sabato 18 maggio 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






Rassegna Stampa
09.07.2011 Un bilancio troppo ottimistico su Unifil, Libano ed Hezbollah
Udg intervista il gen. Graziano

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Noi decisivi per la pace. La missione in Libano strategica per l’Italia»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 09/07/2011, a pag. 20, l'intervista di Umberto De Giovannangeli al gen. Graziano dal titolo " Noi decisivi per la pace. La missione in Libano strategica per l’Italia ".


Gen. Claudio Graziano

Udg chiede al generale Claudio Graziano, ex comandante dell'Unifil, un bilancio sulla missione. E' tutto un elenco dei successi riportati dall missione, sembra quasi che i due stiano discutendo di un altro Stato più che del Libano. Quando Udg chiede un parere su Hezbollah, Graziano lo dipinge come partito che ha anche una componente armata e col quale bisogna avere per forza a che fare perchè 'rappresentativo'. Sul suo colpo di Stato, ulle minacce che il leader Nasrallah ha fatto al tribunale Hariri, sulle minacce contro Israele, sul legame con Iran, Siria e Hamas...niente, nemmeno una sillaba. Evidentemente Graziano e Udg pensano che questi non siano i caratteri fondamentali di Hezbollah.
Ecco l'intervista:

Ha guidato per tre anni la missione Unifil 2 in Libano. Anni tempestosi, difficili, condotti, e non è una metafora, in una delle prime linee più calde al mondo. È il generale Claudio Graziano. L'Unità lo ha intervistato in giorni politicamente caldi: quelli in cui si discute del futuro delle missioni italiane all'estero. Il Libano, e non solo. GeneraleGraziano,perchénonèenfatico affermare che la missione in Libano è stata per l'Italia un«fiore all' occhiello» della sua presenza internazionale?
«In quei tre anni ero capo missione, “tecnicamente” non ero italiano, appartenevo alle Nazioni Unite. Devo dire, però, che la mia percezione è stata sempre quella di avere un adeguato supporto del Paese, in ogni circostanza, al di là dei cambi di Governo. Così come ho registrato la stima che l'Italia aveva all'estero, una percezione che a volte manca o è inferiore al nostro interno. Il Libano ne è una riprova. Ancora oggi, tanto Israele quanto il Libano fanno sapere che è importante la presenza italiana, che è gradita la presenza di un comandante italiano. Nel mio periodo, devo dire che da un certo punto di vista sono stato leggermente più fortunato...».
In che senso, generale?
«Era un momento particolare. Era appena finita una guerra. C'era il timore di un nuovo conflitto, la paura di un'altra, drammatica emergenza.Equesto probabilmente faceva più notizia. Oggi l'attenzione internazionale verso il Libano sembra essersi un po' spenta. E questa è per me fonte di preoccupazione... ». Perché?
«Perché il Medio Oriente necessita di un costante interesse, supporto e pressione internazionali. Oltre il Libano, direi che nel nostro Paese vi sia la percezione che le missioni in generale siano un “fiore all'occhiello” dell'Italia, una cosa che l'Italia sta facendo bene e che le missioni contribuiscono a rafforzare il nostro ruolo e prestigio internazionali. Poi è chiaro, purtroppo, che si parla più degli eventi negativi che di quelli positivi. È sempre stato così. In Afghanistan si parla più dell'attacco meno del fatto che è in atto una “transition” che sta procedendo, che Herat viene riconsegnata alle autorità locali, fatti di grande positività. Purtroppo l'attacco, con dei feriti o peggio con dei caduti, stimola maggiormente l'interesse dei media».
Lei ha fatto riferimento all'apprezzamento comune, sia da parte israeliana che libanese. Questo significa che la presenza militare in missioni internazionali è anche un valido strumento diplomatico per l'Italia?
«Direi proprio di sì. Nella mia vita ho fatto tre missioni importanti: il comandante di battaglione in Mozambico; il comandante di brigata in Afghanistan e il capo missione in Libano. In Libano ero in una situazione migliore, perché ero sia militare che civile: ero sia comandante delle forze di Unifil che il capo diplomatico e capo missione. Noi eravamo uno “strumento” nelle mani del segretario generale delle Nazioni Unite. Le nuove missioni internazionali, comequella in Libano, sono multidimensionali, nel senso che io operavo su diverse componenti: quella militare, quella diplomatica, la componente umanitaria, quella delle Ong, con il coordinamento di tutte queste attività. Era uno sforzo corale che, senza i militari, in quelle situazioni di transizione non può funzionare. È un approccio innovativo che l'Onu ha fatto suo negli ultimi tempi, imponendo alle Ong di operare insieme ai militari perché hanno questa funzione essenziale. Certamente ti devi guadagnare la stima della popolazione. Occorre sempre ricordarsi che un contingente di pace opera a favore della popolazione che è andata ad aiutare e soccorrere. Il nostro primo dovere, oltre la tutela del proprio personale, è proprio quello di garantire la sicurezza delle popolazioni e ottenerne il consenso. Senza consenso non c'è missione di pace».
