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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
05.08.2014 In Italia in moschea si può incitare ad uccidere gli ebrei, in Marocco è proibita ogni attività politica
Succede a San Donà del Piace, il decreto di re Mohammed VI

Testata:
Autore: Gian Micalessin - Giuliana De Vivo
Titolo: «Il sermone dell'imam: 'Ebrei a morte' - E il Marocco vieta la politica nei luoghi di culto»
Riprendiamo  dal GIORNALE di oggi 05/08/2014, a pag. 13, l'articolo di Gian Micalessin dal titolo "Il sermone dell'imam: 'Ebrei a morte'" e l'articolo di Giuliana De Vivo dal titolo "E il Marocco vieta la politica nei luoghi di culto "

Riportiamo anche di seguito il link al video del sermone nel quale lo sceicco Abd Al Barr Al Rawdhi ha incitato ad uccidere gli ebrei, a San Donà di
Piave

https://www.youtube.com/watch?v=QvDXpaeS5os


"O Allah, contali uno ad uno, e uccidili fino all'ultimo"

Di seguito, l'articolo di Gian Micalessin:


Gian Micalessin

      


"Ora Israele, subito dopo è l'Italia. Israele è l'ultima frontiera del mondo libero"

«Allah contali uno a uno e uccidili fino all'ultimo, non risparmiarne neppure uno». L'invettiva contro il popolo ebraico non riecheggia da una moschea di Gaza, ma dalle mura della moschea di San Donà del Piave. A pronunciarla, sotto gli occhi indifferenti dei fedeli, è lo sceicco Abd Al Barr Al Rawdhi, arrivato nella cittadina del Veneto - distante una trentina di chilometri da Venezia - per celebrare la preghiera dello scorso venerdì.
Le immagini dell'inquietante sermone in arabo girano da ieri su internet, diffuse da Memri, un centro di ricerca filo-israeliano basato a Washington e specializzato nell'analisi e traduzione della stampa araba e islamica. Nel filmato, ripreso probabilmente con una telecamerina nascosta, si vedono un'ottantina di islamici allineati su corsie di moquette verde in un'ampia sala. L'imam - secondo Memri lo sceicco Abd Al Barr Al Rawdhi - parla da un piccolo pulpito appoggiato su una scaletta di quattro o cinque gradini.
Da lì partono parole di fuoco contro un popolo accusato di avere «il cuore più duro della pietra». Un popolo colpevole secondo l'imam di «aver sparso il sangue dei profeti» e di «gente innocente». Un popolo che merita per questo di «essere incatenato e maledetto». Dopo queste premesse l'imam pronuncia l'invocazione centrale, cuore di tutto il sermone. «Allah contali uno ad uno e uccidili tutti fino all'ultimo. Non risparmiarne neppure uno. Fai diventare il loro cibo veleno, trasforma in fiamme l'aria che respirano. Rendi i loro sonni inquieti e i loro giorni tetri. Inietta il terrore nei loro cuori». Un messaggio in sintonia con i trascorsi di una moschea dove secondo il presidente della provincia di Venezia Francesca Zaccariotto, già sindaco di San Donà di Piave dal 2003 al 2013, la «presenza di elementi radicali era stata più volte segnalata».
La moschea realizzata riadattando un ampio appartamento, affittato da un privato al locale centro islamico, si trova all'interno del perimetro di un centro commerciale appartenuto in passato alle Coop. «Durante il mio mandato di sindaco - ricorda Zaccariotto - avevo ricevuto numerosissime segnalazioni su attività sospette che avevamo provveduto a girare sia ai vigili urbani sia ai carabinieri senza però riuscire a raccogliere elementi sufficienti per ottenere la chiusura del centro». Minimizza (ma conferma l'episodio) Kamel Layachi, ex leader del centro islamico: «Parole fuori contesto, non bisogna fraintendere».
Nel 2012 le indagini su un giro di estorsioni ai danni di immigrati costretti a «donare» denaro convogliato su conti correnti siriani, libanesi o sauditi e utilizzato per favorire le entrate illegali in Italia aveva però portato all'arresto di quattro siriani tra cui Ahmad Chaddad, imam della moschea di San Donà fino al 2009. I quattro, arrestati a Vicenza dopo un'inchiesta condotta dalla Digos di Venezia, erano accusati di aver raccolto circa un milione e mezzo di euro utilizzati - secondo le ipotesi investigative - anche per finanziare attività eversive. Le indagini erano partite dalle segnalazioni di alcuni immigrati che si erano presentati in Questura denunciando le aggressioni e le vessazioni subite per mano del gruppo guidato da Chaddad. L'ex imam era già noto agli inquirenti per gli stretti contatti con Arman Ahmed El Hissini Helmy, alias Abu Imad, l'omologo della moschea milanese di viale Yenner, condannato a tre anni e otto mesi per favoreggiamento del terrorismo.
E tra le relazioni pericolose dell'ex imam di San Donà non mancava il «collega» di Como Ben Hassine Mohamed Senoussi, espulso dall'Italia per la sua presunta attività di proselitismo illegale.

Di seguito, l'articolo di Giuliana De Vivo:

           
Giuliana De Vivo          Mohammed VI, re del Marocco

Quattro decreti reali per regolare l'attività di imam e mufti nelle 46mila moschee del Paese, proibendo loro di affrontare temi politici o ideologici.
È l'ultima misura del re del Marocco Mohammed VI, e si inquadra in un piano avviato da anni, dopo che, nel 2003, la capitale economica Casablanca fu teatro di cinque attacchi terroristici di matrice islamica in cui rimasero uccise 45 persone. Allora sembrò un fulmine a ciel sereno: il Marocco, crocevia di culture, meta turistica, culla dell'Islam malikita, si pensava immune da qualunque guerra di religione.
L'esigenza sembra tornata urgente ora che il fondamentalismo islamico conquista potere e semina il terrore in alcuni Paesi del Nordafrica, Libia in testa. L'obiettivo dichiarato dal sovrano è quindi rafforzare il controllo sui leader religiosi ed evitare la propaganda jihadista, in un Paese dove convivono da sempre le tre grandi religioni cristiana, ebraica e musulmana. Le nuove norme prevedono che gli imam e predicatori islamici non possano svolgere altre attività politiche o sindacali, così come viene richiesto che si astengano dal manifestare le proprie idee politiche. Obbligatorio, poi, che studino per «attualizzare» il proprio ruolo di guida spirituale.
Uno strumento di sicurezza e di controllo, secondo alcuni, ma ad altri i provvedimenti non convincono. Youssef Belal, analista e autore di testi come «Sociologia religiosa dell'Islam politico in Marocco», ne ha criticato la formula un po' vaga, e dunque discrezionale.
La casa reale invece difende i decreti, sottolineando che si collocano nello stesso alveo della riforma della Costituzione varata nel 2011, quando, sull'onda delle proteste delle primavere arabe, il sovrano decise di per dare un segnale di democraticità, conferendo maggiori poteri al parlamento.

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