sabato 18 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Rassegna Stampa
05.05.2012 Quando la fantasia va oltre la dissacrazione
Due scrittori 'senza tabù'. Ma la risata è sempre liberatoria ?

Testata:
Autore: Andrea Mancia-Cristina Missiroli
Titolo: «Se Anna Frank è Miss Olocausto»

Sul GIORNALE di oggi, 05/05/2012, a pag.33, con il titolo " Se Anna Frank è Miss Olocausto ", Andrea Mancia e Cristina Missiroli recensiscono due libri, uno già uscito, l'altro di imminente pubblicazione, nel quali la protagonista è Anna Frank. Il titolo del pezzo è sgradevole, persino ripugnante, ma rende bene il contenuto delle fatiche letterarie di Shalom Auslander e Nathan Englander, i due autori.
Si può dissacrare la memoria storica di Anna Frank ? La domanda non è retorica, in letteratura tutto si può fare, dipende da come lo si fa. Giudicheranno i lettori, nel caso in cui decidessero di leggere i due libri.
Suscita invece fastidio che nella stessa pagina che ospita la recensione ci sia anche una breve che ci informa sul fatto che Hitler fosse cocainomane, petomane e impotente, una notizia che avrebbe dovuto trovare spazio, semmai, nelle pagine di cronaca, non in quella culturale.
E'vero che la nostra è la società dello spettacolo, lo sapevano da parecchi decenni, ma, forse, se non vogliamo usare la parola 'limite' almeno 'rispetto', quella sì, ci vorrebbe .

 Nathan Englander, Shalom Auslander

Si può ridere di Anna Frank senza insultarne la memoria? Si può scherza­re su un simbolo del dolo­re senza offenderne il messaggio universale? Sì. E ne sono la prova due libri usciti di recente. Si tratta di What we talk about when we talk about Anne Frank , «Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank», di Nathan Englander, e Ho­pe: A tragedy , di Shalom Auslan­der tradotto da Guanda con il tito­lo Prove per un in­cendio .
Il primo è una raccolta di rac­conti (che uscirà in autunno in Ita­lia per Einaudi), il secondo un ro­manzo ironico. Gli autori sono en­trambi classe 1970, contempo­raneamente fulmi­nati da Anna
Frank.
Tirar giù dallo scaffale il tema dell’Olocausto è un riflesso condizionato per molti giovani scrittori americani, so­prattutto se ebrei, ancor di più se newyorkesi. Utilizzare Anna Frank poi è ancora più naturale. Negli anni immediatamente suc­cessivi alla seconda guerra mon­diale, il suo diario ha rappresenta­to la memoria per eccellenza del­la persecuzione. È stato il docu­mento più vivo e facilmente acces­sibile a qualsiasi tipo di pubblico. Indipendentemente dall’età,dal­la nazionalità o dal grado di istru­zione. E tale rimane tuttora. Non c’è da stupirsi che l’ appeal di An­na Frank abbia superato indenne i decenni. Quel diario rappresen­ta ormai da più di 50 anni il primo vero impatto - emotivo prima an­cora che storico - che gli studenti americani e europei hanno con la storia dell’Olocausto.
Più strano che entrambi giochi­no in maniera polit­icamente scor­retta sul mito della ragazzina ucci­sa
dai nazisti. Nathan Englander, è stato per anni considerato uno degli enfant prodige della lettera­tura giovane newyorkese. Con Di cosa parliamo quando parliamo di Anna Frank torna alla forma che gli riesce meglio: il racconto. E cerca di riacciuffare il successo dell’esordiodi Per alleviare insop­portabili impulsi . Per farlo, sin dal titolo, gioca due assi: Anna Frank e Raymond Carver. La prima co­me sineddoche dell’Olocausto, il secondo come fantasma del mini­malismo. Anche se il modo di scri­vere di Englander non ricorda af­fatto quello di Carver, il racconto che dà il nome alla raccolta repli­ca lo schema di uno dei più famosi titoli carveriani: Di cosa parliamo
quando parliamo d’amore .
La sce­na è più o meno la stessa: due cop­pie americane che chiacchierano attorno al tavolo da pranzo. Della vita e dell’amore in un caso, di ebraismo e Olocausto nell’altro. Le due coppie di Englander sono infatti entrambe di religione ebrai­ca, ma l’una ortodossa (vive in Israele e si trova negli Usa in visita alla famiglia), l’altra laica (vive in Florida, non frequenta il tempio, ma si sente profondamente legata alla cultura ebraica).
Le due visioni della religione vengono a confronto tra un bic­chiere e uno spinello. E le lingue si sciolgono. Le coppie finiscono per fare un gioco un po’ macabro che una delle due donne faceva da ragazza con la famiglia. Imma­ginare chi tra gli amici cristiani li nasconderebbe e chi invece li de­nuncerebbe in una futura even­tuale nuova Shoah. Con un finale a sorpresa quando le coppie arri­vano a giocare «il gioco di Anna Frank» su se stesse. Insomma An­na Frank è un simbolo tanto uni­versale della persecuzione degli ebrei che può persino diventare un gioco. Inquietante, forse, ma per nulla irriverente.
Ancora più dissacrante l’uso che Shalom Auslander fa del mito di Anna Frank. Nel suo nuovo ro­manzo Prove per un incendio , l’au­tore di
Il lamento del prepuzio im­magina che la celebre ragazzina sia sopravvissuta all’Olocausto. Usando lo stesso schema scelto da Philip Roth in The Ghost Writer alla fine degli anni ’70. L’Anna Frank di Auslander, come quella di Roth, è scampata ai nazisti e vi­ve in America. Ma mentre l’Anna di Roth vive sotto falso nome, mi­metizzata tra la gente di New York,l’Anna di Auslander vive na­scosta. In particolare abita in un solaio e tenta di scrivere il suo nuo­vo romanzo. Per il quale, però, non riesce a trovare l’ispirazione. Se ne accorge il nuovo inquilino che se la ritrova al piano di sopra e che ne deve sopportare l’isteria bi­sbetica, le manie di grandezza e il continuo ticchettare della mac­china per scrivere. L’Anna soprav­vissuta di Auslander è una carica­tura, esilarante e politicamente scorretta.Ma nessuno può pensa­re che l’i­ntento sia quello di oltrag­giarne la memoria. L’Anna che vi­ve in solaio ha ben chiaro il pro­prio ruolo nel mondo. E lo descri­ve­con lucidità parlando con il pro­tagonista del libro: «Sono la ragaz­za morta. Sono Miss Olocausto, 1945. Il mio premio è una corona di spine e l’eterno ruolo di vittima per antonomasia. Gesù era ebreo, ma io sono il Gesù degli ebrei». De­scriverla come una vecchietta va­nagloriosa non significa non vo­ler bene al personaggio. Anzi, so­no quei tic a rendere Anna specia­le.
Il bello, per l’autore è proprio quello: immaginare che sia so­pravvissuta, che sia invecchiata, con tutti i difetti di una donna nor­male. Restituendole con la fanta­sia una normalità che la storia, cru­dele, le ha invece negato.
Per inviare al Giornale la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante

Per inviare al la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante

segreteria@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT