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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.09.2023 Shoah, altre testimonianze: Pio XII sapeva
Commento di Antonio Carioti

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 settembre 2023
Pagina: 33
Autore: Antonio Carioti
Titolo: «Il ruolo del segretario di Pio XII»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/09/2023, a pag. 33, con il titolo "Il ruolo del segretario di Pio XII", l'articolo di Antonio Carioti.

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Antonio Carioti

È in una lista la verità su Pio XII
Pio XII

L’intervista di Massimo Franco all’archivista vaticano Giovanni Coco, su «la Lettura» ancora in edicola, ha attirato l’attenzione della stampa internazionale. Testate come il «New York Times», il «Guardian», il «Wall Street Journal» hanno riferito in particolare del documento più importante scoperto da Coco: la lettera, datata 14 dicembre 1942, in cui il gesuita tedesco Lothar König informava il segretario personale del pontefice Pio XII, Robert Leiber, circa i crimini che si andavano compiendo presso Rava Rus’ka, cioè nel campo di sterminio di Bełzec, dove quotidianamente venivano eliminati, si legge nella missiva, «6.000 uomini, soprattutto polacchi ed ebrei». Tutti sottolineano come il documento, così esplicito circa gli orrori della «soluzione finale», contraddica la tesi secondo cui Papa Eugenio Pacelli evitò di condannare la Shoah perché non disponeva di notizie certe sul genocidio. «Abbiamo trovato la lettera — osserva Coco il giorno dopo — fra le carte della segreteria personale del Papa. Non possiamo avere la certezza matematica che Pio XII la conoscesse, ma sarebbe molto strano il contrario. Leiber in quel periodo era il terminale delle informazioni che giungevano dalla Germania sulla persecuzione della Chiesa cattolica: il suo compito era appunto riferire al pontefice di quanto accadeva sotto il Terzo Reich. E sappiamo che a volte Pio XII, perfettamente a suo agio con la lingua tedesca, non si limitava a esaminare le relazioni del suo segretario, ma leggeva personalmente i documenti inviati a Leiber. Purtroppo noi abbiamo reperito solo questa lettera di König, ma da quello che scrive dobbiamo dedurne che la sua corrispondenza con la Santa Sede fosse intensa». Colpisce che il segretario del Papa, quando negli anni Sessanta sorsero le polemiche sull’atteggiamento di Pacelli nel corso della guerra, ne abbia preso le difese sostenendo tra l’altro che le notizie giunte in Vaticano sulla Shoah fossero lacunose o poco affidabili: «Dubbi sull’attendibilità delle fonti — osserva Coco parlando con il “Corriere” — sono sempre possibili, quando si tratta di informazioni che circolano clandestinamente. Ma le annotazioni di Leiber sull’elenco di sacerdoti detenuti a Dachau, che accompagna la lettera di König, fanno ritenere che di lui si fidasse». Anche altri storici pensano che Pio XII sia stato informato sull’opera della macchina della morte a Bełzec. «Leiber gli riferiva tutto», sostiene Andrea Riccardi, autore del saggio La guerra del silenzio (Laterza). E prosegue: «Sono convinto che Pio XII fosse ben consapevole della Shoah, come dimostrano anche molti altri documenti. Soltanto alcuni apologeti hanno sostenuto che non disponesse di notizie sufficienti». Michele Sarfatti, autore di diversi libri sulla persecuzione degli ebrei, considera la lettera «impressionante», tanto più che «usa una terminologia che richiama le modalità della Shoah, come il riferimento all’“altoforno”. Altri passi evocano le minacce di Hitler contro gli ebrei. È evidente che König era a conoscenza dello sterminio e intendeva metterne al corrente il Papa». «Questo documento — nota Alberto Melloni, segretario della Fondazione per le Scienze religiose (Fscire) — appartiene al flusso d’informazioni che giungeva in quel periodo alla Santa Sede, dal quale si poteva dedurre che fosse in atto un’azione genocida. Pio XII lo aveva ben compreso: da un passo del diario di Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, risulta che nell’ottobre 1941 il Papa si domandava “se il suo silenzio riguardo alle azioni dei nazisti” non fosse “mal giudicato”». Qui si tocca il nodo più spinoso: perché Pacelli scelse di tacere? «Gli era difficile — risponde Melloni — distinguere la Shoah dal resto delle sofferenze provocate dalla guerra. Riteneva che la posizione più consona a un pontefice fosse una deplorazione di carattere generale per la sorte di coloro che erano condannati a morte “solo per ragione di nazionalità o di stirpe”, come disse nel discorso natalizio del 1942». Riccardi guarda al contesto diplomatico: «Pio XII intendeva mantenere una posizione di imparzialità nel corso della guerra per svolgere un’azione umanitaria di soccorso e magari riservarsi uno spazio di mediazione tra le parti in conflitto. Non voleva correre il rischio di apparire schiacciato sulle posizioni degli Alleati. E poi temeva per la tenuta della Chiesa cattolica tedesca, sottoposta a pressioni sempre più pesanti e insidiose da parte del regime nazista». Più netta l’opinione di Sarfatti: «A mio parere Pio XII era prigioniero. Non dei fascisti o dei nazisti, ma del passato suo e della Chiesa cattolica, secoli di pregiudizi nei riguardi del popolo ebraico. Si ricorda spesso il discorso natalizio del 1942, in cui parla dei perseguitati senza citare né i polacchi né gli ebrei. Ma va ricordato che alcuni mesi più tardi, in un intervento del 2 giugno 1943, Pacelli commisera le persone assoggettate a “costrizioni sterminatrici” e in un passo successivo ricorda la tragica sorte del popolo polacco. Degli ebrei invece non fa menzione. Nei suoi discorsi il vocabolo “ebreo” non esiste, è come una sorta di buco nero». Forse temeva di aggravare la situazione? «Non si vede — replica Sarfatti — come potesse andare peggio per gli ebrei. Lo storico Raul Hilberg ha dimostrato che il 1942 fu l’anno più tragico, con il maggior numero di vittime della Shoah, soppresse con una progressione impressionante. Certamente Pio XII non poteva fermare la strage. E credo che fosse molto addolorato per quanto avveniva. Ma rimase avviluppato nella ragnatela di una tradizione avversa agli ebrei. Nel frattempo l’antisemitismo razziale, diverso da quello religioso cattolico che mirava alla conversione, si era spinto fino alla strage di massa. La storia era andata più veloce rispetto alla capacità della Chiesa di comprendere quanto avveniva». Che ne sarà del processo di beatificazione di Pacelli? «Credo che sia plausibile — risponde Melloni — solo come un atto di rivincita contro una polemica percepita come rivolta contro la Chiesa. Certamente Pio XII non fu mai complice di Hitler, ma ritenerlo inconsapevole significa fargli un torto ancora maggiore. Scelse di tacere e di questo non si può non tenere conto».

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