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Shalom Rassegna Stampa
19.01.2007 In Medio Oriente il vero problema è l'Iran
l'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Shalom
Data: 19 gennaio 2007
Pagina: 0
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Dalle rivendicazioni territoriali al fanatismo religioso e ideologico»
Dal SHALOM del  gennaio 2007, un articolo di Fiamma Nirenstein:

La politica mondiale sembra sinceramente impegnata a capire la nuova situazione cretasi da quando un pazzo estremista come Ahmadinejad galvanizza tutti gli estremisti islamici, li finanzia e li organizza, non fa differenza se sciiti o sunniti, in una strategia comune mentre semina orrore e paura con la sua negazione della Shoah e le sue minacce di sterminio. Israele non fa differenza. Prova a capire, si sforza di agire in una situazione di pericolo e di perplesstà senza precedenti. Le sue perplessità sono immense, le sue incertezze molto maggiori di quelle che vorrebbe lasciar scorgere. Nelle settimane intorno alla fine dell’anno la questione palestinese si è ripresentata in tutta la sua drammaticità: la guerra di strada, gli omicidi, gli agguati, i rapimenti intercorsi fra Hamas e Fatah hanno messo in scena i prodromi di un’autentica guerra civile, hanno riproposto ad Olmert il problema dell’estremismo di Hamas, che ha dato il via agli scontri assassinando senza rimpianti e con intenzione tre bambini innocenti. Olmert, dopo un viaggio in Europa e ripetite consultazioni con gli USA, e dunque sulla scorta della approvazione di tutto il mondo, ha scelto la strada di una riapertuta di dialogo con Abu Mazen per neutralizzare Hamas e riprendere la ricerca del tanto sognato accordo di pace. Cosa c’è del resto di più naturale del dialogo con la parte possibilista e moderata che spera insieme a te che la pace sia fattibile in base a un accordo ragionevole, conveniente per le due parti? L’Europa spinge Olmert nel disegno di una pacificazione ottenuta parlando con Abu Mazen, anche Tony Blair in visita nella zona ha dimostrato entusiasmo per una soluzione negoziata con Abu Mazen. Ma non ci possiamo sottrarre all’impressione che il proporsi di una scenario locale, quello del conflitto israelo paletsinese, di fatto fornisca all’opinione pubblica e agli uomini politici solo un paravento rispetto ai problemi veri. Guardiamo per esempio la visita italiana di Olmert. A volte fa piacere venire accolti con un sorriso, essere abbracciati proprio da coloro che sono sempre pronti a rimporverarti e a caricarti di colpe altrui. Chi può dare torto a Olmert? Dall’altra parte, è bello abbracciare qualcuno che è stato birichino e che puoi recuperare, forse, alla retta via. Sarà anche bello domani, quando il discolo peccherà di nuovo, punirlo ricordando di essere stato, a suo tempo, magnanimi; sarà bello anche poter dire “Il mio migliore amico è un ebreo” per gestire la questione israeliana come si vuole sull’arena internazionale. O magari dopo aver stretto la mano a Ahmadinejad. L’iddilio qui appena abbozzato ha avuto luogo fra Ehud Olmert, premier dello Stato d’Israele in visita in Italia nella seconda settimana di dicembre, e Romano Prodi, con cui Olmert ha avuto oltre che un colloquio, anche dei momenti di palese entusiasmo amicale, con abbracci e sorrisi oltre il protocollo. Il carattere di Olmert è un carattere di proverbiale esuberanza: mentre nelle prime settimane di potere, un anno fa precisamente, quando Sharon da poco giaceva inconsciente nel letto dell’ospedale Hadassa, Olmert aveva fatto di tutto per mettere a riposo il suo spirito garibaldino e irridente, a inghiottire le battuttacce e a frenare le scivolate, adesso la sua vitalità sembra aver ripreso il sopravvento. Il segnale più evidente durante il suo viaggio in Europa è stata la scivolata con cui ha ammesso che Israele ha l’arma atomica: di fronte alle telecamere tedesche, la politica dell’ambiguità ha subito uno scossone molto serio quando Olmert ha sostanzialmente rotto, durante un’intervista televisiva, quella politica sul filo del rasoio che Shimon Peres inventò per evitare la polemica dei paesi arabi e eventualmente un’escalation atomica di area. Chi sostiene che Olmert ha