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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
25.07.2012 Tikkun Olam, uno dei precetti più importanti dell'ebraismo
Nei due libri letti e commentati da Fiamma Nirentein

Testata:
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Dal '48 a Eichmann, perchè Israele alza ogni volta la testa»

Sul GIORNALE di oggi, 25/07/2012, a pag.31, con il titolo " Dal '48 a Eichmann, perchè Israele alza ogni volta la testa ", Fiamma Nirenstein commenta due libri, "1948" di Yoram Kaniuk e " La casa di via Garibaldi" di Isser Harel.
Ecco l'articolo:

in alto, Yoram Kaniuk
in basso, Isser Harel

Fiamma Nirenstein

Che può esserci in comune fra due libri abissal­mente lontani come 1948 di Yoram Kaniuk, edito dalla Giuntina, e La casa di via Garibal­di di Isser Harel, Castelvecchi editore? A leggerli di se­guito si capisce: contengono uno dei segreti più im­portati del popolo ebraico, quello di una imprevedi­bile risposta vitale ad ogni evento, anche il più luttuo­so e persecutorio, e dell’impulso morale che gli ha consentito di curarsi le più immani ferite. È il «tikkun olam» la base filosofica dell’ebraismo, «curare il mondo» per aiutare il Padre Eterno a farlo migliore. Kaniuk racconta la pazzesca guerra del ’48 in mo­do opposto all’iconografia eroica ufficiale: una guer­ra è una sentina di orrore, e ancora di più lo è quando cinque eserciti arabi salta­no addosso a un Paese in cui una banda di ragazzi, con qualche giovane uo­mo confuso alla testa (spunta anche Rabin, o il grande capo di stato mag­giore «Dado») si battono senz’ordine subito dopo la partizione approvata dal­l’Onu. La morte diventa una mietitrice impazzita, dato che lo scrittore raccon­ta se stesso a diciassette an­ni, un ragazzo che non sa nulla e si trova sul campo a conquistare una patria nel mezzo di interrogativi fra i più assoluti: il senso di col­pa verso gli arabi che pure compiono efferatezze mai viste,l’eroismo obbligatorio di ragazzini appena arri­vati sul suolo d’Israele in uno scontro per la vita e per la morte non di un uomo, ma di un popolo. I ragazzi che combattono insieme a Kaniuk sulla via di Bur­ma, nel Gush Etzion, a Gerusalemme, che muoiono come mosche, sono infatti spesso sbarcati poco pri­ma da una qualche nave che li ha trasportati dall’Eu­ropa reduci dai campi di sterminio.
Le loro avventure con un vecchio fucile cecoslovac­co in mano, senza saper sparare, senza sapere chi è il nemico, compongono il disegno eroico della soprav­vivenza del popolo ebraico, nonostante tutto.
Le memorie di Isser Harel, capo del Mossad, sulla cattura di uno dei più importanti organizzatori e per­petratori dello sterminio degli ebrei, Adolf Eich­mann, hanno a loro volta il senso della nemesi. Il se­gno
è quello della giustizia nonostante tutto. Passo passo le avventure di Harel e dei suoi, in una fredda Buenos Aires, dove Eichmann si è nascosto, portano alla cattura e all’affermazione di un principio genera­le, la capacità del popolo ebraico,fattosi Stato d’Isra­ele, di ricostruire la memoria e ristabilire la giustizia laddove sembrava ormai impossibile. La cronaca delle cattura è un giallo mozzafiato, con almeno una quarantina di personaggi la cui umanità, la cui rab­bia, vengono addomesticata dalla necessità del mo­mento. Spesso infatti è un silenzioso figlio della Sho­ah a verificare le informazioni ricevute, ispezionare il terreno del rapimento,preparare i documenti,l’at­trezzatura, le auto. Una volta catturato Eichmann, comincia la parte più conturbante, quella del contatto fra i carcerieri e questo ometto, pronto a diventare di nuovo uno schiavo compiacente come certo era stato col regi­me nazista. I suoi carcerieri sono quasi tutti soprav­vissuti alla Shoah o figli di persone uccise, e quindi il giallo di Harel è carico del pathos dei sopravvissuti che piangono e vivono il loro disgusto restando a con­tatto col prezioso prigioniero e avendone ossessiva cura. Zvi Guttman, il vicecapopilota, non può per esempio sopportare che uno dei suoi colleghi dia al criminale una sigaretta: «Non vedeva Eichmann ... vedeva il fratellino Zadok trascinato via da un solda­to tedesco. Era così piccolo Zadok aveva solo sei an­ni... era troppo piccolo per vivere ma grande abba­stanza per morire... Zvi perse il controllo di se stesso e scattò: “Lei gli dà le sigarette, lui ci ha dato il gas”». Nonostante tutto, il vicecapopilota Guttman garantì il trasporto del prigioniero fino a quel tribunale in cui per la prima volta fu delineata da Israele l’intera sto­ria della Shoah.


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