Questa sensibilità verso le popolazioni civili sembra essere il connotato del modo di operare italiano nelle missioni...
«Dire che è italiano sembrerebbe voler affermare, implicitamente, che gli altri non ce l'hanno. Gli italiani lo fanno bene. Ultimamente è venuto aRomain visita un generale israeliano. E a cena assieme all'ambasciatore d'Israele mi hanno detto: non sa quanto abbiamo apprezzato la sua presenza e quanto ancora si parli di lei. Certamente, mentre era là, hanno aggiunto, con i giornali non potevamo dirlo, perché avevamo paura che lei si sedesse e non svolgesse più appieno il suo ruolo. Ed era quello che, più o meno, dicevano i libanesi. Gli italiani sono bravi e lo hanno dimostrato in tutte le missioni. Non abbiamo nulla da imparare da altri Paesi nelle operazioni. Soprattutto quello che abbiamo maturato è la capacità di coordinarci: con gli Esteri, con il ministero dello Sviluppo economico, solo per fare due esempi. Il fatto che tutti i Paesi continuano a chiedere la nostra presenza, e il discorso non vale solo per il Libano, testimonia il funzionamento della “macchina-Italia” all'estero. Asuo avviso, lo scenario mediorientale resta strategicamente fondamentale ?
«Certo che sì. E per varie ragioni. Il MedioOriente in assoluto è strategico per il Mediterraneo e per l'Europa. Tra i successi che Unifil ha ottenuto, oltre a mantenere la cessazione delle ostilità per tutti questi anni, c'è il ritorno dell'Europa nelle operazioni di “peacekeeping” in ambito Onu. Sul Medio Oriente si concentrano gli archi di crisi di tutto il mondo. Il Medio Oriente resta cruciale, a cominciare dalla soluzione del conflitto israelo-palestinese. C'è ancora lo stato di guerra tra Israele e Libano. Per tutto questo, credo che l'Italia abbia mantenuto interesse per quell'area e in quel settore, confermando una presenza importante nel contingente Unifil e una leadership per quanto riguarda la regione Ovest. E poi il Medio Oriente è di fronte a noi. E noi abbiamo la fortuna di essere in buoni rapporti sia con Israele che col Libano. Un patrimonio di credibilità che non va smarrito».
Quando si parla di Libano e della sua esperienza è d'obbligo affrontare un temaspinoso: il rapporto con Hezbollah...
«Hezbollah è parte della vita libanese. Quandoero làcome capo missione, nell'espletamento della mia funzione non avevo rapporti con la struttura di Hezbollah, intesa come partito. L'avevo sul piano istituzionale, se un ministro era di Hezbollah, o se un sindaco era di Hezbollah... ». E con la parte militare? «Dovevano parlare le autorità libanesi. Unpunto cruciale della missione Unifil è che sin dalla Risoluzione 1701 viene detto che Unifil deve operare e cooperare con le forze locali libanesi, anche per dare autorevolezza alle forze libanesi che in qualche modo nel tempo non erano più responsabili del Paese. Hezbollah rimane una componente essenziale, radicata nel territorio, soprattutto nel Sud che è a maggioranza sciita. Si tratta di un partito politico che ha una componente militare, che vive, come tutto il Libano, una fase di transizione che presenta anche elementi contraddittori. Resta il fatto che Hezbollah rimane una realtà importante con cui devi confrontarti, dialogare perché rappresenta una importante componente, quella sciita, che per legge ha soltanto il 25% dei seggi in Parlamento, ma nella realtà ha una dimensione molto più significativa. Ed essendo collegata al territorio, è forte, e gli stessi israeliani riconoscono a Hezbollah una capacità non soltanto militare ma sociale, di penetrazione importante. La chiave di volta è passare dalla cessazione delle ostilità al cessate il fuoco, e questo è il limite attuale della situazione libanese. Noi abbiamo mantenuto la cessazione delle ostilità, e come ho detto quando siamo andati via, questo è il massimo che potevamo fare come forza militare. Il passaggio al cessate il fuoco dipende dalla volontà delle parti. Se non c'è questa volontà, nel tempo la missione rischia di diventare ostaggio di se stessa, e in qualche misura ostaggio del suo stesso successo, e primao poi qualche incidente puòvenire, cambiando la situazione sul campo. Per questo è importante mantenere la pressione internazionale sulle parti perché arrivino ad un accordo di cessate il fuoco».
C'è chi sostiene che investire sulle missioni all'estero sia una spesa improduttiva...
«Il punto decisivo, ancor più della quantità, è la qualità dell’impegno. In questo senso, l’attività svolta dai nostri contingenti per ilmantenimento della pace e sicurezza, ha confermato un ruolo importante dell’Italia nello scenario mondiale. Importante è che tutte le scelte, quantitative e qualitative, avvengano in sinergia assoluta con le organizzazioni internazionali di cui facciamo parte e con i nostri alleati ».

Per inviare la propria opinione all'Unità, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@unita.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT