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Rassegna Stampa
30.12.2012 Elezioni in Israele: leggere l'Unità per disinformarsi
Udg fa troppe interviste, gli manca il tempo per informarsi

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Israele senza centro, le destre puntano a prendere tutto»

Umberto De Giovannangeli è parecchio conosciuto per il numero stupefacente di interviste che pubblica, un numero esorbitante, che nessuno eguaglia. Sarà per questo che gli sfugge la realtà che muta, le opinioni di personaggi famosi, ad esempio A.B.Yehoshua, che ha scritto ieri sulla Stampa una analisi nella quale spiega perchè le categorie di destra e sinistra non sono valide per giudicare la politica israeliana. Udg non lo sa e continua ragionare alla maniera europea, per questo prende cantonate, disinformando i lettori dell' UNITA'. Poco male, direte, tanto ci sono abituati. E' quanto gli capita con il pezzo uscito oggi, 30/12/2012, a pag.14. con il titolo "Israele senza centro, le destre puntano a prendere tutto".  Si legga Yehoshua, caro Udg, così si schiarisce un po' le idee.

Aggressiva sul piano politico come su quello ideologico. Cavalca l’insicurezza di un Paese che vive in trincea mostrando i muscoli, convinta che il futuro di «Eretz Israel» sia legato innanzitutto alla sua potenza militare. A tre settimane dal voto, la destra israeliana va all’attacco, forte di sondaggi che la candidano a guidare il Paese anche in un futuro che si fa presente. Destra e ultradestra insiemeper un «Israele forte». Likud e Israel Beitenu hanno aperto a Gerusalemme la campagna elettorale congiunta. Insieme intendono compattare una maggioranza che escluda il ricorso a grandi coalizioni. L’alleanza elettorale è stata lanciata a Gerusalemme, dal premier uscente Benjamin Netanyahu, grande favorito nei sondaggi: «Lo Stato d’Israele ha di fronte delle sfide enormi, ho il dovere di dirvi come stanno le cose l’Iran sta avanzando con il suo programmanucleare, Hezbollah e Hamas si stanno armando. L’Islam radicale sta crescendo nella regione e sta facendo crollare un regime dopo l’altro». Netanyahu prova ancora una volta a vincere giocando la carta di un Paese accerchiato. ALL’ATTACCO A tre settimane dalle elezioni politiche del 22 gennaio la campagna della destra israeliana inasprisce i toni imponendo un’agenda elettorale con forti accenti ideologici. Netanyahu sostiene con forza la colonizzazione dei territori palestinesi con l’espansione degli insediamenti ebraici. Secondo i detrattori un abile stratagemma per distrarre l’opinione pubblica dalla crisi economica che attraversa il Paese. A tutta destra. E se è possibile una destra più a destra, ancora meglio. Si guadagnano punti nei sondaggi. Un esempio? Naftali Bennett, leader del partito di ultradestra «Jewish Home Party». Una settimana fa, l’ex membro delle truppe d’assalto d’elite «Sayeret Matkal» a un certo punto ha detto la sua sugl’insediamenti ebraici in Cisgiordania. «Se mi dovessero ordinare di evacuarli, fosse soltanto uno e piccolo, ecco avrei molti problemi: di certo non obbedirei agli ordini, la mia coscienza me lo impedirebbe». Parole infuocate, stigmatizzate dallo stesso Netanyahu e dai vertici di Tshal. Ma i sondaggi hanno premiato Bennett, astro nascente della destra israeliana. Stando agli ultimi rilevamenti del Dialog Institute se si votasse in questi giorni, dopo la corazzata Likud-Israel Beitenu (i partiti del premier e dell’ex ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman) che otterrebbe 35 seggi, il secondo partito sarebbe il «Labour Party» di Shelly Yechimovich con 17 seggi Subito dopo, ecco proprio «Jewish Home Party» di Naftali Bennett con 13 parlamentari. Tanti quanti ne prenderebbero gli ultrareligiosi dello Shas che, però, vantano una guida spirituale ascoltata dagli ebrei e un bel po’ d’esperienza politica. Una settimana fa, la formazione di Bennett non andava - nei sondaggi più ottimisti - oltre i 10 seggi. Dieci seggi, stavolta, andrebbero a Kadima, il partito fondato dall’ex premier Ariel Sharon, attualmente la realtà con più parlamentari nella legislatura uscente. Una destra più decisa si è affermata anche all’interno dello stesso partito di governo, il Likud, che di recente ha votato per stabilire l’ordine dei candidati sulla lista delle politiche. Ferma restando la leadership dell’attuale premier, nei primi venti posti, quelli cioè che certamente entreranno a far parte della nuova Knesset, si trovano numerosi esponenti dell’ala ultra nazionalista del partito, come Danny Danon e Moshe Feiglin, e in ben sei dei primi dieci nomi della lista si trovano personalità che in passato si sono schierate contro il processo di pace israelo-palestinese e a favore della politica coloniale in Cisgiordania. Un risultato che ha allarmato la stampa locale. Yediot Ahronot ha ad esempio ricordato come Feiglin guidò una serie di manifestazioni popolari contro il premier laburista Yitzhak Rabin solo alcune settimane prima della sua uccisione. Il dato politico più rilevante è che in Israele il «Biberman» (Netanyahu-Lieberman) arranca,maad avvantaggiarsene è la destra più radicale. Verso la quale Ari Shavit, tra i più autorevoli politologi israeliani ed editorialista di Haaretz, usa parole di fuoco: «Una parte considerevole delle forze politiche in ascesa - dice Shavit a l’Unità - è di tipo barbaro. Non rispettano i diritti umani e non si piegano di fronte alla legge. Non dimostrano alcuna lealtà alla democrazia e alcuni addirittura negano il progresso». Quanto al rapporto con i palestinesi, due terzi degli israeliani che votano per partiti di destra si oppongono alla nascita di uno Stato palestinese smilitarizzato in Cisgiordania, secondo un sondaggio pubblicato nei giorni dal quotidiano Maariv. Secondo lo studio, il 66% delle persone interpellate si oppone alla creazione di un tale Stato; l'11% si dice invece favorevole.

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