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Rassegna Stampa
27.10.2015 L'ipocrisia al potere: il premier dell'Anp Rami Hamdallah, 'terrorista moderato'
Lo intervista Umberto De Giovannangeli

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «'Colpa di Netanyahu la rabbia dei giovani palestinesi'»

Riprendiamo dall' UNITA' di oggi, 27/10/2015, a pag. 11, con il titolo "Colpa di Netanyahu la rabbia dei giovani palestinesi", l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Rami Hamdallah, premier della "moderata" (=moderatamente terrorista) Anp.

Ecco un'intervista in cui diviene evidente tutta l'ipocrisia di quella parte di leadership palestinese che da molti, anche tra i governi occidentali, viene considerata "moderata". E d'altronde è lo stesso Umberto De Giovannangeli a condividere che Hamdallah è "Considerato dalle cancellerie europee un politico «pragmatico e moderato»".

Hamdallah sostiene, a parole, la "resistenza non violenta" contro Israele e l' "occupazione", ma di fatto continua a incitare, insieme a Abu Mazen, alla violenza e all'odio contro Israele e gli ebrei. Ma l'ipocrisia non si limita a questo: giunge a dichiarare che il "presidente Abbas (Abu Mazen, ndr) ha risposto affermando la nostra disponibilità a discutere a un tavolo negoziale, di uno Stato di Palestina smilitarizzato", quando è vero l'esatto contrario: anche recentemente, di fronte alla proposta di Netanyahu di sedersi a un tavolo di trattative senza precondizioni, la risposta è stata la stessa che i leader arabi palestinesi danno almeno dagli anni '20 del Novecento: NO. Una risposta tanto chiara quanto eloquente.

Ecco l'intervista:

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Umberto De Giovannangeli

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Rami Hamdallah

«E' inaccettabile mettere sullo stesso piano l'oppresso e il suo oppressore. L'attenzione è oggi concentrata sugli accoltellamenti e il primo ministro d'Israele parla di terrorismo e accusa la dirigenza palestinese di alimentare la violenza. Ma cosi si stravolge, per l'ennesima volta, la realtà dei fatti: le autorità israeliane portano su di sé tutte le responsabilità dell'escalation di violenza di queste settimane». A sostenerlo è Rami Hamdallah, 57 anni, primo ministro dell'Autorità nazionale palestinese (Anp). Considerato dalle cancellerie europee un politico «pragmatico e moderato», HamdaIlah è dal 1998 presidente dell'Università Al Najah, a Nablus (Cisgiordania). «Per quanto ci riguarda - aggiunge Hamdallah - il nostro obiettivo resta quello di realizzare uno Stato palestinese nei confini del '67 e con Gerusalemme Est come capitale. Non chiediamo la luna, ma solo di dare seguito alle risoluzioni Onu e alla Road map del Quartetto (Usa, Russia, Inu, Ue, ndr). Non siamo certo noi ad aver bloccato il negoziato di pace, ma non è pensabile restare in silenzio di fronte alla colonizzazione dei Territori, al tentativo di espellere i palestinesi da Gerusalemme Est, d'Israele. Pace e colonizzazione sono tra loro inconciliabili».

Il sangue è tornato a scorrere a Gerusalemme e in Cisgiordania. C'è chi parla di una 'terza Intifada', il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu accusa la leadership palestinese e il presidente Abu Mazen di fomentare il terrore. Qual è la sua risposta? «In questi mesi abbiamo portato avanti una resistenza non violenta, in difesa delle nostre terre, dei nostri ulivi, in difesa dei nostri diritti. La risposta d'Israele è stata brutale: repressione, solo repressione, anche quando a protestare erano donne e bambini. Cosa si pretende da noi? La rassegnazione, il subire ogni atto d'illegalità portato avanti dall'occupante? Abbiamo chiesto la protezione internazionale per la nostra gente che subisce ogni giorno in Cisgiordania i soprusi dei coloni, abbiamo sostenuto la proposta francese sui dispiegamento di una forza internazionale nella Spianata delle Moschee, la cui sicurezza e intangibilità non può essere affidata solo a un sistema di videosorveglianza, ci siamo rivolti alla Corte penale internazionale dell'A¡a perché sia fatta giustizia sui crimini accertati commessi dall'esercito israeliano nell'ultima guerra a Gaza. Abbiamo usato gli strumenti del diritto, abbiamo portato avanti una resistenza non violenta, e la risposta israeliana è stata sempre la stessa: far valere la legge del più forte su quella della legalitá internazionale. Una situazione che ha moltiplicato la rabbia soprattutto fra i nostri giovani».

Una rabbia che Hamas e ora anche l'Isis cercano di cavalcare e orientare. Questo dovrebbe suonare per tutti, anche per Israele, come un campanello d'allarme: delegittimare la leadership di Abu Mazen, proseguire nella colonizzazione dei Territori, mantenere sotto assedio Gaza isolandola dal mondo, fa il gioco delle forze più estremiste, quelle che puntano alla destabilizzazione, provando a usare la causa palestinese". Netanyahu sta giocando col fuoco e con lui i falchi del suo governo».

lsraele teme che la creazione di uno Stato palestinese possa minacciare la sua sicurezza. «E' vero l'esatto opposto: è l'occupazione che alimenta la rabbia e la rabbia può trasformarsi in violenza. A Israele che teme per la sua sicurezza, il presidente Abbas (Abu Mazen, ndr) ha risposto affermando la nostra disponibilità a discutere a un tavolo negoziale, di uno Stato di Palestina smilitarizzato. Abbiamo aggiunto che saremmo favorevoli ad una forza internazionale a garanzia dei confini. Abbiamo detto loro: scegliete voi di quali Paesi devono essere questi soldati, per noi va bene. La risposta che abbiamo avuto è che non si fidano di nessuno. Cosa possiamo fare?».

Questo vuol dire che la parola dialogo non ha pili diritto di cittadinanza in Palestina? Niente affatto. Non ci piace essere in guerra con i nostri vicini. Quello che vorremmo realizzare è un accordo storico, che ponga fine a 48 anni di occupazione. A Israele dico: non vogliamo uno Stato in meno al mondo, Israele, ma uno in più, lo Stato di Palestina. Uno Stato sovrano e indipendente. E la sua nascita sarebbe anche un elemento di garanzia per la sicurezza dello Stato d'Israele».

II presidente degli Usa, Barack Obama, ha fatto appello alle due parti perché si ponga fine alle violenze e si riprenda il cammino del negoziato. «La nostra risposta è che siamo pronti a riprendere quel cammino, ma nella chiarezza d'intenti e nella definizione dei tempi e dello sbocco del negoziato. La mancata chiarezza su questo ha contribuito alla crisi degli Accordi di Oslo. Mi lasci aggiungere che sono sempre stato convinto che un accordo di pace debba nascere da un dialogo diretto fra le parti interessate e che la pace non possa essere portata o imposta dall'esterno, ma questo non significa che la comunità internazionale, le sue istituzioni, i Paesi più impegnati in Medio Oriente, debbano lavarsene le mani. Il disimpegno è peggio dell'ingerenza».

In un video, un miliziano dello Stato islamico ha avvertito, in lingua ebraica, Israele: "stiamo arrivando". Quel messaggio non è solo una minaccia per Israele, ma è anche una provocazione a tutto il popolo palestinese, alla sua dirigenza. Non abbiamo bisogno di "protettori", e non metteremo il nostro destino nelle mani di al-Baghdadi».

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