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Shalom Rassegna Stampa
24.05.2014 Israele: un modello che anche gli arabi iniziano ad ammirare
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Shalom
Data: 24 maggio 2014
Pagina: 16
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Israele: un modello che anche gli arabi iniziano ad ammirare»

Riprendiamo da SHALOM n°6, maggio 2014, con il titolo " Israele: un modello che anche gli arabi iniziano ad ammirare" il commento di Fiamma Nirenstein, ricco di citazioni incoraggianti di giornalisti arabi, il cui esempio ci auguriamo possa avere seguito.


Fiamma Nirenstein  lo storico intervento di Sadat alla Knesset

Dunque, celebriamo insieme il 66esimo complea
nno di Israele. Dice sul suo tweet Saud Bakheet, columnist di un giornale saudita, che, a differenza degli arabi "gli ebrei aiutano a creare la civiltà, non si limitano a consumarla". E aggiunge: "La cultura (tecnologica) che usiamo per comunicare, gli apparecchi per l'aria condizionata che ci consentono di dormire, gli ospedali in cui veniamo curati, i tetti di cemento sotto i quali preghiamo… è tutta cultura degli ebrei e dei crociati". Dice lo scrittore kuwaitiano Omar Altabtabee in tre differenti articoli: "Vi siete chiesti come quella piccola entità chiamata Israele riesca a tenere il mondo nelle sue mani? Invece di seguitare a maledire a destra e manca, volete provare a chiedervi come Israele ha realizzato tanto successo in ogni disciplina?"-e aggiunge- "Israele vive accanto a noi, ha lo stesso clima che abbiamo noi, se guardiamo un po’ più in profondità scopriremo che non ha risorse naturali e che nonostante questo, ci ha sorpassato! Questa entità sa che l'educazione è la base della società e la base della cultura e dell'unità". Sono giornalisti isolati? Non tanto. Guardiamo in Egitto: scrive lo scrittore Ali Khamis sul giornale Al Wadf al tempo in cui governava Morsi: "Le rivoluzioni ebraiche sono scientifiche, e quelle arabe sono tragiche. Questa è la triste verità , questo è il raccolto delle Primavere Arabe che ci hanno tanto diviso". Anche in Iraq troviamo un ammiratore di Israele, Mahdi Majid Abdallah, che in un articolo sul website Elaph dal titolo " Gli arabi e i musulmani dovrebbero imparare dalla moralità israeliana", scrive: "Ho sofferto e soffro dei complessi ereditati dalle società araba e islamica in cui ho vissuto molto a lungo. Questi complessi hanno seminato nella nostra anima l'idea che gli ebrei sono la gente più bassa e codarda del mondo e che nessuno crede in loro, che sono traditori, ipocriti, narcisisti, che cercano di corrompere le nazioni e i popoli; un popolo che causa l'ira di Allah, gente gelosa e risentita che non desidera il bene del genere umano. Ma via via che il tempo passa, dopo aver incontrato un gruppo di ebrei, uomini e donne, e averli conosciuti da vicino, la nebbia si è dissolta. E certi credo basilari che erano nella mia mente sono crollati e sono subito diventati menzogne". Abdallah, sempre secondo l'articolo di Ariel Ben Solomon che sto citando dal Jerusalem Post, continua esaltando il trattamento medico fornito ai palestinesi: "Esiste un Paese arabo che offrirebbe agli ebrei simili cure? Naturalmente, no". E sulla democrazia: "Quando vedi le sessioni della Knesset, vedi la libertà di cui godono gli arabi (israeliani eletti) nonostante la loro dura critica al governo e a Israele nel suo insieme". Ho provato nel corso degli anni a spiegare molte volte che cosa è Israele, mi è parso sempre un compito non solo della mia anima ma anche del mio lavoro di giornalista, che è quello di cercare la verità e raccontarla anche quando è diversa da quella che ci si aspetta. Certo, non mi ci è voluto il coraggio da leone di questi giornalisti e scrittori arabi, immersi in una cultura totalmente ostile a Israele, ma non è stato e non è nemmeno facile. Nel giorno del suo 66esimo compleanno, ancora la semplice cultura di democrazia e di sopravvivenza che Israele pratica deciso a vivere in mezzo a pericoli continui sin dal 1948, non viene compresa. La delegittimazione acquista a volte toni di puro antisemitismo, per esempio quando si parla a sproposito di apartheid o di pulizia etnica o si dice che gli ebrei non sono mai stati a Gerusalemme; a volte ha il suono fesso della incomprensione, quando non si capisce che i palestinesi hanno rifiutato ogni compromesso al tavolo della pace, o che semplicemente il problema dei Territori va risolto guardando alla sicurezza dei cittadini, e non con un'oblazione cieca. Senza nessuna retorica vorrei dire: è tempo che il mondo impari, compresi gli ebrei della diaspora, quanto è preziosa questa "piccola entità". Imparino da questi intellettuali arabi a avere