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Rassegna Stampa
01.04.2012 Tra balle, enfasi e grossolana propaganda
L'intervista di Udg a Mustafà Barghouti

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Una nuova intifada per sfidare Israele: quella non violenta»

Sull'UNITA' di oggi, 01/04/2012, a pag. 32/33, Umberto De Giovannangeli intervista Mustafa Barghouti, presentato quale "Medico, presidente di una Ong (Umprc) che cura più di un terzo della popolazione palestinese dei Territori occupati,è segretario del movimento AlMubadara. Nel gennaio2005 è stato candidato alle elezioni per la presidenza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp)" Come abbia fatto Udg a contare quanti palestinesi dell'Anp si affidino alle cure di Barghouti, non è dato sapere. Ci informa il buon Udg che il merito va ad una Ong, la Umprc, sigla misteriosa, che contiene tre lettere -prc- non sarà mica una beneficiata dai soldi del Partito di Rifondazione Comunista, non ci sarebbe da stupirsi, visti i milioni di euro che entrano nelle casse dei nostri partiti, anche quelli piccoli piccoli, persino defunti... in questo caso ci dica di più, potrebbe interessare anche al nostro Ministero della Sanità, nella vita c'è sempre da imparare.
Ma veniamo all'intervista,nella quale il Barghouti esalta la giornata della cosidetta " Marcia su Gerusalemme" dell'altro giorno, un fiasco di tale portata che tutti i media, anche quelli più ostili a Israele, hanno scelto di ignorare per non dover raccontare il fallimento che è stata.
Il povero Barghouti è in un letto d'ospedale, forse colpito da un pugno alla testa da un manifestante poco pacifico, anche se il ferito dà la colpa a un lacrimogeno lanciato da un soldato israeliano - dice lui - che l'avrebbe colpito alla testa, strano, non l'ha scritto nessun giornale, nemmeno il MANIFESTO, che sia una balla ?  Lasciamo ai nostri lettori il piacere di leggere l'intervista, con le lodi all'altro Barghouti, in galera con vari ergastoli da scontare, citato come se fosse un novello Gramsci.
Udg presenta Barghouti come una colomba, anche perchè solo uno sciocco potrebbe ritenere vincente una intifada violenta, e Barghouti non  è. Meglio ripetere la solita solfa, i palestinesi vogliono uno Stato e Israele no. Vero, solo che è sempre bene precisare che lo Stato voluto dai paletinesi non è quello che  i politicamente corretti media occidentali ritengono, quello che vogliono c'è già, si chiama Israele.
Ecco l'intervista, dal titolo:

" Una nuova intifada per sfidare Israele: quella non violenta"

Mustafà Barghouti

Mi sono ripreso. Ora sto meglio. Ma più che nel fisico, è il morale che è alto. Perché il 30 marzo è stato un grande giorno. Lo è stato perché nessuno pensava che saremmo riusciti a dar vita a una mobilitazione che ha coinvolto migliaia di persone. È stata una grande giornata, quella di ieri (venerdì, la “Giornata della Terra”, ndr), perché abbiamo realizzato una protesta non violenta, unitaria. E questo midà speranza per il futuro».Aparlare, da un letto di ospedale a Ramallah, è una delle figure più rappresentative della Palestina laica, progressista: Mustafa Barghuti. Il leader del partito di «Iniziativa nazionale » (Mubadara), è stato colpito alla testa da un lacrimogeno nel corso di scontri tra manifestanti palestinesi e soldati israeliani presso il check-point di Kalandya. Della sua vicenda personale, Barghuti ha poca voglia di parlare. Lo fa solo per contestare una ricostruzione che lo vorrebbe colpito da un lacrimogeno israeliano ma da un pugno sferratogli da un militante del Fplp palestinese. «È un’affermazione ridicola - taglia corto Barghuti -. La più ridicola che abbia mai sentito. Perché un palestinese avrebbe dovuto attaccarmi? Siamo tutti sulla stessa barricata. Io sono un dirigente palestinese». Le proteste della Giornata della Terra tenute dalla popolazione palestineseequivalgonoaterrorismopolitico: parolediDannyAyalon,viceministro degli Esteri d’Israele. «Per Israele chiunque si opponga all’occupazione è un “terrorista”. Ma le parole di Ayalon non sono solo provocazione allo stato puro, denotano anche qualcos’altro». Cos’altro? «Denotano preoccupazione. Perché ciò che è avvenuto venerdì scorso è qualcosa di molto importante. Decine di migliaia di persone hannodato vita a una protesta non violenta, unitaria. Dimostrando così che esiste una terza via tra rassegnazione e una pratica militarista: è la via della disobbedienza civile, diuna rivolta popolare in cui ognunosi sente partecipe, protagonista.È una nuova Intifada: l’Intifada non violenta». Quella evocata anche da un altro Barghuti: Marwan, il leader di Al Fatah da anni in carcere in Israele. «Ho letto l’appello di Marwan e condividonon solo le conclusionimasoprattutto la premessa: siamo di fronte adunfallimento della strategia negoziale portata avanti dal presidente Abbas (Abu Mazen). Ed è fallita perché di fronte a noi abbiamo una controparte che ha sempre inteso il “negoziato” come un guadagnar tempo, come fumo negli occhi della comunità internazionale. Far finta di negoziare e intanto svuotare il negoziato di ogni significato concreto, portando avanti sul campo la politica dei fatti compiuti: espropriare i palestinesi della loro terra, portare a termine il muro dell’apartheid in Cisgiordania, continuare a fare di Gaza una prigione a cielo aperto, isolata dal resto del mondo. La realtà, purtroppo, ha confermato quanto ho avuto modo di sostenere più volte in passato».Vale a dire? «Cambiano i governi, ma la musica resta sempre la stessa: i governanti israeliani cercano di incastrare i palestinesi in un angolo della scacchiera dove non c’è alcuna possibilità di scelta. Se diciamo di essere d’accordo sulla soluzione dei due Stati, ci propongono un bantustan. Se affermiamo che, stando così le cose, preferiamo uno Stato unico e democratico, ci accusano di voler distruggere Israele». C’è chi sostiene che l’alternativa al negoziato è la lotta armata. «Non sono di questo avviso. Israele sembra conoscere solo il linguaggio della forza, e sfidarlo su questo terreno è assolutamente perdente. La militarizzazione dell’Intifada è stata una scelta sbagliata, un tragico errore. La resistenza non violenta è il terreno su cui sfidare Israele. E al tempo stesso, occorre praticare il dialogo dal basso, con quella parte della società israeliana che continua a credere in una convivenza possibile, fruttuosa tra due popoli e due Stati. Per questo non dobbiamo stancarci di spiegare che la nostra era e resta una lotta di liberazione nazionale, ma che non è, e non è mai stata, una lotta contro gli ebrei. Ci hanno attaccati, non siamo stati noi ad attaccare. Hanno preso la nostra terra, noi non abbiamo preso la terra di nessuno. La nostra lotta è per realizzare un nuovo Stato, lo Stato di Palestina, enonper cancellarne uno, lo Stato d’Israele. Nessuno s’illuda: lo status quo non potrà durare ancora a lungo. Quello palestinese non sarà mai un popolo di rassegnati»

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