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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.07.2023 L'ultimo libro di Abraham B. Yehoshua, un pasticcio per tre rabbini
Recensione di Giorgio Montefoschi

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 luglio 2023
Pagina: 46
Autore: Giorgio Montefoschi
Titolo: «Un pasticcio per tre rabbini»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/07/2023, a pag. 46, con il titolo "Un pasticcio per tre rabbini", la recensione di Giorgio Montefoschi.

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Giorgio Montefoschi

Il terzo tempio, Abraham B. Yehoshua. Giulio Einaudi editore - Supercoralli

Tre rabbini; Esther Azoulay, una giovane signora francese di padre ebreo e madre cattolica, convertita ed emigrata in Israele; David Mashiah, figlio di una facoltosa famiglia di ebrei iraniani con lussuoso negozio a Parigi. Sono loro i protagonisti dell’ultimo romanzo che ci ha lasciato Abraham B. Yehoshua, scomparso l’anno scorso, il maggiore scrittore israeliano dell’epoca moderna, intitolato Il terzo tempio (Einaudi), costruito come una vera pièce teatrale. La scena è a Tel Aviv nella sede del rabbinato, in un pomeriggio che sembrerebbe invernale. Il rabbino Shoshani sta per spegnere le luci dell’ufficio, ha fretta di andarsene, quando il suo segretario lo blocca: in sala d’attesa c’è da ore una donna che vuole parlargli ed, essendo determinata a farlo, inganna il tempo recitando i Salmi. Deve fare la denuncia di una mostruosa ingiustizia che le è stata arrecata dal rabbino Elihau Modiano, e non si muoverà di lì. Il consiglio di rivolgersi al rabbino Shoshani glielo ha dato il rabbino Halfon, superiore di Shoshani e presidente del tribunale rabbinico. Attualmente, Halfon è a Parigi per celebrare un matrimonio. 

Il lungo addio di Abraham Yehoshua: «Mi auguro che la morte sia veloce e  indolore» - L'Espresso
Abraham B. Yehoshua

