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Shalom Rassegna Stampa
11.02.2009 Disinformare manipolando le interviste : il caso Sabahi-Yehoshua
L'analisi di Angelo Pezzana

Testata: Shalom
Data: 11 febbraio 2009
Pagina: 27
Autore: Angelo Pezzana
Titolo: «Mischiare le opinioni, ovvero la sottile arte dei disinformatori»

Riportiamo da SHALOM di febbraio l'articolo di Angelo Pezzana " Mischiare le opinioni, ovvero la sottile arte dei disinformatori"

A proposito di interviste a personaggi della politica o della cultura israeliani, che appaiono molto spesso sui nostri giornali, siamo proprio sicuri che le risposte siano accurate e che riflettano veramente quanto affermato dagli intervistati ? Abbiamo cominciato a dubitarne quando, nello scorso settembre, abbiamo letto l’intervista di Farian Sabahi ad A.B.Yehoshua sulla Stampa (22/9/2008), nella quale lo scrittore si lasciava andare ad alcune considerazioni che ci hanno insospettito. “ L’Iran rappresenta una minaccia molto limitata per lo Stato ebraico “ avrebbe dichiarato Yehoshua alla giornalista, una frase che non corrisponde a nulla di quanto leggiamo abitualmente nei suoi articoli. Il titolo era addirittura peggio “ L’Iran non è un pericolo per Israele”, suggerito al redattore dal pezzo della Sabahi. Abbiamo quindi inviato il testo a Yehoshua, chiedendogli di verificarne il contenuto. Il risultato è stata una sua lettera di smentita alla Stampa –pubblicata in forma di articolo con molta evidenza data la fama del collaboratore- nella quale segnalava che il suo pensiero era stato stravolto. Aveva infatti detto Yehoshua, che l’ Iran rappresenta un pericolo “non solo “ per Israele, il che fa una bella differenza. Nè, aggiunge, di avere mai detto che gli Stati uniti avevano invaso altri paesi della regione oltre all’Iraq, come invece la Sabahi aveva riportato. Se con Yehoshua è stato facile fargli avere il testo della manipolazione, in altri casi non è così automatico, come nel caso di citazioni, estrapolate fuori dal contesto nel quale furono dette o scritte, che è la specialità, ma non è la sola, di Barbara Spinelli, che non perde occasione per gettare discredito sugli ebrei e sullo Stato ebraico. Dopo il non dimenticato “ Ebreo discolpati “ di otto anni fa, sempre sulla Stampa (11/1/2009) attacca Israele in un editoriale di prima pagina titolato “ Il fardello dell’uomo israeliano “, che ne richiama uno simile, “Il fardello dell’uomo bianco”, il cui argomento erano i crimini del colonialismo (guarda caso, una delle parole, con Apartheid, più citate dall’autrice quando scrive su Israele). Un fardello pieno di false attribuzioni di schieramento, con Yehoshua e Segev mischiati a Gideon Levy, la scelta di verbi e vocaboli per la cui analisi rinviamo al sito di informazione corretta della stessa data . Ehud Olmert, addirittura, citato fra gli accusatori più implacabili dello stesso Stato del quale è premier, applicando la tecnica di estrapolare una frase scritta in un contesto molto più ampio, con il risultato di farla apparire per quello che non è. Simili accorgimenti vengono usati anche da Sergio Romano, quando risponde ai lettori nella sua rubrica sul Corriere della Sera, nella quale viene esaltata al massimo la sua capacità di omettere qualche fatto storico per avvalorare le sue tesi. Tecnica raffinata, non è proprio un falso, ma il risultato sul lettore è identico, gli viene impedito di farsi un’opinione completa e indipendente dalle tesi di Romano. A chi gli scrive, contestando la validità e il rispetto della storia, risponde accusando l’interlocutore di essere prevenuto nei suoi confronti. Durante i giorni del conflitto, abbiamo persino letto interviste alla stessa persona in due diverse testate nello stesso giorno, con dichiarazioni che, se confrontate, avremmo attribuito a due persone diverse, tanto i concetti espressi erano distanti l’uno dall’altro. Queste riflessioni ci fanno sentire la mancanza di un qualche (piccolo) organismo che verifichi con gli intervistati la correttezza delle loro affermazioni, per capire se corrispondono davvero a quanto hanno dichiarato. Se qualcuno fra i lettori di Shalom fosse interessato a costituirlo, farebbe, come si suol dire, un’opera buona. Nei confronti di chi non ha gli strumenti per farlo personalmente, e anche quale segnale per quei giornalisti che, confidando nel fatto l’intervistato mai leggerà le proprie dichiarazioni in una lingua che non è la sua, riportano le opinioni altrui mischiate con le proprie.

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