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Corriere della Sera Rassegna Stampa
28.09.2016 Liliana Segre: 'Binario 21, il Memoriale dimenticato'
La intervista Paolo Foschini

Testata: Corriere della Sera
Data: 28 settembre 2016
Pagina: 7
Autore: Paolo Foschini
Titolo: «Il Binario 21 dimenticato: 'Quel Memoriale che la città non conosce'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA - Milano di oggi, 28/09/2016, a pag. 7, con il titolo "Il Binario 21 dimenticato: 'Quel Memoriale che la città non conosce' ", il commento di Paolo Foschini.

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Paolo Foschini

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Liliana Segre

La telefonata è di ieri pomeriggio verso le 4: «Pronto per cortesia mi manda un taxi al Memoriale della Shoah?». «Oddìo, a Milano c’è un Memoriale della Shoah? E sì che ci vivo, dov’è scusi?». «Certo che c’è, dal 2013. In via Ferrante Aporti 3, il vecchio binario 21 della Centrale». «Ma dài. Grazie, per il taxi attenda in linea».

Liliana Segre, che da quel binario partì su un carro bestiame per Auschwitz il 30 gennaio del ‘44, guarda l’amica che aspettando il taxi le ha appena raccontato il dialogo e dice: «Appunto». Perché «ci vengono tanti studenti al Memoriale, certo. Ce li portano i prof. Ma la verità — dice — è che i milanesi, i miei concittadini, questo luogo della memoria non sanno che esiste. E se lo sanno non ci vengono. È questo che mi fa male. Perché la memoria è la cosa cui ho dedicato la vita. E questo invece è quello che vorrei fare in tempo a vedere, ormai che ho 86 anni: i milanesi che vengono qui, a vedere cosa era successo, ad ascoltare il nostro ricordo. Altrimenti quando fra un po’ non ci sarò più, quando anche i pochissimi tra i pochissimi rimasti non ci saranno più, chi racconterà ciò che noi non potremo più raccontare?».

Raccontare «l’indicibile», come Primo Levi chiamò l’orrore. Lo ha fatto e continua a farlo talmente tante volte che ha perso il conto da anni, Liliana Segre. «Sono una nonna — dice — e so come si parla ai nipoti». In una classe delle medie o in un auditorium con migliaia di persone «per me è uguale: ogni volta un tornare indietro che fa star male, ma sento che è troppo importante per smettere». Ieri lo ha rifatto camminando negli atri bui del Binario 21, per uno speciale che andrà in onda su Canale 5 il 16 ottobre: anniversario del rastrellamento di oltre duemila ebrei a Roma, ma «la maggior parte dei treni per i campi di sterminio partivano da qui».

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Il Memoriale Binario 21 a Milano

Per chi non c’è mai stato, ma anche per chi ogni volta ci ritorna, fa effetto anche solo vederlo. Gli altri binari della Centrale corrono oltre il soffitto, ogni treno che passa è un rumore cupo di tuono. Stanze, foto, testimonianze scritte e in video. E poi quel pezzo di binario, i vagoni-stalla di quel treno. Sulla sinistra la parte di locali che ogni notte si rianima: popolata dalle otto di ogni sera fino al mattino dopo, da mesi, della nuova umanità dolente di alcune decine tra le centinaia di migranti in fuga dalle guerre d’Africa, a cui il Binario 21 ha aperto le porte insieme con la comunità di Sant’Egidio. E Liliana intanto, ancora una volta, racconta la sua storia. Di quando a 13 anni si ritrovò a San Vittore con tantissimi altri come lei. Senza sapere perché. E di quando arrivò un tedesco «a leggere con una freddezza indescrivibile un elenco di 605 nomi: le persone che sarebbero state fatte partire per Auschwitz, da dove tornarono solo in ventidue». Continua: «Ci caricarono su camion che attraversarono la città sotto lo sguardo di tantissime persone». Indifferenza è la prima parola, scritta in lettere giganti, che si legge entrando al Memoriale. E poi l’arrivo in stazione, i calci, vecchi donne uomini bambini spinti «in questi vagoni», dice indicandoli, con dentro solo un po’ di paglia e un secchio. Giorni di viaggio. Le preghiere di chi cercava conforto nella fede, un «dono che purtroppo non ho».

L’arrivo al campo, la morte, l’indicibile. Viene in mente chi oggi parla di civiltà occidentale superiore. Viene freddo a pensare che quell’indicibile fu pensato dalla stessa civiltà che aveva prodotto Bach, Goethe, Beethoven. Viene agli occhi l’ultima stanza del Memoriale, rotonda, fatta per entrarci e stare solo lì un po’. In silenzio. Andateci ogni tanto.

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