Lui va spesso a Parigi, e volentieri, perché la moglie è imparentata con dei ricchi ebrei che lo ospitano sontuosamente e addirittura gli offrono il biglietto aereo in prima classe; perché può liberamente andare a visitare le librerie del Quartiere Latino sperando di scovare qualche volumetto piccante; ma anche perché in quella città internazionale è uno come tanti e non lo guardano storto, come invece fanno i laici a Tel Aviv. In più, l’occasione del matrimonio è ottima per tessere le sue trame. Quali? Si tratta dell’elezione del rabbino capo della comunità parigina. I contendenti sono due: uno è il rabbino Elihau Modiano, proveniente da Israele; l’altro è lui stesso: il rabbino Halfon. Se aggiungiamo che in caso di vittoria di Halfon nel suo ufficio verrebbe promosso Shoshani, abbiamo il quadro completo della vicenda. Manca l’oggetto della denuncia. Che cosa è venuta a denunciare questa donna elegante, con quei suoi capelli raccolti, e profondamente credente? Vorremmo saperlo subito, senza troppe esitazioni o giri di frasi. Ma Yehoshua è fantastico in queste situazioni del vissuto quotidiano, è troppo intriso dei modi e della mentalità israeliana (con quella carica perenne di litigiosità e nervosismo) per potersene distaccare: soprattutto in un ufficio nel quale siede una bella signora, col problema delle chiavi se l’incontro dovesse durare a lungo, la porta da lasciare aperta o chiusa, le interruzioni dovute al disagio e alla timidezza, il segretario che abbandona la scena perché deve andare a fare delle circoncisioni, la moglie di Shoshani che telefona dal Pronto Soccorso in cui lavora per raccomandare al marito di comprare in un certo negozio frutta e verdura, purché sia fresca… Insomma, la povera Esther è sempre sul punto di fare questa clamorosa rivelazione e, per un motivo o per l’altro, non ci riesce mai. Tanto che a un certo punto si infila il cappotto e minaccia di andarsene. Se non bastasse, Shoshani, via cellulare, chiede aiuto al rabbino Halfon. Il quale ha fretta, deve andare a controllare che tutto sia in ordine per il matrimonio, ma alla domanda fondamentale che viene da Tel Aviv — «Spiegami, Halfon, perché mi hai scaricato questa donna?» — non si può sottrarre. E non si limita a spiegare che gli ha affidato Esther perché è convinto della sua sensibilità e della sua onestà, ma sul rabbino Modiano ci aggiunge un carico da undici: «Il rabbino Elihau Modiano ha commesso un atto atroce, indegno. E noi che decidiamo dei destini delle persone non possiamo far finta di niente davanti ai crimini commessi dai nostri colleghi». In altre parole: se riusciamo a screditare Modiano, io divento rabbino capo a Parigi, e tu prendi il mio posto. Ci siamo. La donna, che durante la telefonata era uscita, rientra nella stanza e, esauritasi quella grande agitazione, può raccontare, finalmente. Suo padre, David Azoulay, un ebreo benestante, agnostico, non credente, aveva incontrato il giovane abbino Modiano alle lezioni di filosofia della Sorbona, in particolare a quelle di filosofia ebraica medievale, e fra i due era nata una certa amicizia. Quando David conobbe quella che sarebbe stata la sua futura moglie, una cattolica, e la sposò, Modiano gli suggerì di convincerla a convertirsi per facilitare l’educazione dei figli. Non solo, volle che la ragazzina, Esther, assistesse ai suoi colloqui col rabbino e partecipasse a una classe di letture della Torà. Poi morì: pochi mesi prima del suo bat mitzvà, l’ingresso nella maggiore età religiosa. Alla cerimonia, pur non essendo sacerdote, Modiano portò lei e un’altra ragazza al pulpito, accanto all’Arca, le coprì col suo scialle di preghiera, e la accarezzò. Lei soltanto. «Ma questa è una profanazione!», esplode il rabbino Shoshani. «Da allora l’ha toccata di nuovo?». Esther risponde: «No, ma quel tocco è impossibile da dimenticare per me». Qui, l’erotismo finora sotterraneo nel romanzo — presente in tutti i romanzi di Yehoshua, mai casti — fa la sua dovuta apparizione. Si confermerà negli anni: nel rapporto ambiguo che Modiano istituisce con una ragazza oramai, con le sue attenzioni ossessive. Fino al crimine maggiore. E cioè nel momento in cui, geloso del legame fra i due, la fa convertire. Il crimine sta in questo: Esther si è innamorata di David Mashiah, l’ebreo iraniano con una meravigliosa pelle ambrata che a volte le fa conoscere la dolcezza cantilenante della sua lingua. I due si vogliono sposare. Modiano stabilisce che non possono, perché i Mashiah sono una famiglia di sacerdoti, e un sacerdote non potrà mai sposare una convertita. Esther e il suo amore sono, dunque, in una prigione. È un orrore. Ma Esther ha una soluzione, che spiega srotolando una mappa della città vecchia di Gerusalemme. Il Secondo Tempio, con le sue regole e le sue restrizioni, è vecchio. Bisogna costruirne un Terzo, lì vicino, tra la tomba di Assalonne e la valle della Gheenna da dove risorgeranno i morti. Un tempio semplice, modesto, che non interferisca con alcun altro luogo santo. Un tempio libero dalle leggi. Un tempio rivoluzionario. Un tempio di pace. «Lei crede alla resurrezione dei morti?», domanda Esther a Shoshani. «Certamente», risponde il rabbino, «senza il pilastro della resurrezione dei morti, su cosa si fonderebbe la fede?». Quindi spengono le luci dell’ufficio, escono e per strada il rabbino comunica a sua moglie che sta arrivando, lei gli dice di comprare anche quattrocento grammi di fragole, pere e mele, e, se ci sono, dei bei fagiolini.

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