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Rassegna Stampa
29.03.2012 Per Amnesty impedire a un detenuto di suicidarsi è un trattamento 'inumano'
meglio lasciarlo a piede libero, pronto per commettere altri crimini. Cronaca di Rachele Gonnelli

Testata:
Autore: Rachele Gonnelli
Titolo: «Shalabi, una donna a capo della protesta dei detenuti palestinesi senza processo»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 29/03/2012, a pag. 33, l'articolo di Rachele Gonnelli dal titolo " Shalabi, una donna a capo della protesta dei detenuti palestinesi senza processo ".


Hana Shalabi

Rachele Gonnelli descrive lo sciopero della fame di Hana Shalabi, detenuta palestinese in un carcere israeliano.
Shalabi faceva parte dei 1500 terroristi rilasciati da Israele in cambio di Gilad Shalit, ma è stata di nuovo incarcerata. Gonnelli scrive : "
Secondo il padre Yehia Shalabi - suHaaretz - il motivo potrebbe essere che essendo la famiglia legata alla Jihad islamica e non ad Hamas, per lei lo scambio non valeva. Ma si tratta di una ricostruzione informale, senza prove.". Shalabi era, come Khader Adnan (detenuto palestinese in sciopero della fame che sarà scarcerato pur non avendo terminato di scontare la pena), legata alla jihad islamica. Per questo si trovava in carcere? Le sue vittime non contano nulla?
Gonnelli continua, riportando le accuse di Amnesty a Israele : "
 un comitato etico dell’ospedale di Meir ieri ha preso la decisione di obbligare la donna all’alimentazione forzata. Un trattamento considerato «inumano e crudele » da Amnesty International.". Salvare la vita a una donna con l'alimentazione forzata sarebbe un trattamento 'inumano e crudele'? Lasciarla morire in carcere invece no? Quello sarebbe giusto?
Amnesty attacca Israele qualunque cosa faccia, vorrebbe che rilasciasse Shalabi. Liberare una criminale e non farle scontare la pena sarebbe l'unico trattamento umano. Vista la linea di Amnesty non stupisce che l'organizzazione non abbia mai fatto sentire la propria voce per chiedere la liberazione di Gilad Shalit quand'era prigioniero di Hamas. Non sono mai arrivate denunce contro i terroristi della Striscia. Evidentemente, secondo Amnesty, rapire un ragazzo, tenerlo segregato per cinque anni e mezzo, ricattare la sua famiglia e lo Stato del quale è cittadino e richiedere in cambio della sua libertà la scarcerazione di 1500 criminali
 non è un trattamento inumano. Se lo facesse Israele, però, siamo certi che le denunce di Amnesty sarebbero incontenibili.
Ecco il pezzo:

Il nuovo volto della protesta contro le detenzioni arbitrarie di palestinesi nelle carceri israeliane è quello di una donna. Si chiama Hana Shalabi, ha 30 anni, viene da una famiglia di agricoltori del villaggio di Burqin, sobborgo di Jenin, e dopo la morte del fratello durante un’incursione israeliana voleva studiare per diventare infermiera a Nablus. Èstata arrestata il 18 ottobre dell’anno scorso per essersi ribellata durante una perquisizione della sua casa. Rilasciata nello scambio di prigionieri tra israele e Hamas per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, è stata riarrestata quattro mesi dopo, il 12 febbraio, senza un’accusa precisa. Secondo il padre Yehia Shalabi - suHaaretz - il motivo potrebbe essere che essendo la famiglia legata alla Jihad islamica e non ad Hamas, per lei lo scambio non valeva. Ma si tratta di una ricostruzione informale, senza prove. Ora da quarantadue giorni è in sciopero della fame. Le sue condizioni oggi sono critiche, i suoi legali dicono che potrebbe avere le ore contate. Le autorità israeliane cominciano a temere che la sua lotta non violenta possa trasformarsi in martirio, tanto cheda una settimana l’hanno trasferita nell’ospedale Meir di Kfar Sab, vicino Tel Aviv, dove però la sua situazione clinica sabato scorso è ulteriormente peggiorata. L’associazione palestinese per i diritti umani e il sostegno ai prigionieri Addameer, con sede a Gerusalemme est, dice che «Hana ha iniziato ad assumere calcio e vitamina K per essere protetta da infarto immediato». L’atrofia muscolare della donna è aumentata e potrebbe presto raggiungere il muscolo cardiaco. Domenica scorsa la corte militare di Ofer, la più vicina a Ramallah, ha rifiutato l’appello presentato dai legali di Hana Shalabi contro l’ordine di detenzione amministrativa. Il giudice ha deciso che la detenuta dovrà rimanere in carcere fino allo scadere della detenzione, il 23 giugno 2012, poiché «rappresenta una minaccia alla sicurezza di Israele», sostenendo di avere informazioni di intelligence che la donna aveva «intenzione di attuare un attacco terroristico » contro gli israeliani. «Il tribunale militare israeliano ha respinto il ricorso ed ora andremo alla Corte suprema», ha riferito all’agenzia di stampa Nena Jawad Bulus, avvocato della Shalabi, precisando che la donna «continuerà lo sciopero della fame».
AMNESTY PROTESTA
Nel frattempo, mentre la detenuta rimarrà sotto osservazione in ospedale per evitareun ulteriore peggioramento delle sue già critiche condizione di salute, un comitato etico dell’ospedale di Meir ieri ha preso la decisione di obbligare la donna all’alimentazione forzata.Untrattamento considerato «inumano e crudele » daAmnesty International. Anche per Amnesty «Hana Shalabi deve essere rilasciata subito o accusata di un crimine riconosciuto a livello internazionale». A Gaza il suo volto ha sostituito quello barbuto di di KhaderAdnan - che dopo due mesi ha posto fine allo sciopero della fame con la promessa di essere liberato allo scadere della detenzione amministrativa - nella stessa lotta per denunciare le detenzioni politiche di Israele sotto forma di provvedimenti amministrativi. Originariamente basata sui Regolamenti di emergenzadelmandato britannico del 1945, questa pratica è stata ripresa nel 1970 ed è entrata ufficialmente nell’ordinamento israeliano nel 1979. Oggi, da misura eccezionale, la detenzione amministrativa si è trasformata inuna pratica che Israele utilizza costantemente contro la popolazione palestinese. In base all’Ordine militare numero 1651 i comandanti militari dei Territori occupati della Cisgiordania possono trattenere in stato di detenzione amministrativa i palestinesi per «fondati motivi di sospetto che possano nuocere alla sicurezza » per un massimo di sei mesi, ma la procedura può essere rinnovata indefinitamente. Attualmente più di 300 persone, tra cui 20 membri del Consiglio Legislativo Palestinese - il parlamento dell’Autorità nazionale palestinese - sono detenuti senza accusa né processo nelle carceri israeliane.

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