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Rassegna Stampa
12.05.2013 Le donne che cambiano il mondo: Malala Yousafzai
Fiamma Nirenstein racconta la sua storia

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Le donne che cambiano il mondo»

Sul GIORNALE di oggi, 12/05/2013, a pag.20/21, con il titolo " Le donne che cambiano il mondo: Malala Yousafzai" Fiamma Nirenstein racconta la storia delle ragazzina coraggiosa che si ribellò ai talebani. 


Fiamma Nirenstein                    Malala Yousafzai

Per capire bene perchè Malala Yousafzai, oggi quindicenne, abbia dato un enorme contributo a cambiare il mondo, e speriamo che lo dia ancora, bisogna guardare allo sfondo. E’ uno sfondo dantesco, in cui andare a scuola per una ragazza è una sfida e un atto di coraggio contro le fiamme dell’inferno. I talebani che avevano occupato il distretto di Swat, quello di Malala, guidati da un certo Fazlullah, avevavano fatto saltare per aria la scuola femminile, e nella moschea i seguaci di questo santone flagellavano a scudisciate gli “apostati”, mentre la folla si riuniva nella moschea a Fazlullah che gridava “Il governo dice che non dovremo farlo, ma noi non seguiamo i loro ordini, seguiamo gli ordini di Allah”, e la folla rispondeva “Allahu Akbar”; e gridava così anche quando Fazlullah chiedeva: “Siete pronti a fare sacrifici? Siete pronti per un sistema islamico?”. Fazlullah intanto proibiva la tv, il cinema, la musica,le vaccinazioni contro la polio, le cassette, le radioline, il ballo, il canto, i serial tv, trasmetteva di continui le sue prediche dalle tv locali, probiva a chiunque, pena la morte, di avvicinarsi a un’emittente tv. Una famosa ballerina, Shabana, fu uccisa fra vari altri artisti e intellettuali, e il suo corpo gettato sulla pubblica piazza. Le arti erano ritenute farina del diavolo, e punite senza pietà. La libertà di opinione, era un lontano ricordo nella provincia di Swat, “la mia Swat” come la chiama Malala, un sito ritenuto fra i più liberi e fantasiosi del Pakistan, anche grazie alle sue caratteristiche di turismo sciistico. C’era una certa libertà fino all’invasione dei Talebani. L’educazione femminile, che aveva uno sviluppo tutto suo nella provincia, fu ritenuta dagli islamisti la peggiore di tutte le perversioni, peggio della simpatia per gli Stati Uniti o la tolleranza verso Cristiani e Ebrei. Scriviamo questo perchè la vicenda di Malala, che ha il suo apogeo in uno sparo che l’ha quasi uccisa, ha suscitato tante discussione: una bambina di 14 anni che diventa il simbolo della lotta per la cultura e la libertà delle donne islamiche, che giunge a essere quasi uccisa perchè ha tenuto un blog sul sito della BBC, che ha parlato ripetutamente in tv raccontando il suo Paese in un inglese ricco e articolato quanto pochi altri nella sua zona, è stata a volte vista come una vittima più che come un’eroina, e soprattutto come la vittima di suo padre, Ziauddin Yousafai. Ziauddin è un intellettuale, ex professore dell’Università di Peshawar, un poeta, un appassionato difensore della bellissima valle di Swat, ed è persino il padrone della scuola femminile. Egli venne a sapere dell’attacco alla figlia il 9 ottobre 2012 mentre si trovava per un dottorato in Illinois. Ziauddin entrò allora in una crisi molto seria, pervaso dai sensi di colpa: era stato un ardente ammiratore e promotore delle doti intellettuali della piccola figlia, spingendola nonostante l’età quasi infantile verso la scuola, lo studio, la lettura, dandole il coraggio di parlare in tv e di scrivere il suo blog anche a fronte delle minacce di morte dei talebani quaedisti. Ma leggendo bene la vita di Malala, che oggi studia tranquilla a Birmingham ed è stata proposta per il Premio Nobel per la Pace, i dubbi di una forzatura vengono fugati; ci si convince invece che Malala, che certo ha goduto dell’appoggio familiare, è tuttavia lei, come un’antenna che abbia raccolto tutto l’orrore e il coraggio, la poderosa rompighiaccio della condizione islamista della donna, che in lei respira la volontà magnifica di rompere delle catene così terribili e potenti da risultare quasi incomprensibili per noi occidentali. Malala è nata nel 1997, della cittadina di Mingora nel distretto di Swat. Anche se i talibani se ne erano formalmente andati nel 2009, la loro presenza ha seguitato a tormentare le ragazze che hanno osato anche negli anni successivi andare a scuola. Malala era già una bambina famosa nel 2009, anche se sotto falso nome, quando scriveva un blog sull’invasione quotidiana degli estremisti nella sua vita. Nel 2009 scriveva: “Ho fatto un sogno terribile, con gli elicotteri militari e i talebani, sono preda degli incubi dall’operazione dell’esercito a Swat. Mia madre mi ha preparato la colazione e sono andata a scuola, ma avevo paura di andare perchè i talebani hanno emanato un editto che proibisce a tutte le ragazze di frequentare la scuola... Solo 11 su 27 compagne sono venute in classe.. e tre mie amiche sono partire per Peshawar Lahore e Rawalpindi con le loro famiglie. Mentre tornavo a casa ho sentito un uomo che diceva “ti ucciderò”. Ho affrettato il passo per vedere se mi seguiva ma parlava al cellulare, minacciava qualcun altro...”Domenica 4 gennaio scrive di avere sentito il padre che parlava al telefono raccontando che altri tre cadaveri sono stati trovati a valico: “Andavamo spesso fuori.. ma ora da un anno e mezzo non lo facciamo più..andavamo sempre anche a passeggiare ma adesso torniamo a casa prima del tramonto.. Oggi ho aiutato in casa, fatto i compiti, giocato con mio fratello, ma il mio cuore batteva forte perchè devo andare a scuola domani”. Il giorno dopo Malala scrive che non ha indossato la divisa perchè è proibita, chi la indossa, attira la vendetta dei talebani..E’ un diario di restrizioni e persecuzioni contro l’istruzione delle bambine, che Malala completa infine con interventi alla Tv, dato che spesso solo lei è pronta a rispondere alle domande dei giornalisti, mentre tanti hanno paura. Quando viene uccisa la ballerina, Malala osa dire alle telecamere: “Non mi fermeranno. Avrò la mia educazione, a casa a scuola o dove sia possibile. Chiedo a tutto il mondo: salvate la nostra scuola, salvate il nostro mondo, salvate il Pakistan e salvate Swat”. I talebani continuarono, dopo averle fatte chiudere, a distruggere le scuole dell’area. Malala scrive:” Altre cinque scuole sono state distrutte, e sono sorpresa perchè queste scuole erano chiuse, quindi che biosgno c’era di distruiggerle”. I ragazzini maschi della zona decisero di restare a casa fino a febbraio in solidarietà con le alunne, mentre l’esercito nel 2009 riacquisiva il controllo militare, non c’era più nessuna struttura civile, la famiglia di Malala deve andarsene dalle zone abitate, si riempiono i campi profughi e Malala scrive che invece di essere da grande un dottore, forse sceglierà la politica. Tutto il filo dei suoi pensieri è diretto e semplice, del tutto realistico e dominato da una scelta di fondo: “Voglio andare a scuola”. E ci torna, Malala, quando finalmente recupera la sua casa con la sua famiglia. Ma il peggio deve venire: l’anno scorso nel ritorno dalla scuola al portone di casa un uomo barbuto le spara alla testa e al collo e i talebani rivendicano la gloriosa azione di aver attaccato una bambina “perchè diffondeva idee laiche fra i giovani e faceva propaganda contro di noi. Oltretutto Obama è il suo idolo”. Malala è rimasta fra la vita e la morte per un pò, poi, trasportata in Inghilterra, è stata ben curata. L’attacco suscitò un’ondata di sdegno, come si usa dire, anche fra i politici locali. Sarebbe bello, oltre a vedere assegnato il premio Nobel a Malala, vederli alle 8 di mattina, per qualche anno, tutti questi politici, magari a turno, prendere per la mano ciascuno una bambina e condurla nel suo banco, con i libri nella cartella.

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