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Rassegna Stampa
17.02.2016 Amare il proprio padre
Fiamma Nirenstein recensisce il libro di Pierluigi Battista

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Si dovrebbe amare il padre anche quando è un fascista»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 17/02/2016, a pag. 23, con il titolo "Si dovrebbe amare il padre anche quando è un fascista", la recensione di Fiamma Nirenstein a "Mio padre era fascista", di Pierluigi Battista.

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Fiamma Nirenstein

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Pierluigi Battista

Ha la forma e il ritmo di una messa da requiem il libro di Pierluigi Battista Mio padre era fascista (Mondadori, pagg. 161, euro 17,50). Una storia scritta con passione torrenziale, che racconta uno scontro senza quartiere mentre si aspira ansiosamente alla pace. Ma questa pace ha richiesto un percorso in salita verticale, che Battista affronta con difficoltà: pare quasi di sentirne il respiro mentre conduce in cima il lettore. Perché il racconto non si limita a scavare dentro la storia di un conflitto ideologico e epocale - ossia lo scontro fra un padre fascista, che aderisce alla Rsi restandone orgoglioso, e un figlio della generazione ribelle, quasi comunista o che si crede tale, sicuramente antifascista, insomma militante, da ragazzo, nel campo opposto - ma anche dentro le coscienze individuali.

La storia è quella drammatica di una generazione - quella dell'autore, e anche la mia, che sono un po' più grande di Pigi - che negli anni dell'adolescenza, in un'Italia stretta fra pulsioni diverse, ha respinto i genitori, li ha messi all'angolo, e ergendosi, come dice Battista, «a paladino del bene e del male» ha perso di vista «la clessidra che a poco a poco ma inesorabilmente è destinata a vuotarsi». Battista parlando del picco della battaglia - che ormai dopo anni di fioretto e di sfumature diviene invece scontro quotidiano - e alla vigilia del crollo della salute del padre che lo porterà alla morte, scrive: «Se avessi saputo che il tempo a nostra disposizione si stava invece crudelmente esaurendo, avrei sentito forse l'urgenza di una pace vera, di un nuovo incontro, di una spiegazione, di un riconoscimento reciproco... senza inquisitori, insolenze, rappresaglie, vendette. Ma non lo sapevo».

Quanti di noi potrebbero dire le stesse parole, anche senza un genitore fascista? Pigi di fatto affronta il dramma di una generazione che negli anni Settanta ha fatto dei propri genitori il capro espiatorio di tutte le ingiustizie del mondo, imputate per lo più al capitalismo. La rottura generazionale di quegli anni rende universale il racconto di Battista, certamente più drammatico perché suo padre portava così palesemente e anche con una certa voluttà e alterigia su di sé la peggiore delle colpe degli anni in cui l'autore era bambino e poi ragazzo: essere stato, anzi, essere rimasto fascista.Battista racconta senza sconti suo padre, descrivendo come un uomo confuso, eccitato, marinettiano, ipnotizzato dal Duce e dai «camerati», accecato anche sugli aspetti più feroci del fascismo da una fedeltà insistita che Pigi non sa, alle volte, se esaltare o biasimare. Ripetendo che il padre «erano due» l'autore disegna un personaggio per cui la camicia nera era una sovrapposizione ideologica giovanilistica (il padre aveva aderito alla Repubblica di Salò ventenne) a una solida vocazione borghese di uomo di legge. E viceversa.

La casa di Pigi, nel quartiere Prati, a Roma, aveva biblioteche e salotti ordinati, oggetti allineati, mobilio conformista, un ambiente tipico da avvocato amante dell'ordine. Ma negli anni della crescita del bambino e del ragazzo Pigi, si mescolano i due padri: c'è il turismo fascista cui Vittorio Battista sottopone il ragazzino («Guarda») fra le statue del foro italico («anzi, Foro Mussolini»), l'Eur col Colosseo Quadrato, e l'ordine perentorio di mettere giù i gomiti da tavola. C'è anche l'avvocato che difenderà in tribunale sia la destra estrema sia le Brigate Rosse. Ma più potente di tutto, una scaturigine infinita di amarezza, di offesa, del senso del tragico rifiuto patito con la fine del regime.

Un sentimento sovrastante, che ha segnato la vita di Vittorio e quella della sua famiglia: Pigi viene a conoscenza della disperata solitudine del padre quando si trova fra le mani un diario in cui si descrivono le vicissitudini dei prigionieri di Salò, fra i quali c'è Vittorio: sono in catene, coperti di sputi e di insulti, mentre sfilano in mezzo a una folla che grida odio e vendetta; e poi la descrizione della prigionia a Coltano, l'ombra tragica di Ezra Pound e degli altri che per aver praticato fino all'ultimo la loro fedeltà, subiscono non solo una sorte orribile, ma anche la sempiterna maledizione dell'ignominia fascista.Pigi racconta la storia di suo padre senza cercare sconti, a volte si permette persino qualche sorriso che ormai appare tenero, ma che a suo tempo deve essere stato beffardo. Quando rivanga l'atrocità dell'antisemitismo concede a suo padre l'attenuante di una certa inconsapevolezza, anche se non ci crede fino in fondo. E non ci credo neanche io, anche se in molti fascisti l'antisemitismo fu blando, e forse per questo ancora più colpevole di fronte alle leggi razziali e alle deportazioni. Pigi riconosce al padre - e qui ci credo - un desiderio sincero di riparazione, e chi scrive deve confessare una grande emozione nell'aver letto che quel percorso di coscienza è avvenuta anche attraverso la nostra amicizia. Una pagina in cui si parla dei nostri padri disegna tutta la fatica, per chi è nato dopo la Seconda guerra mondiale, di elaborare la tragedia che ciascuno per la sua strada ha attraversato.

Pigi ha avuto il suo redde rationem per tornare verso l'affetto del padre in un momento di grande conflitto quotidiano, quando nel rogo di Primavalle furono bruciati vivi due membri della famiglia Mattei, tra cui un bambino di 8 anni, e l'opinione pubblica non ne venne turbata perché si trattava della casa di un militante di destra. Da qui inizia una strada che viene marcata dalla morte di Vittorio, che Pigi percorre fino al terremoto che lo travolge quando da giornalista a Fiuggi copre il congresso del MSI che abbandona la veste fascista: quella notte il messaggio del padre sulla fine e la disfatta del partito si trasforma in febbre, pianto, disperazione. No, il personale non è politico. Pigi è oggi un giornalista famoso per la sua passione democratica, il contrario del fascista che suo padre è stato, ma ha imparato a amare il padre come probabilmente suo padre ha sempre amato lui.

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