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Rassegna Stampa
02.12.2013 I negoziati visti dai palestinesi
Le inaccettabili pretese di Saeb Erekat nell'intervista di Udg

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «'L'Italia dica no alle colonie israeliane'»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 02/12/2013, a pag. 14, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Saeb Erekat dal titolo "«L'Italia dica no alle colonie israeliane»".


Saeb Erekat

Saeb Erekat, definito 'negoziatore' palestinese, espone, nel corso dell'intervista, le motivazioni che sarebbero alla base del fallimento di tutti i negoziati fra Israele e palestinesi.
Ovviamente la responsabilità è tutta israeliana. Terrorismo palestinese? I netti rifiuti a qualunque forma di compromesso che sono sempre arrivati da Anp e Olp? Hamas e i suoi razzi?
Silenzio. Erekat avanza esclusivamente pretese, rifiuta di riconoscere Israele come Stato ebraico e sostiene che, a mandare a monte tutti i negoziati, siano le colonie israeliane, fra le quali inserisce anche la zona est di Gerusalemme.
Come sia possibile pensare di negoziare se non si è disposti a  diritti altrui,  è la storia di tutte le trattative passate con i palestinesi.
Non importa quale offerta arrivi da Israele. I palestinesi rispondono sempre di no. L'unica cosa che desiderano è la cancellazione dello Stato ebraico, non sono interessati alla fondazione di uno Stato palestinese. Se così non fosse, quest'ultimo sarebbe nato già dal 1948, insieme a quello ebraico.
Israele dovrebbe smettere di costruire nella propria capitale, smettere di autodefinirsi 'ebraico', concedere il diritto al ritorno dei discendenti dei profughi, eliminare la barriera di sicurezza. Dovrebbe, insomma, diventare uno Stato islamico, cancellarsi. Allora sì che i palestinesi 'negozierebbero'.
Ecco l'intervista:

«II popolo italiano ha sempre dimostrato sensibilità e vicinanza al popolo palestinese e alla nostra battaglia di libertà. Per questo all'Italia, al suo primo ministro, mi sento di lanciare un appello accorato che so non verrà lasciato cadere nel vuoto: la politica colonizzatrice di Israele sta distruggendo il processo di pace, rendendo di fatto impraticabile quella soluzione "due Stati" che pure è sempre evocata e sostenuta dall'Europa e dagli Stati Uniti. All'Italia chiediamo di schierarsi non contro qualcuno ma per qualcosa. Per una pace giusta, stabile in Palestina. Una pace tra pari».
Nel giorno del bilaterale intergovernativo a Roma Italia-Israele, parla l'uomo che ha fatto la storia dei negoziati di pace israelo-palestinesi: Saeb Erekat, capo negoziatore dell'Anp. Oggi a Roma cl sarà II bilaterale Italia-Israele. Cosa si sente dl chiedere In questo frangente al premier Italiano Enrico Letta?
«Ciò che ci sentiamo di chiedere non è la luna ma di sostenere con forza quanti, nei due campi, continuano a battersi per una pace giusta, fondata su l'unica soluzione possibile...». 
Quale soluzione ?
 «Quella "due Sttai due popoli". Noi palestinesi ci battiamo non contro lo Stato d'Israele ma per veder nascere al suo fianco uno Stato palestinese, pienamente sovrano sul proprio territorio. Ma il presidente Letta sa bene che contro questa soluzione va la politica di colonizzazione operata da Israele in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Pace e colonizzazione sono tra loro inconciliabili. Ciò che chiediamo all'Italia, all'Europa, è di sostenere un negoziato serio, fondato sulla legalità internazionale; un negoziato che abbia come sue basi le risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite, quelle che Israele continua a negare».
Ma II premier israeliano, Benjamin Netanyahu, non nega l'opzione «due Stati».
«A parole non la nega, ma nei fatti la rende impraticabile. Perché non è pensabile realizzare uno Stato degno di questo nome su un territorio frammentato dagli insediamenti israeliani».
L'Italia come le maggiori cancellerie europee e la Casa Bianca sono per un negoziato senza pregiudiziali.
«Su questo occorre la massima chiarezza: quando chiediamo uno stop totale degli insediamenti, non poniamo una "pregiudiziale" ma chiediamo che Israele rispetti accordi sottoscritti e le indicazioni contenute nella Road Map che, è bene ricordarlo, è stata definita da Onu, Stati Uniti, Russia ed Europa».
Il segretario di Stato Usa, John Kerry, si è detto convinto che sia possibile raggiungere un accordo entro nove mesi.
«Vorrei condividere questa speranza ma perché essa si realizzi c'è bisogno di una volontà politica da parte di chi si siede al tavolo del negoziato. Volontà pratica e non solo declamata. Non mi pare che gli atti compiuti dal governo israeliano vadano in questa direzione».
Ciò significa che la dirigenza palestinese è pronta a imboccare altre strade, diverse da quella diplomatica?
«Abbiamo detto più volte che per noi la strategia del dialogo è una scelta strategica. Il punto è un altro: Israele s'illude se pensa di poter mantenere lo status quo. Nei Territori cresce rabbia e frustrazione per una pace che non mostra mai i suoi dividendi. Per ridare speranza occorre fermare le ruspe israeliane, migliorare le condizioni di vita della popolazione palestinese, in Cisgiordania e soprattutto nella Striscia di Gaza. Per ridare speranza occorre dimostrare che esiste davvero un'altra via tra rassegnazione e false scorciatoie militari».
II premier Israeliano ha Invitato il presidente dell'Ano, Mahmud Abbas (Abu Mazen) a parlare alla Knesset. Non è un gesto di apertura?
«Lo è se non nasconde secondi fini. Bene ha fatto il presidente Abbas a dare la sua disponibilità, a patto però che il suo intervento non sia "sotto dettatura"...».
Vale a dire?
«Netanyahu insiste sul fatto che il presidente Abbas dovrebbe riconoscere non lo Stato d'Israele, cosa che sia l'Anp che l'Olp hanno fatto da tempo, ma uno "Stato ebraico". Ma questo vorrebbe dire cancellare l'esistenza di oltre un milione di arabi israeliani. Certe richieste non aiutano il dialogo, ma costruiscono pretesti per una rottura. E questo che vuole Netanyahu?».

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