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Rassegna Stampa
01.06.2014 Tutti i turchi agli arresti domiciliari
L'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Istanbul, Erdogan schiaccia la protesta»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 01/06/2014, a pag.13, con il titolo " Istanbul, Erdogan schiaccia la protesta", l'analisi di Fiamma Nirenstein sul giro di vite imposto da Erdogan ' chi va in piazza sarà arrestato', e questa sarebbe la Turchia che qualcuno vorrebbe in Europa.


Fiamma Nirenstein 

Istanbul è una fortezza, la sua fortezza, Taksim è la sua piazza, anche ieri, anniversario della rivolta che in quella piazza ha fatto almeno 7 morti e 3000 fe­riti: la Turchia, per come la vede lui, Recep Tayyip Erdogan, è un cavallo bizzoso da tenere a fre­no, il ricordo di quelle giornate una perversione da sedare con la forza. Mentre 25mila poliziot­ti si po­sizionavano in tutta la zo­na pericolosa, dozzine di canno­ni ad acqua prendevano posto, i mezzi corazzati occupavano il terreno, venivano chiuse sia la strada principale Istiklal Cadde­si, sia le vie d'acqua: i ferry e le barche si bloccavano con gli au­tobus a disegnare un vero stato d'assedio, Erdogan ha detto la sua: «Se andate in piazza, sap­piate che le nostre forze di sicu­rezza hanno ricevuto istruzioni precise e faranno qualunque co­sa si renda necessaria, dall'a al­la zeta... non vi sarà permesso di fare quello che è accaduto lo scorso anno perchè siete obbli­gati a rispettare le leggi. Se non ubbidirete, lo Stato farà quanto necessario». La promessa è chiara: si tratta di prigione, bot­te, ferite, persino della morte.
Una legge inaugurata l'anno scorso proibisce ai medici di soccorrere i feriti, e questo ren­de le parole di Erdogan ancora più minacciose. Cionostante ie­ri migliaia di persone si sono re­cate
in piazza Taksim e la poli­zia ha usato i lacrimogeni per di­sperderle. Un giornalista della Cnn, Ivan Watson, è stato cac­ciato a calci dalla piazza. Il Pri­mo Ministro ha parlato degli or­ganizzatori della manifestazio­ne nell'anniversario di Taksim come di «terroristi», torna il suo stilema preferito, quello della congiura internazionale, sem­pre in uso per i suoi numerosi guai politici interni e anche per la tragedia della miniera di So­ma, in cui hanno perso la vita 300 lavoratori. Anche là erano stati gli israeliani, la sua osses­sione malata, ad aver provocato il disastro, come anche ad aver organizzato la caduta di Morsi, Fratello Musulmano come lui, in Egitto; e hanno sostenuto an­che il suo arcinemico Fetullah Gulem, il clerico che vive in America e disturba il manovra­to­re con la sua potente rete orga­nizzativa, e i giornalisti, e Goo­gle «la peggiore minaccia per la società contemporanea».
Erdogan è al potere dal 2002, il suo Akp ha riportato l'Islam politico nella Turchia che si face­va largo con incerte e coraggio­se bracciate lungo il fiume ke­malista verso la democrazia e l'Unione Europea. Nonostante la politica squilibrata e eccitata che ha condotto da allora, è sem­pre riuscito a riconquistare il fa­vore
della maggioranza. Il 30 di marzo ha vinto di nuovo le ele­zioni nonostante le intercetta­zioni che esponevano il coinvol­gimento suo e delle famiglia in storie milionarie di corruzione, nonostante il numero di giorna­listi imprigionati ricordi la Ci­na, e nonostante il processo Er­genekon sia riuscito a mettere a tacere tutta la classe militare guardiana del potere laico in Turchia. Erdogan da 21 milioni di voti nelle elezioni precedenti è passato a 19,5, e la gente che manifestò per l'altra Taskim an­che in provincia creò un movi­mento di massa calcolato a tre milioni e 600mila. L'opposizio­ne esiste ed è forte e variegata, da Gulem ai movimenti secola­risti, ai gruppi di studenti, alla protesta delle donne per quel ve­lo che reintrodotto da Erdogan come permesso (Kemal Ata­türk l'aveva proibito) di fat­to è diventato un simbolo.
I giovani hanno odiato an­che la proibizione di ven­dere alcolici dalle dieci di sera alle sei di mattina. Er­dogan ha dovuto anche su­bire
la liberazione di molti dei generali e dei giornali­sti che aveva fatto impri­gionare; continue manife­stazioni di protesta mo­strano che la Turchia ha un largo nucleo secolare. Quando è stato ucciso Be­rkin Elvan, un quindicen­ne che andava a comprare il pane, e poi il 21 di marzo scorso ci sono stati altri due morti, quando i social network sono stati chiusi perchè accusano Erdogan di corruzione, la folla non ha mancato di rispondere. Poi però entra in scena il dittato­re di cui invece per anni Obama ha lodato «la grande leader­ship », nel ruolo di ponte fra mondo occidentale e mondo islamico. Ma ormai, tutto que­sto è tramontato.

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