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Rassegna Stampa
02.02.2014 Umberto De Giovannangeli, l'esperto-ignorante
Strafalcioni a pioggia, sul quotidiano del PD

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Il 'caso Johansson' e l'intifada del boicottaggio»

Povero PD, povera Unità, se è Umberto De Giovannageli a dettare la linea del giornale. Riprendiamo dall'UNITA' di oggi, 02/02/2014,a pag.15, con il titolo "Il 'caso Johansson' e l'intifada del boicottaggio", un pezzo pieno di strafalcioni.
Intanto non è il "caso Johansson", è semmai  il "caso Oxfam",  l'Ong  che deruba gli allocchi occidentali per finanziare campagne contro Israele.


Richard Falk

Tutto il pezzo trasuda poi in modo maleodorante simpatia persino per personaggi del tutto screditati come il giudice Richard Falk, le cui opinioni non vengono più citate da nessun giornale serio (vabbè, qualcuno potrebbe obiettare, con ragione, che l'UNITA'non lo è). Raggiunge poi il culmine dell'ignoranza quando accredita come vero  il boicottaggio dei magazzini tedeschi Kaiser verso i prodotti  degli "insediamenti della Cisgiordania e delle Alture del Golan""
Ah, Udg, il Golan, fino al 1967 ( guerra dei 6 giorni, ricorda ?), apparteneva alla Siria, oggi è territorio ufficiale di Israele, non un insediamento. Se fosse coerente dovrebbe usare lo stesso criterio per Gerusalemme, anche la capitale di Israele, una e indivisibile, è un insediamento ?
Se questa è la terza intifada, sarà bene che Udg la sostenga in maniera più robusta, Falk, la Ashrawi ( definita responsabile dei diritti umani in Palestina, su vede che vive all'esteo, perchè non si è mai accorta che di rispetto dei diritti umani nell'Anp non vi è nemmeno l'ombra !) , i magazzini Kaiser (.. non comprate i prodotti degli ebrei.. suona famigliare, egregio Udg ?) sono argomenti deboli, rischiano di far fallire l'intifada annunciata con tanta simpatia dal quotidiano del PD.
Ecco l'articolo:


Scarlett Johansson

Il «divorzio» tra Scarlett Johansson e l’Ong Oxfamria ccende il riflettori su una questione delicata: il boicottaggio dei prodotti israeliani provenienti dai Territori occupati. Questione che non può essere confusa con l’ingiustificabile boicottaggio culturale delle Università dello Stato ebraico («ll boicottaggio culturale è la cosa più anti-culturale che esiste - avverte il più autorevole storico israeliano, il professor Zeev Sternhell - . Fin troppo facile ricordare chi ne ha fatto uso,e non fa molto onore trovarsi in compagnia di movimenti come il nazionalsocialismo o il fascismo. Si deve assolutamente evitare che la cultura diventi ostaggio della protesta politica). Riflette in proposito Hanan Ashrawi, più volte ministra dell’Autorità nazionale palestinese, paladina dei diritti umani nei Territori: «Tra rassegnazione e deriva militarista - dice Ashrawi a l’Unità - esiste una terza via per un popolo che rivendica il proprio diritto all’autodeterminazione: la via della resistenza non violenta, della disobbedienza civile. E il boicottaggio dei prodotti degli insediamenti è parte di questa resistenza, è un modo per contrastare quella politica di colonizzazione portata avanti da Israele.Una politica - conclude la dirigente palestinese - che di fatto vanifica un accordo di pace fondato sul principio “due popoli, due Stati”». Una campagna internazionale di boicottaggio dei prodotti israeliani provenienti dagli insediamenti, rimarca un documentato articolo del WashingtonPost, si è rapidamente trasformata da un fastidio lontano in una dura realtà economica per gli agricoltori israeliani nella Valle del Giordano della Cisgiordania. Il reddito dei produttori dei 21 insediamenti della vallata, il quale dipende dalle esportazioni, lo scorso anno è sceso di oltre il 14 per cento, o 29 milioni dollari, in gran parte perché le catene di supermercati europei, in particolare quelli in Gran Bretagna e in Scandinavia, evitano sempredi più peperoni, datteri,uva e erbe aromatiche dell’area, dicono i coloni. «Il danno è enorme», ammette David Elhayani, presidente del Consiglio regionale della Valle del Giordano, che rappresenta circa 7.000 coloni. «In effetti, oggi, quasi non vendiamo più al mercato europeo (occidentale) », spiega. Quanto a Oxfam - con cui l’attrice americana ha collaborato per 8 anni - l’Ong si oppone a «qualunque società che operi nelle colonie contribuendo a perpetrare l’ingiustizia verso i palestinesi ». Questo perché, spiegano, «siamo contrari agli scambi commerciali con gli insediamenti, costruzioni illegali secondo la legge internazionale. Negli ultimi anni, diverse catene di supermercati inglesi hanno cominciato ad etichettare o hanno sospeso la vendita di prodotti provenienti dagli insediamenti israeliani. In Germania la catena di supermercati Kaiser ha smesso di vendere nel 2012 i prodotti degli insediamenti della Cisgiordania e delle Alture del Golan, annesse da Israele. Ma c’è anche un altro fronte caldo: quello relativo alle compagnie estere che operanonegli insediamenti».«Tutte lecompagnie che operano negli insediamenti o con questi fanno affari dovrebbero essere boicottate finché non riporteranno le loro attività pienamente in linea con il rispetto dei diritti umani», sostiene Richard Falk, il Rapporteur speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei Territori palestinesi occupati, in una relazione datata 19 settembre 2012. Per questo, ha aggiunto Falk, la comunità internazionale deve boicottare le imprese che aiutano la colonizzazione: Caterpillar, Hewlett Packard e Motorola (Usa); Veolia Environment (Francia); G4S (Gran Bretagna); Dexia (Belgio); Volvo Group e Assa Abloy (Svezia); Ahava, Elbit Systems and Mehadrin (Israele); Riwal HoldingGroup(Olanda) e Cemex(Mexico). Neigiorni scorsi, il quotidiano progressista di Tel Aviv, Haaretz ha rivelato che la più grande società di gestione dei fondi pensione nei Paesi Bassi, la Pggm, ha deciso di ritirare tutti i propri investimenti dalle cinque maggiori banche di Israele -BankHapoalim,BankLeumi, Bank Mizrahi-Tefahot, First International Bank of Israel e Israel Discount Bank- perché hanno filiali nella Cisgiordania occupata e perché sono coinvolte nel finanziamento della costruzione degli insediamenti colonici. Iniziative che si combinano con le nuove linee guida europee entrate in vigore il 1 gennaio che vietano investimenti finanziari a favore di società pubbliche e private che operano nei Territori. Quella che si delinea è una sorta di «terza Intifada»: senza armi, che punta sul boicottaggio commerciale. «Sono convinto che quella economica sia un’arma infinitamente più efficace delle altre. Sia chiaro: il nostro non è un boicottaggio a Israele. Il nostro interscambio è di 5miliardididollari l’anno: noi esportiamo per700milioni e importiamo per 4 miliardi. La quota delle colonie è di 300 milioni. Economicamente non è essenziale, per noi è una questione di dignità», rileva Abdel Hafez Nofal, già vice ministro palestinese dell’Economia.

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