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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Panorama Rassegna Stampa
15.11.2004 La nuova leadership palestinese saprà combattere il terrorismo?
l'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Panorama
Data: 15 novembre 2004
Pagina: 56
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «AAA Cercasi nelle urne nuovo leader autorevole»
PANORAMA del 18-11-04 pubblica a pagina 56 un articolo di Fiamma Nirenstein sul futuro dei rapporti tra palestinesi e Israele dopo la morte di Yasser Arafat. Ecco l'articolo:
Nei giorni successivi alla scomparsa di scena di Yasser Arafat in Israele hanno incominciato a compulsare le liste di prigionieri rinchiusi nelle carceri. E a studiare se lo sgombero da gaza possa compiersi prima della primavera avanzata, come previsto, e magari non del tutto unilateralmente, ma parlando con la controparte palestinese. La ragione è semplice: Israele si stropiccia gli occhi di fronte alla fortuna di avere una nuova leadership palestinese e cerca di promuoverla quanto può senza bruciarla facendosene patrono.
Un rilascio di prigionieri sarebbe certo un segnale molto amichevole, così pure un colloquio sul passaggio di poteri a Gaza e in parte della Cisgiordania. Tutti i servizi segreti e gli esperti hanno fornito al primo ministro e agli apparati della difesa un parere positivo: è possibile davvero che cominci una nuova vita nei rapporti con i palestinesi; che Abu Mazen e Abu Ala, i due protagonisti del ricambio, siano una controparte pragmatica. E’ realistico, dicono lo Shabbach e il Mossad, servizi per l’interno e per l’estero, che sia finalmente superata l’icona massimalista di Arafat, il vecchio rivoluzionario, simbolo e fondatore dell’idea palestinese, ma anche leader panarabista, nato nei Fratelli musulmani, il terrorista proveniente dalla galleria di ritratti dell’ideologia della guerra fredda, in cui la regola era proclamarsi anticolonialisti, antirazzisti, antimperialisti per avere una legittimazione internazionale a prescindere dai risultati. Arafat era un giusto autoproclamato, come Fidel Castro: le condizioni materiali del suo popolo lo interessavano meno della causa generale. La demonizzazione del nemico era senza confini. Per lui distruggere Israele era un istinto prima ancora che un piano. Per questo aveva rifiutato nel 200 l’accordo di Camp David che gli offriva il 98% della Cisgiordania e metà di Gerusalemme e aveva dato il via a una guerra totale che credeva di vincere. Adesso di fronte agli israeliani si presentano due uomini pratici, non carismatici, appartenenti alla schiera dei moderati, due personaggi che quando Arafat rifiutò camp David lo supplicarono di cambiare idea.. Abu Ala, l’attuale primo ministro, è meno coraggioso ma più abile, un politico disposto al rapporto con l’Occidente, un importante uomo d’affari, affabile gentleman preferito dagli israeliani al tempo delle trattative per Oslo. Abu Mazen, il più forte dei candidati, è sato certo audace quando per soli 80 giorni da primo ministro si è giocato il ruolo nel sostenere la road map, criticando l’uso del terrorismo. Mas e le loro personalità sono incoraggianti, meno lo è l’inghippo politico che aspetta ogni leader palestinese.
La società pluralista del periodo precedente al ritorno di Arafat si è con lui radicalizzata. Il paternalismo corrotto ha preso il sopravvento, soprattutto l’identità palestinese si è assimilata a quella del mondo arabo radicale, in cui il vittimismo, il senso di rabbia, la disumanizzazione del nemico sono diventate chiavi insostituibili di successo personale. Ne è stato un esempio l’incredibile dichiarazione di Nabil Sha’at, ministro degli Esteri palestinese, alla conferenza stampa finale di Parigi in cui fra le lacrime per l’annuncio del coma profondo del rais non ha esitato a dire che causa della sua morte era la qualità della vita imposta al raìs dagli israeliani.
Questo "spirito del tempo" sul piano politico si traduce oggi nella disperata ricerca di unità fra tutte le fazioni palestinesi, compresa Hamas, la Jihad islamica, le parti estreme dei Tanzim e di al Fatah, con la premessa della condivisione del potere e quindi anche dell’immunità. In termini pratici questo significa luce verde per gli attacchi terroristici, che sono la chiave del potere in queste organizzazioni. Nessun leader che voglia evitare scontri armati e caos tra i palestinesi potrà permettersi di combattere il terrorismo, perlomeno apertamente.
A 60 giorni dalla morte del raìs la costituzione palestinese prevede elezioni: se sarà ottemperato il suo dettato, c’è anche da immaginare una crescita di potere delle organizzazioni integraliste islamiche. Eppure, solo leader resi res ipotenti dal voto popolare , dato che nessuno ha il carisma di Arafat, potranno imprimere una svolta al rapporto con Israele. La pace di nuovo richiede il coraggio di qualcuno che dica "no more terrorism" a un Israele con le orecchie ben aperte.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare il proprio parere alla direzione di Panorama. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.

rossella@mondadori.it

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