coraggio. Trovandomi oggi in Italia nella ricorrenza di Yom Azmaut, sento che il mio posto sarebbe fra i gitanti che in queste ore cucinano "al ha esh" nei boschi e sulle spiagge di quel Paese piccolissimo, tutti presi della gioia del successo della loro incredibile impresa. Poiché è proibito cogliere i fiori, li fotografano per portarsene a casa la delicatezza e il profumo. Il profumo della loro terra, un dono del cielo ma anche, ormai verde e fruttifera, il risultato della fatica e della fede. Vorrei essere là perché nella festa, non si sente il dolore di vedere Israele tanto incompresa. Eppure è così semplice capire per una mente onesta: il popolo ebraico ha attraversato duemila anni di diaspora, ma il suo volto è stato sempre girato verso Gerusalemme, ancora a Babilonia "piangemmo, e guardammo a Israele". Il pianto di nostalgia rappresentala più profonda anima identitaria del popolo ebraico quando è stato separato da Israele, è il dolore profondo che si può provare in certi momenti della vita verso le proprie aspirazioni migliori, quando si sente che non riusciamo a realizzarle, che non siamo interamente noi stessi. E'un pianto di identità, è la legittima richiesta di ogni uomo di essere se stesso. Ma è anche la forte risposta a una delle prime persecuzioni trasformatasi in deportazione, seguita da quella egiziana, e poi da tante altre, come l'espulsione romana, e poi le persecuzioni cristiane (cattolica, protestante) che hanno accompagnato per secoli in tutto il mondo la convinzione che gli ebrei colpevolmente rifiutassero Gesù, e poi le mille fughe e i sanguinosi attacchi nel mondo musulmano, e successivamente la guerra di sterminio di Hitler, le persecuzioni comuniste, le persecuzioni islamiche... Oggi non può più accadere, se qualcuno (come l'Iran) ci minaccia di morte, abbiamo seri mezzi per impedirgli di colpirci, per la prima volta nella storia. Gli ebrei ce l'hanno fatta in un'impresa meravigliosa, scegliendo la strada di una democrazia meticolosa e agguerrita: è molto difficile capire come il mondo non sia soddisfatto del fatto che Israele contrapponga alla confusione e all'odio dei Paesi e delle organizzazioni terroriste limitrofe la legge, l'ordine, l'uguaglianza. Il conflitto Israelo-Palestinese, certo, è un pesante fardello, e il tentativo di risolverlo trovano sempre l'ostacolo del rifiuto arabo che non accetta l'esistenza di Israele. Ma come non si comprende che l'occupazione segue a una guerra che nel ‘67 Israele è riuscita a vincere sgominando di nuovo gli Stati circostanti, e non prendendosela con i palestinesi. Se non ce l'avesse fatta, sarebbe stato distrutto. Oggi, ha il dovere di tutelare la sua popolazione dopo tanti anni di attacchi terroristici e di missili sulla popolazione inerme. La popolazione d'Israele è cresciuta di dieci volte (da 800mila a 8 milioni) in 66 anni. Ha il record dei Premi Nobel, delle scoperte nel campo dell'high teck, dell' aver irrigato tutto il mondo, dai propri deserti all'India all'Africa, dell' avere abbastanza energia da correre in aiuto di chiunque abbia bisogno dopo un terremoto o un'alluvione, dell' aver trasformato un minuscolo pezzo di terra senza risorse naturale in una serra piena di fiori, una casa ordinata e moderna in mezzo a un mondo impregnato in stragi e di rovine.. Al tempo della seconda Intifada abbiamo assistito a un'altro tentativo di spingere gli ebrei all'esilio, di espellerli terrorizzandoli: ma l'eroismo nel resistere alle bombe sugli autobus e nei caffè, la forza dei civili, ha salvato Israele. Sarebbe bello che il grande pubblico prendesse come esempio di passione civica, l'eroismo della resistenza e anche la incredibile dedizione che c'è nelle famiglie che senza obiettare accettano un servizio militare di tre anni da parte dei loro diciottenni. Sono ragazzi che non sono cresciuti in una società militarista, ma che da piccoli hanno attraversato la strada per la mano e hanno imparato a scuola canzoni pacifiste. Eppure, quando partono,essi e le famiglie sanno che possono perdere la vita, come è accaduto dalla fondazione dello Stato a 23.169 soldati, un numero enorme, come fosse da noi 250mila. Le citazioni degli intellettuali arabi che ho elencato all'inizio (sono tutte traduzioni del MEMRI) sono il mio augurio allo Stato di Israele. Racconta Bernard Lewis che quando Sadat parlò alla Knesset, le sue guardie del corpo in piedi ai lati del podio chiesero l'uno all'altro "Cos'è questo brusio?". E l'altro: "E' la democrazia". "E' una ben dolce cosa" rispose il compagno. La pace fra Begin e Sadat è anche frutto di questo momento di comprensione, di identificazione con Israele. Lo leggiamo nei valorosi giornalisti arabi.

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