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Corriere della Sera Rassegna Stampa
20.04.2014 Un Sergio Romano 'prima maniera'
Ma una rondine non fa primavera

Testata: Corriere della Sera
Data: 20 aprile 2014
Pagina: 35
Autore: Sergio Romano
Titolo: «L'anomalo Benjamin Disrael, ebreo e cristiano, politico e scrittore»

Dal CORRIERE della SERA di oggi, 20/04/2014, a pag.35, con il titolo "L'anomalo Benjamin Disrael, ebreo e cristiano, politico e scrittore" riprendiamo la risposta di Sergio Romano su Benjamin Disraeli. In essa ritroviamo il Sergio Romano che conoscevamo prima della pubblicazione del suo libro "Lettera a un amico ebreo", che segnò lo spartiacque tra il Romano 1 e il Romano 2, quello schierato contro Israele. Gli inviamo un saluto,in ricordo dei vecchi tempi,  un 'ben tornato' ci parrebbe fuori luogo.

Benjamin Disraeli

Disraeli, oltre che primo ministro in Inghilterra, a fasi alterne, fu anche sostenitore del Partito conservatore e antagonista del liberale Gladstone. Dico cose note. Le chiedo, tuttavia, come mai prese varie misure in favore delle classi lavoratrici ed estese il diritto di voto a tutti i contribuenti. Non le sembra questa una politica non attinente alle sue idee conservatrici?
Piero Campomenosi
pierocampomenosi@libero.it

Sergio Romano


Caro Campomenosi,

Nella storia politica britannica dell’Ottocento, Benjamin Disraeli fu anomalo anche per altri aspetti. Alla nascita, nel 1804, era l’ultimo nato di una famiglia di ebrei italiani giunti a Londra da Cento, in provincia di Ferrara, poco più di cinquant’anni prima. Il nonno Benjamin D’Israeli (così era scritto allora il cognome) aveva fatto qualche operazione fortunata alla Borsa di Londra e aveva lasciato ai suoi discendenti la somma, non indifferente, di 35 mila sterline. Il nipote del capostipite nacque ebreo, ma suo padre ebbe un clamoroso litigio con una sinagoga sefardita di Londra e decise, nel 1817, che i suoi figli sarebbero divenuti cristiani. A 13 anni (una età importante per il passaggio di un ebreo alla maturità), Benjamin fu quindi battezzato. È stato osservato che quel battesimo cambiò la sua vita. In un Paese in cui gli inglesi di religione ebraica non potevano accedere al Parlamento (la norma fu revocata nel 1858), Benjamin Disraeli non avrebbe mai fatto una brillante carriera politica. Aveva del resto altri talenti. Durante la sua vita, anche nei momenti di maggiore impegno ai Comuni e al governo, non smise mai di scrivere romanzi, quasi sempre molto lunghi, con trame in cui amori e avventure erano spesso coloriti e resi piccanti da frequenti riferimenti alla vita politica e sociale del suo tempo. Era affascinato dall’Oriente, vantava con orgoglio i legami dei suoi antenati con la grande famiglia portoghese dei Villareal, amava le donne e ne era riamato, divenne presto uno dei migliori oratori della Camera dei Comuni.
Quando decise di entrare in politica, fece dapprima qualche mossa sbagliata e scelse infine il Partito conservatore a mente fredda, nella convinzione che fosse quello in cui avrebbe trovato più rapidamente lo spazio a cui aspirava. Per distinguersi da Robert Peel, allora leader dei Tories, e meglio sfidare i liberali di William Gladstone, elaborò quello che si definirebbe ora un «conservatorismo compassionevole». Erano anni in cui la rivoluzione industriale stava creando una nuova povertà, più drammatica e miserevole di quella che aveva afflitto il Paese in passato. Disraeli riteneva che spettasse ai conservatori restaurare l’epoca in cui il sovrano e i nobili erano stati i migliori amici e protettori del popolo. In un famoso discorso, il nuovo leader del Partito conservatore descrisse l’Inghilterra come un Paese in cui esistevano «due nazioni che non hanno reciproche relazioni e non provavano reciproche simpatie. Ciascuna di esse ignora i pensieri e i sentimenti dell’altra, come se vivessero in diverse regioni o abitassero diversi pianeti: i ricchi e i poveri».
Disraeli non fu soltanto un riformatore sociale. Fu anche un imperialista. Nel 1875 comprò per il governo britannico metà delle azioni della società che amministrava il canale di Suez. Nel 1876 proclamò la regina Vittoria imperatrice dell’India. Nei due anni seguenti impedì alla Russia d’imporre alla Turchia un trattato umiliante, e al Congresso di Berlino, nel 1878, fu accolto con il rispetto e l’ammirazione dovuti a un grande statista. Era convinto che l’Impero avrebbe dato al popolo un sentimento di orgoglio e fierezza. Pensava in altre parole che l’imperialismo fosse una ideologia popolare. I fatti gli dettero ragione. Morì tre anni dopo, nel 1881, e la regina Vittoria volle personalmente deporre una corona sulla sua tomba.

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