lunedi` 29 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Panorama Rassegna Stampa
12.01.2004 Dedicato a quelli che sostengono che non è cambiato niente
Il Medio Oriente del dopo Saddam in un'analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Panorama
Data: 12 gennaio 2004
Pagina: 95
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Adesso tutto è possibile, anche la pace»
Riportiamo l'analisi di Fiamma Nirenstein sugli sviluppi nel Medio Oriente dopo la cattura di Saddam Hussein.
Chi pensava che la guerra in Iraq non avrebbe mai modificato la scena mediorientale, che i dittatori fossero intoccabili e il terrorismo invariabilmente rampante, deve in questi giorni chiedersi che cosa sta accadendo. In realtà, dopo la cattura di Saddam Hussein se guardiamo la carta geografica del Medio Oriente possiamo vedere che ha cambiato, almeno per ora, parte dei suoi colori: i paesi fortemente antioccidentali sono rimasti due, la Siria e l’Iran, con la loro comune appendice libanese, Hezbollah. In Iran qualcosa potrebbe cambiare e la sua ben radicata opposizione può ottenere migliori aiuti internazionali; la Siria non ha un aspetto stabile, dati i suoi vincoli con l’Iraq di Saddam e le spericolate politiche del suo giovane leader Bashar Assad.
La Turchia, per il cui destino si temeva dopo la vittoria elettorale del partito islamico, è rimasta moderata e occidentale. Il circolo dei paesi semimoderati o moderati (quali che siano le loro reali intenzioni) si allarga. Il fatto che Muammar Gheddafi abbia stupito il mondo scegliendo di rinunciare alle sue armi di distruzione di massa, incluso un programma nucleare che andava molto al di là dell’immaginazione, dimostra che i dittatori mediorientali sanno scegliere al momento del bisogno. Gheddafi ha agito per la propria salvezza, ha concluso la serie di negoziati sulle sue armi iniziata proprio in coincidenza della campagna militare contro l’Iraq. Gheddafi già da marzo aveva capito che gli Usa lo consideravano troppo pericoloso per lasciargli portare avanti i suoi piani e che, sebbene la Libia non sia ufficialmente nell’asse del male, pure una volta che la lista delle sue armi fosse venuta alla luce sarebbe finita nell’elenco dei tiranni da deporre.
L’Europa in questo caso, dopo l’abbattimento del volo Pan Am e del volo Uta, era compatta contro di lui: e questo insegna una lezione importante sull’enorme utilità di ciò che può causare la perdita del supporto europeo. Probabilmente se questo fosse avveunto per Yasser Arafat, la pace sarebbe ora più a portata di mano.
Pochi giorni fa, per la prima volta da tre anni, il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Maher è andato in visita al primo ministro israeliano Ariel Sharon. Si dice addirittura che si prepari una visita di Hosni Mubarak (l’unica, salvo che per il funerale di Yitzhak Rabin). Nel frattempo gli attacchi terroristici sul territorio israeliano si sono un po’ calmati (anche se i servizi israeliani fermano ancora decine di terroristi per strada) e Ariel Sharon ha lanciato il suo piano di ritiro unilaterale dai Territori nel caso in cui non si riesca a tornare alla road map.
Sharon, che riesca a rimettersi al tavolo delle trattative oppure no, sfidando l’idea che il suo gesto possa apparire come una resa, sta preparando i piani per sgomberare gli insediamenti illegali subito, così come sta già applicando misure di facilitazione economica e di libertà di movimento per i civili palestinesi.
Al tempo in cui Israele si ritirò unilateralmente dal Libano, gli hezbollah propagandarono la cosa come una vittoria militare e convinsero i palestinesi che anche loro avrebbero potuto cacciare gli israeliani con le armi del terrore: fu uno dei motivi salienti della nuova intifada. Se l’hanno fatto loro, perché non noi? pensarono i tanzim e gli uomini di Hamas. Adesso le cose stanno alla rovescia: se Sharon decide di ritirarsi, sarà nell’ambito di una situazione creatasi in Medio Oriente per cui si possono anche compiere gesti coraggiosi (seppure a rischio), ma in una migliore atmosfera. Il mondo arabo sta abbandonando almeno per un momento il suo palazzo dei sogni per incontrare la dura realtà quotidiana, quella in cui i tiranni possono anche perdere e qualcosa può e deve cambiare.
Invitiamo i lettori di Informazione Corretta ad inviare la propria opinione alla redazione di Panorama. Cliccando sul link sottostante si aprirà una e-mail già pronta per essere compilata e spedita.




rossella@mondadori.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT