilizzare qualsiasi struttura o strada costruita per uso civile...”.

“Gli Israeliani prendono di mira i bambini”. E' un'accusa così pazzesca, per chiunque conosca la mentalità israeliana, da non meritare risposta. Eppure occorre scrivere qualche parola perché ormai si tratta di un'accusa diffusa: a parte le falsità che si sono scritte sull'argomento, come quella, poi dimostratasi errata, sull'uccisione di tre bambini di Gaza sulla spiaggia nel corso della guerra del 2014, dove per errore sarebbe planata una cannonata israeliana dal mare facendone strage, è purtroppo vero che i bambini restano sovente vittime dello scontro israelo-palestinese. Gli Israeliani a volte sono costretti, da quella che si chiama guerra asimmetrica, a colpire obiettivi di comune uso civile in quanto vengono utilizzati come rampe di lancio dei missili contro la popolazione civile israeliana. Qui entra in gioco la cinica scelta di far uso dei bambini, e dei civili in generale, come scudo umano principale per impedire agli Israeliani da sparare. Tutt'altra cosa è la strage di bambini che il terrorismo palestinese compie con la precisa intenzione di colpire degli infanti. L'ultima ragazzina uccisa con determinata crudeltà è stata Hallel Yaffa Ariel, tredicenne pugnalata a morte nel suo letto, mentre dormiva, il 30 giugno a Kyriat Aaba, un insediamento vicino a Hebron, da un diciassettenne palestinese Mohammed Tarayra. Il giovane è stato ucciso. La sua mamma, come è capitato in molte occasioni si è detta fiere e contenta del sacrifico del suo shahid, il martire.

Fra i tanti eventi di questo genere, resta molto impressionante quello del marzo 2011 quando nel villaggio di Itamar in Cisgiordania, i genitori Udi e Ruth Fogel sono stati assassinati in casa con i loro tre bambini di 11 e 4 anni e un neonato di 3 mesi. Si tratta di operazioni preparate, spesso giustificate con l'idea esplicita che i bambini, ancora di più se sono figli di settlers, sono da considerarsi come soldati in erba. Di fatto i Palestinesi spesso usano i loro stessi figli usando questo stesso orribile criterio: i campi estivi di Hamas e anche di Fatah insegnano a uccidere gli ebrei, fanno fare a bambini corsi di aggressione e di difesa. Hamas ha usato migliaia di bambini per costruire i famosi tunnel che collegano Gaza con Israele. Sembra che i bambini uccisi da crolli nei tunnel siano stati almeno 160, secondo un rapporto del 2014 del Journal of Palestine Studies. Quanto ai missili di Hamas che cadono all'interno di Gaza stessa, le cifre che si conoscono danno un paio di migliaia di eventi del genere nell'ultima guerra. Quindi, anche se è molto doloroso e da evitare in ogni modo che le armi degli Israeliani siano, sia pure involontariamente, puntate su degli innocenti, bisogna tenere conto che la propaganda ha fatto di questa evenienza la prova di una scelta israeliana, di un odio mirato contro i bambini. Una menzogna inverosimile quanto potentemente attecchita sulle scorie dell'antisemitismo sia islamico che europeo e che viene associata a volte con un'altra invenzione paranoide ma passata nella mente popolare, ovvero che gli ebrei usino metodi nazisti, anzi, che "facciano ai Palestinesi quello che i nazisti hanno fatto loro".

Chiunque guardi la realtà può restare solo stupefatto del cinismo di questa accusa smentita dai fatti. Ci sono stati anche casi in cui la crudeltà israeliana è stata costruita ad arte con dei veri e propri fotomontaggi. Nel corso della guerra del 2014, alcuni bambini massacrati in Siria dalle bombe di Assad sono stati fatti passare per bambini Palestinesi uccisi dagli israeliani, come alcune foto della distruzione di edifici siriani sono state twittate come foto provenienti da Gaza. Le invenzioni di quella che ormai è nota come Pallywood includono bambini e adulti. Ciò non toglie che il numero dei morti nel conflitto sia doloroso e che i civili vadano di mezzo alla guerra non convenzionale. Questo tema così importante, tuttavia ignorato completamente, contribuisce a portare avanti il circolo vizioso di vittime e violazioni di diritti umani fondamentali.

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Una manifestazione di odio contro Israele

Bugia n. 10: Israele è un Paese autoritario, soprattutto verso chi non è ebreo

Non è vero, anche se Israele è lo Stato del popolo ebraico, come l'Italia è lo stato del popolo italiano. La libertà è tuttavia una prerogativa difesa coi denti anche nel mezzo della guerra permanente. I luoghi santi alle tre religioni sono totalmente liberi. I cristiani d'oriente hanno avuto talvolta interesse ad associarsi agli arabi, perché i musulmani, com'è successo a Betlemme, da cui l'espulsione di cristiani è sistematica, hanno verso di loro un atteggiamento aggressivo e discriminatorio fino alla persecuzione. Può capitare che anche gli arabi cristiani restino presi nelle maglie, per esempio, dei check point, o soffrano controlli di sicurezza tipici di un Paese continuamente sotto minaccia. Ma l'atteggiamento verso cristiani e musulmani è definito per legge come paritario, le tre religioni sono considerate alla pari anche se le altre due sono minoritarie. Sotto la dominazione giordana di Gerusalemme (’49 – ’67) gli ebrei non potevano nemmeno recarsi al Muro del Pianto, sotto gli Ottomani potevano pregare in un piccolo spazio di fronte a quell'unico luogo santo per l'ebraismo, mentre adesso tutti possono accedere ai loro luoghi sacri, dal Santo Sepolcro alla Spianata delle Moschee, e anche l'enorme flusso turistico è regolato secondo le esigenze e le regole delle varie religioni (autoimposte), tanto che non viene contestato che i musulmani diano diritto di accesso alle Moschee solo in certi giorni e determinati orari, in base alla volontà del Waqf. Le limitazioni di accesso alle Moschee da parte israeliana sono dovute, e solo in casi particolari, a gravi minacce alla sicurezza e non a motivi religiosi. E' capitato molte volte che sanguinosi scontri abbiano origine durante le preghiere del venerdì sulla Spianata. Ma siamo molto lontano dai divieti musulmani a pregare secondo la propria fede nei luoghi da loro controllati e, se si compara per esempio l'atteggiamento israeliano con quello di qualsiasi Stato islamico, si può notare che il livello di apertura democratica verso la libertà di culto è incomparabile ai Palestinesi, ai Sauditi etc. Non c'è niente di vero nella balla che Israele stia tentando di cambiare lo Status quo che vige sui luoghi santi di Geruslemme: l'anno scorso circa 3 milioni e mezzo di musulmani hanno visitato la Spianata delle Moschee, così come 200mila cristiani e 12mila ebrei.

Per contro, le autorità religiose delle Moschee hanno promosso scavi archeologici molto distruttivi dell’antica realtà del luogo, così da cercare di cancellarne la memoria ebraica: un danno culturale immenso. Agli ebrei è vietato pregare sul luogo in cui Salomone costruì il suo Tempio 3,000 anni fa. C'è una parte ristretta di ebrei che tenta di affermare il diritto a frequentare e a pregare sulla Spianata, o Monte del Tempio, ma è un'azione senza futuro. Parlando di libertà civili, è il caso di ricordare anche la libertà sessuale e la libertà di opinione. I giornali, sulla scorta di accuse che provengono dall'opposizione e dal mondo arabo, si impegnano molto a cercare di individuare misure di sicurezza e di controllo che possano dimostrare che "la libertà in Israele è minacciata". Così è avvenuto quando, per un'inchiesta televisiva, si è venuti a sapere che alcune fra le più importanti NGO pacifiste sono finanziate dall'estero e una in particolare dai Palestinesi: la discussione in parlamento sulla liceità di questi finanziamenti e la possibilità quindi di vincolarli, ha spinto a parlare di mancanza di libertà.