rotto il silenzio intenzionalmente, per segnalare ad Ahmadinejad che sta giocando col fuoco, secondo me sbaglia. Olmert è semplicemente molto caricato dal desiderio di trovare alleati per quella che forse è la più difficile battaglia per la sopravvivenza dello Stato d’Israle, dato che l’atomica, secondo le previsoni del Mossad, sarà pronta già nel 2009. L’Iran di Ahmadinejad, inoltre, non solo è un nemico che esplicitamente prepara la distruzione di Israele e in generale del mondo occidentale, che non solo si sta dotando per questo scopo delle strutture di produzione della bomba atomica, ma che ha anche stretto una catena di alleanze che creano sfide nuovissime. Forze che un tempo agivano autonomamente, oggi coordinano i loro sforzi con teheran nella prospettiva di distruggere Israele:in coordinazione con Ahamdinejad cercano di stringere un cappio intorno alla gola dello Stato Ebraico. Hamas, gli Hezbollah, la Siria, persino Al Qaeda, sono affascinati e coinvolti nel piano di sterminio di Ahmadinejad. Le questioni territoriali sono ormai viste da questo schieramento come secondarie rispetto al dominio del territorio di Israele, visto dallo jihadismo come terra da liberare, appartenente all’Ummah dei credenti nell’Islam. Olmert è il primo Premier della storia Israeliana che si trovi di fronte l’integralismo islamico armato di hamas, per niente interessato a trattati di pace quali che siano, come forza di governo. I leader internazionali si rendono conto che gli avversari di Israele sono ormai anche i loro, che per quante profferte tattiche essi possano ricevere, la loro cultura si ritiene incompatibile con quella occidentale. E tuttavia, preferiscono tergiversare piuttosto che affrontare l’unico problema rilevante; e anche Olmert non è riuscito a ottenere una presa di posizione sul tema che veramente gli interessava, che non è quello di che fare con i palestinesi, ma di che fare con l’Iran. Prodi ha concesso che da Gennaio, quando siederà nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU; l’Italia non si tirerà indietro dalle sanzioni, ma solo se saranno direttamente e specificamente relative al tema del nucleare iraniano. Questo, in buona sostanza, significa che ogni altra azione è esclusa. Olmert sembra abbia suggerito a Prodi, che peraltro ha condannato la conferenza di negazione della Shoah, di lanciare un pratico, forte segnale cessando di incoraggiare il commercio con l’Iran, il cui bilancio ammonta a otto miliardi di dollari, e che il governo supporta nelle assicurazioni allo scambio con un paese a rischio.E’ vero che Prodi ha detto che l’Italia è interessata a che Israele resti uno stato ebraico nel futuro, ovvero, tradotto in politica, che non supporterà il “diritto al ritorno”. D’altra parte però, ha ribadito che l’Iran è“un Paese importante nel Medio Oriente” , cioè che bisogna interloquire con chi predica lo streminio e la negazione di ogni diritto degli ebrei. Diffile sostenere questo punto proprio mentre la disgustosa cerimonia della Conferenza negazionista negando la prima Shoah, promette operare la seconda. Di fatto, è molto difficile per Olmert gestire questo momento politico. Agire a fronte dell’allargamento della zona in cui non interessi concreti, reali, si propongono sullo scenario della politiche ainternazionale ma piuttosto iustanze religiose, non lascia molto spazio alla politica. L’Europa ancora non sa, non ha capito, che gli scenari sono radicalmente cambiati, che forse oggi come oggi il desiderio di costruire uno Stato Paletsinese, fatte salve le buone intenzioni di Abu Mazen, è più presente fra gli israeliani che fra i palestinesi stessi. Che l’intero tappeto del giuoco è stato rovesciato; e che con pressioni, con sanzioni, con autentici interventi economici, e sostenendo l’opposizione studentesca che nessuno aiuta veramente e che pure si fa viva, bisogna combattere l’aggressività iraniana che infiamma tutto il Medio Oriente. Olmert avrà ottenuto un risultato in politic ainternazionale non quando sarà calorosamente abbracciato, ma quando riuscirà a far capire che ogni processo di pace è perduto senza acquisire questa nuova consapevolezza.

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