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Shalom Rassegna Stampa
26.04.2014 La lobby ebraica americana si divide in tre
Commento di Alessandra Farkas

Testata: Shalom
Data: 26 aprile 2014
Pagina: 19
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: «La lobby ebraica americana si divide in tre»

Riprendiamo dal mensile SHALOM, aprile 2014, a pag.19, con il titolo "La lobby ebraica americana si divide in tre", il commento di Alessandra Farkas.

                                            Alessandra Farkas

 New York - E’ la riprova, se ce ne fosse bisogno, di quanto moderno continui ad essere il vecchio proverbio yiddish “due ebrei, tre opinioni”. I “falchi” dell’ebraismo americano hanno annunciato l’imminente creazione di una nuova lobby pro-Israele decisa a dare filo da torcere alla potentissima AIPAC (fondata nel 1953 da Isaiah L. Kenen) e alla sempre più influente J Street, inaugurata da Jeremy Ben-Ami nel 2008. La nuova organizzazione dovrebbe chiamarsi Z-Pac e la sua missione è creare un’alternativa ultraconservatrice a J Street, considerata troppo di sinistra (ma sempre più ascoltata dall’amministrazione Obama) e all’AIPAC, accusata di “prendere ordini” direttamente dal governo israeliano, a prescindere e spesso addirittura in contrasto con le posizioni del governo Usa. “J Street è a favore di un unico stato d’Israele per tutti i suoi cittadini, ebrei e palestinesi, mentre AIPAC appoggia la soluzione dei due stati”, teorizzano gli attivisti dietro Z-Pac. “Noi siamo convinti che l’opzione di J Street sia impraticabile, così come la creazione di uno stato palestinese sarebbe un disastro per gli ebrei”, puntualizzano, “ed è proprio questo il messaggio che intendiamo comunicare all’attuale amministrazione Usa”. A finanziare la nuova lobby è un nutrito gruppo di ricchi uomini d’affari americani che in passato avevano già aperto il portafogli per sponsorizzare le varie campagne politiche del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che considerano “un traditore” dal 2009, quando si schierò apertamente a favore della “soluzione dei due stati”. Uomini come Joseph Sabag, avvocato ultraconservatore della Florida, vicino alle frange più estreme della destra israeliana. Resta da vedere che tipo di impatto può avere un gruppo del genere in un’America dove il 70% degli oltre 6 milioni di ebrei continua ad identificarsi nel partito democratico ed è pronta a votare il candidato di quel partito anche se, come nel caso di Obama, non è proprio un sostenitore sfegatato dello Stato ebraico. Anche se minoranza, questi ebrei di destra sono decisi a giocarsi il tutto e per tutto pur di bloccare lo spettro di uno stato Palestinese. A dar loro una mano, anche se indirettamente, sono state due recenti batoste incassate da AIPAC – un’organizzazione abituata a vincere – interpretate negli ambienti ebraici statunitensi come la prova della sua diminuita influenza politica. La prima risale allo scorso settembre: quando Obama chiese l’autorizzazione del Congresso per bombardare la Siria, (rea di aver usato armi chimiche), AIPAC fece pressione sul Congresso dietro richiesta dell’amministrazione che più tardi ritirò l’opzione militare, lasciando AIPAC a bocca asciutta. La seconda sconfitta, più recente, ha visto la Casa Bianca bloccare la campagna di AIPAC per convincere il Congresso a varare nuove sanzioni contro l’Iran. “La via diplomatica è quella che stiamo percorrendo adesso”, ha tagliato corto il portavoce del presidente Obama dopo che i lobbisti AIPAC erano riusciti a reclutare ben 59 senatori di entrambi i partiti per co-sponsorizzare una legge - caldeggiata da Netanyahu - che avrebbe imposto nuove sanzioni all’Iran qualora i negoziati fossero falliti. E negli ultimi tempi anche l’ultra-liberal J Street è finita nel mirino con l’uscita di ‘The J Street Challenge”, un documentario realizzato dall’Americans for Peace and Tolerance dove luminari ebrei quali i docenti di Harvard Ruth Wisse e Alan Dershowitz accusano il gruppo di essere “né pro-pace né pro-Israele”. La prova: l’aver annoverato, tra i suoi facoltosi fondatori, feroci critici di Israele quali il miliardario George Soros e Genevieve Lynch, membro del consiglio di amministrazione del National Iranian-American Council, lobby vicina agli ayatollah di Teheran. Per non parlare poi dei suoi presunti legami con i leader del movimento globale per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS). I tempi non potrebbero essere insomma più propizi per dare una casa ai tanti ebrei americani che, sia a destra che a sinistra, si sentono traditi. Ma l’ipotesi di ben tre lobby ebraiche Usa sta già sollevando critiche e dubbi. “E’ facile scherzare sulla nostra tendenza a coltivare molteplici punti di vista”, afferma Dershowitz, “ma nella realtà tutto ciò rischia di danneggiare soprattutto lo stato ebraico. Perché invece di una posizione israeliana uniforme, il politico americano medio sarà inondato da una cacofonia di idee e proposte che gli renderà difficilissimo decidere”.

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