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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
15.10.2011 Libia: pacifisti, dove siete ?
Il j'accuse di Gian Micalessin

Testata:
Autore: Gian Micalessin
Titolo: «La Libia tomba dei pacifisti: dove sono?»

Sul GIORNALE, 14/10/2011, a pag. 17, con il titolo "La Libia tomba dei pacifisti: dove sono?" Gian Micalessin scrive una eccellente analisi sul pacifismo, degna di plauso.
Eccola:

Gian Micalessin

Ve li ricordate? Si chiamavano pacifisti e nel segno dell’arcobale­no ne facevano di tutti i colori. C’erano gli scudi umani pronti a morire per Arafat e Saddam Hus­sein. C’erano Vauro e i suoi decisi a liberare Gaza dall’assedio israe­liano. Per non parlare di Gino Stra­d­a sempre pronto ricordarci le vit­time del conflitto afghano. O di quel vescovo deciso a non recita­re mezza preghiera per Matteo Miotto,l’alpino colpevole di esser morto combattendo i talebani. E c’era tutta l’allegra brigata di Assi­si, quella dei Vendola e delle Bin­di, sempre felici di marciare nel nome della santa pace. Son tutti scomparsi. Si son tutti perduti nel­le sabbie libiche. Lì a due mesi dal­l­a caduta di Gheddafi la Nato con­tinua a bombardare. Lì uomini, donne e bambini senza acqua, ci­bo e cure mediche attendono che qualcuno faccia valere anche per loro la risoluzione votata dal­l’Onu nel nome della difesa dei ci­vili libici. Ma Assisi non ne parla. Lì Bindi, Vendola e i loro amici in­neggiano alle rivolte arabe, ma non sprecano mezza parola per la guerra di Libia. A raccontare quel dramma senza fine rimane solo la Croce Rossa Internazionale.
«La situazione all’interno del­l’ospedale è caotica e inquietante - riferisce da Sirte il delegato del­l’Icrc Patrick Schwaerzler- abbia­mo
trovato pazienti feriti dalle schegge e con gravissime ustioni. Alcuni hanno appena subito delle amputazioni. Altri sono in stato d’incoscienza tra gruppi di pa­zienti che continuano a implora­re aiuto ». Ma le pene dei libici non allineati con i principi della santa primavera araba non rientrano purtroppo fra quelle capaci di mo­bilitare i pacifisti nostrani. Guar­datevi la prima pagina del sito di Emergency o di Peace Reporter, «la rete della pace».C’è un appello per la liberazione del volontario Francesco Azzarà, un richiamino ai 10 anni di guerra in Afghani­stan, ma per la Libia manco mez­zo titolo. Non che gli argomenti manchino. Secondo un rapporto di Amnesty International, pubbli­cato dopo una visita a 11 centri di detenzione sparsi tra Tripoli e Mi­surata, nelle galere degli ex ribelli languono più di tremila prigionie­ri­catturati dopo la caduta del regi­me. Per la maggioranza di loro non esisterebbero né prove, né ca­pi d’imputazioni. E tantomeno la certezza di un processo o di una detenzione priva di abusi. «In al­cuni casi – si legge-c’è la chiara evi­d­enza di torture praticate per otte­nere confessioni o per infliggere una punizione». In una prigione i delegati di Amnesty trovano degli strumenti di tortura, in un altra ascoltano il rumore delle frustate e i lamenti dei prigionieri. Ma quel che più dovrebbe inquietare la grande tribù dei pacifisti scompar­si è la sistematica detenzione di africani accusati di essere dei mer­cenari di Gheddafi esclusivamen­te in base al colore della pelle.
«Gli africani originari delle re­gioni sub sahariane e i neri libici ­scrive il rapporto- sono particolar­mente soggetti ad arresti arbitrari a causa del colore della pelle e del­le voci secondo cui le forze ghed­dafiane hanno usato combattenti stranieri per combattere le forze del Consiglio di Transizione... cir­ca il 50 per cento dei detenuti sono africani, la metà dei quali lavorato­ri immigrati ». Un tempo accuse di questo tipo avrebbero mobilitato non solo la grande tribù pacifista, ma anche la rete dei movimenti anti razzisti della sinistra italiana. Oggi invece il sito di “Sos razzi­smo” l’organizzazione «sempre pronta a combattere le discrimi­nazioni legate alla razza, alla pro­venienza, alla cultura, alla fede professata» non gli dedica manco mezza riga. Difende l’immigrato Rudy Guedé - unico condannato del delitto Kercher - , chiede mi­glior accoglienza per i disperati di Lampedusa, invoca l’abolizione del reato di immigrazione clande­stina, ma non spende una parola per gli africani prigionieri del nuo­vo regime libico. Non sono figli delle primavere arabe. Non sono in linea con il pensiero alla moda. Si meritano guerre, torture e razzi­smo

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