Israele è invece parossisticamente libera in uno stato di guerra, fenomeno più unico che raro. La stampa israeliana, come la tv e i media in generale sono estremamente attivi nel proporre senza fine opinioni contrapposte e gridate; è addirittura caricaturale il modo in cui le opinioni si sfidano e si fronteggiano e la classe politica viene messa continuamente in questione. Non esistono vacche sacre per la stampa israeliana. Basta pensare che grazie a inchieste giornalistiche un primo ministro israeliano, Ehud Olmert, è finito in prigione per corruzione e un presidente della repubblica, Moshe Katzav, sconta una pena di sette anni per violenza sessuale e intralcio alla giustizia. La pluralità delle idee fa sì che anche su questioni strategiche come la pace in Medio Oriente e sulla funzione stessa dell'esercito si scontrino pareri completamente diversi, e da questo nasce un dibattito politico, ideologico e culturale intensissimo e diffuso, per cui ogni tassista si considera un possibile primo ministro e per cui ogni deputato arabo alla Knesset può dichiarare in aula di essere dalla parte dei terroristi senza essere espulso. Si dice che solo qui un arabo che dissenta dal suo governo può tornare a casa a tarda notte senza temere niente, come invece gli accadrebbe in qualsiasi altro Stato del Medio Oriente.

Una delle tante campagne antisraeliane – il cosidetto pinkwashing - sostiene che la pretesa di Israele di rispettare e proteggere i diritti degli omosessuali è semplicemente propaganda fatta per coprire la violazione di altri diritti umani. In Israele il sistema di riconoscimento dei diritti LGTB è fra i migliori del mondo. Scrittori, artisti, registi, uomini politici e militari sostengono apertamente la loro posizione nella società e ricoprono ruoli rappresentativi. Israele aveva ereditato il sistema ottomano e inglese in cui l'omosessualità veniva considerata un crimine e punita con la prigione fino a dieci anni. La legge, mai applicata, è stata cancellata nel 1988. Nel '91 le forze di Difesa Israeliane hanno eliminato ogni discriminazione sulla base delle tendenze sessuali; la discriminazione su base dell’orientamento sessuale è proibita dalla Legge sulle Pari Opportunità, riformata nel 1992 per proteggere l’identità sessuale; nel ‘94 il caso Danilowitz (uno stewart della compagnia aerea EL AL) stabilì che il partner nella coppia gay ha gli stessi diritti di quello di una coppia eterosessuale, aprendo così la strada all’acquisizione di una lunga serie di diritti per le coppie Lgbt; nel 2005 è stato sancito il diritto di adozione del figlio del partner. Insomma hanno buoni motivi tutti gli omosessuali del Medio Oriente, compresi centinaia di Palestinesi, a fuggire in Israele quando sono perseguitati, come lo sono ovunque nel mondo islamico, fino alla pena di morte. L'ultimo caso famoso è quello di Payam Feili, un poeta gay iraniano fuggito l’anno scorso in Israele, dove ha ottenuto asilo politico.

Bugia n. 11: il terrorismo nasce dalla frustrazione di non avere ancora uno Stato

Il terrorismo palestinese è aumentato ogni qual volta c'era in vista una possibile soluzione, o comunque quando erano stati stretti accordi che potessero spingere i Palestinesi a prender posizione di fronte a un consesso internazionale sempre più stufo dei suoi molteplici rifiuti. La pace è stata rifiutata sia prima che dopo la creazione dello Stato d'Israele, prima e dopo il controllo dei Territori conquistati con la guerra dei Sei Giorni, prima e dopo lo sgombero di Gaza nel 2005. Fra la firma degli accordi di Oslo e la caduta del governo laburista israeliano nel '96 il terrorismo palestinese ha ucciso 210 israeliani, tre volte quelli dei 26 anni precedenti. Due terzi dentro la linea verde. Dal settembre 2000, un mese dopo il fallimento delle trattative di Camp David, una guerra terrorista, la cosiddetta Seconda Intifada, fece quasi 2000 vittime. Insomma, l'abbandono dei territori e la prospettiva di un accordo non sono necessariamente fattori di pace. Gaza, nel 2005 completamente liberata dalla presenza ebraica, si è trasformata in entità jihadista il cui imperativo morale di uccidere gli ebrei e stabilire il califfato universale è lo scopo primario della sua esistenza, mentre la sua leadership non dimentica anche una soffocante e estremista oppressione dei cittadini. I Palestinesi insegnano ai bambini a scuola non come creare un nuovo stato ma come distruggere lo Stato Ebraico. Basta dare uno sguardo alle trasmissioni, anche per piccolissimi, che la tv dell’ANP, Al Aqsa Tv, trasmette, come “I Pionieri di Domani”, con Farfour, il Topolino palestinese, o Nahoul, l’Ape Maya palestinese, che portano avanti un sistematico lavaggio del cervello dei Palestinesi sin dall’infanzia con candide frasi come “Noi libereremo Al-Aqsa dalla sozzura degli ebrei criminali” (episodio 8, 2007).

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Terroristi palestinesi

Bugia n. 12: Il terrorismo palestinese è diverso da quello che colpisce il resto del mondo

E' una menzogna: semmai ne è la madre e il padre. Israele è forse il Paese che più ha sofferto per quella piaga che oggi tutto il mondo è costretto a conoscere: il terrorismo. Ha avuto fino al 2015, 3773 morti per mano del terrorismo. Dal settembre del 2015 a oggi ha avuto più di 40 morti e 520 feriti. Gli orrori contro i civili avrebbero messo in ginocchio qualsiasi Paese europeo. Basta sedersi a un bar o prendere un autobus o andare al supermarket per essere nel mirino: una bambina di pochi mesi uccisa con un colpo di fucile alla testa da un cecchino (Shalhevet Pass, 2001), intere famiglie sterminate (Famiglia Fogel, Itamar, 2012), genitori uccisi sotto gli occhi dei figli (Michael Marc, 2016), bambini scannati (Hallel Ariel, 2016), liceali rapiti e ammazzati come cani (Eyal, Gilad, Naftali, 2014), un ragazzino adescato su internet da una giovane palestinese fino a Ramallah e poi fatto a pezzi in un garage (Ofir Rahum, 2001, adescato da Mona Awana, rilasciata nel 2011 nello scambio di 1,027 terroristi per liberare il soldato Gilad Shalit, rapito nel 2006 da Hamas).

E' oltraggioso e molto preoccupante che Ban Ki-Moon dichiarando un minuto di silenzio per tutte le vittime del terrorismo nel mondo durante la conferenza di Parigi sul clima abbia elencato tutti i Paesi recentemente colpiti da questa piaga omettendo Israele. Così hanno fatto Papa Francesco, Joe Biden e altri leader internazionali. E' una pura forma di disprezzo per i morti ebrei, come del resto si manifesta fin dai tempi della Seconda Intifada. Gli assassini hanno sparato, pugnalato, assalito le auto, hanno investito in macchina chi aspettava alla fermata degli autobus o persino hanno trucidato dei bambini nei loro stessi letti mentre dormivano. La lectio comune è che si tratti di parte della guerra di liberazione del popolo palestinese. Liberazione da che cosa? Da un sistema democratico liberale, dove vige la libertà sessuale e un cittadino ne vale un altro, un sistema inviso al mondo musulmano in quanto tale.

La verità è che il terrorismo palestinese esiste da molto prima di quella che piace, all'EU e all'ONU, definire come la causa del terrorismo attuale, cioè la frustrazione per la crescita di insediamenti nei Territori. Israele in sostanza viene ritenuto responsabile degli orrori perpetrati contro i suoi stessi cittadini da qualche riprovevole ma marginale estremista, mentre il popolo palestinese sarebbe pronto al compromesso. Certo è vero che esiste fra i palestinesi anche chi desidera la pace, ma si tratta di un sentimento che non è mi stato espresso liberamente. In realtà il terrorismo è una, se non la scelta basilare della guerra palestinese contro Israele, e lo è esplicitamente per quel che riguarda Hamas, e implicitamente per quanto riguarda Fatah. Arafat finanziò coi soldi del contribuente occidentale versato nelle casse della ANP attraverso numerosi meccanismi, sia dell’UE, sia dell’ONU, l'Intifada delle cinture esplosive dal 2000 al 2005. E oggi Abu Mazen, nel suo sempre maggiore sostegno dell’Intifada dei coltelli, può approfittare del fenomeno di autocolpevolizzazione della vittima che accompagna l'ondata di terrorismo mondiale: di fronte agli attacchi di Parigi, Bruxelles, Orlando, l'opinione pubblica tende a battersi il petto per le responsabilità storiche dell'Occidente che spiegherebbero le ragioni dei terroristi. I terroristi stessi ci spingono a questo: l'ISIS, Hamas, gli Hezbollah, il regime islamista iraniano tornano sempre sulle responsabilità occidentali verso il mondo islamico.

E i Palestinesi suggeriscono a ogni occasione le molte colpe di Israele. La verità è che l'educazione al terrorismo ha origine proprio nelle grandi operazioni palestinesi, come quella contro i bambini della scuola di Maalot (1974, 25 ostaggi uccisi); il massacro degli 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco del 1972; tra i tanti sequestri aerei, il dirottamento a Entebbe, nel 1976, del volo Air France con 248 passeggeri a bordo, che poi furono liberati dagli israeliani che persero il capo dell’Operazione, Yoni Netanyahu; gli attacchi a Fiumicino del 1973 e del 1985, riportati alla mente dall’attentato all’aeroporto di Bruxelles. L'idea che il terrorismo può essere lo strumento principale per catturare l'attenzione e quindi polarizzare la paura e il disordine a proprio vantaggio è né più né meno che una creazione di Arafat, poi sviluppata in varie forme, fino agli attentati alle Torri Gemelle, fino a Madrid, a Londra, a Parigi.

L'attacco contro gli ebrei è sempre centrale e rivendicato non a causa di richieste territoriali, ma in nome di un rifiuto a forte caratterizzazione ideologica e religiosa, che considera una presenza ebraica sull'Ummah islamica una ferita da cancellare cauterizzandola. Si può dire che l'impostazione genocida dell'attuale terrorismo palestinese è non a caso connesso coi programmi di sterminio di Hitler. Haj Amin al Husseini, il Gran Mufti di Gerusalemme, leader palestinese degli anni ’30 e ’40, fu infatti amico e sodale di Hitler e fu il primo fra i Palestinesi a considerare come un fine l'espulsione degli ebrei tramite la loro eliminazione fisica. Questo atteggiamento ha radici molto profonde nell'Islam estremo, lo Statuto di Hamas (1988) prescrive di uccidere gli ebrei uno a uno: "L’Ultimo Giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo" (articolo 7).

Queste parole sono ripetute spesso anche nell'ambito di Fatah, Abu Mazen stesso ne ripete le lodi, come ha fatto il 16 settembre 2015 in un discorso alla tv: “Noi diciamo benvenuto a ogni goccia di sangue versato per Gerusalemme. Sangue puro, sangue pulito, sangue che sale fino ad Allah; con l'aiuto di Allah ogni martire verrà ricompensato in paradiso e ogni ferito avrà la sua ricompensa". Nella stessa occasione ha detto: “Gli ebrei sono sporcizia, profanano e contaminano Gerusalemme”. E di fatto l'Autonomia palestinese la ricompensa ai propri martiri la fornisce: versa più del dieci per cento del suo budget annuale di tre miliardi e mezzo di dollari nelle tasche dei detenuti palestinesi o alle famiglie dei terroristi suicidi o uccisi. Sono cifre più elevate di quelle di un salario normale, da circa 400 a 3500 dollari al mese. Ovviamente, quanto è più lunga la detenzione, ovvero quanto è maggiore il crimine, di tanto aumenta nel tempo la spesa. Quando il terrorista esce di prigione, ha diritto a un lavoro garantito, e riveste un ruolo socialmente molto invidiabile, tale da suscitare l'emulazione dei giovani. L'odio per gli ebrei è metafisico e ispirato in gran parte al fine religioso della Moschea di Al Aqsa, disegnata nella fantasia e nei mass media come in costante pericolo. Il messaggio dei social network e dei media è che vale la pena di diventare shahid per difendere la Moschea. La venerazione degli shahid palestinesi è nella società palestinese un forte motivo di emulazione, il motivo per cui tanti ragazzini con un coltello in mano cercano una vittima israeliana e, com'è successo spesso, la loro stessa morte è motivo di glorificazione in tutta la società palestinese. Chi pretenda di leggere questo tipo di esaltazione come una strada politica di apertura a una qualsiasi trattativa di pace, mente. Ma la menzogna è la compagna della propaganda antisraeliana, ed è ormai anche compagna di un crescente antisemitismo europeo di matrice israelofobica, che va affrontato prima che sia troppo tardi, cercando finalmente la verità.

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