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Rassegna Stampa
25.03.2011 Nell'Egitto post Mubarak non c'è spazio per le donne libere
Rivoluzione democratica ?

Testata:
Autore: Cristiana Cella
Titolo: «Egitto, la battaglia delle donne deluse di piazza Tahrir»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 25/3/2011, a pag. 31, l'articolo di Cristiana Cella dal titolo " Egitto, la battaglia delle donne deluse di piazza Tahrir ".

Dopol'articolo di Maurizio Caprara pubblicata dal CORRIERE della SERA di ieri e ripreso da IC (http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=2&sez=120&id=39016), anche L'UNITA' descrive la condizione delle donne nel nuovo Egitto post Mubarak.
Ecco il pezzo:

Ledonne egiziane, nei giorni della rivolta, con o senza velo, hanno condiviso e guidato la protesta, fianco a fianco con gli uomini, hanno rischiato e pagato col sangue. È stata una giovane donna, Asmaa Mahfouz, a lanciare la sfida da Facebooke Youtube e a innescare la mobilitazione di massa. Sono state un fattore fondamentale nella rivoluzione, e pretendono di avere un ruolo nelle nuove strutture governative e nel processo di transizione verso la democrazia. Rischiano invece di essere messe da parte. Per questo, le attiviste dei movimenti delle donne, si sono schierate per il «no» al referendum di sabato scorso sulla modifica della Costituzione. Scelta sostenuta anche dai giovani del Movimento, dalle forze politiche laiche, dai probabili candidati alla Presidenza,Amr MoussaeMohamedElBaradei, da alcune Organizzazioni di Diritti Umani. Chiedevano un cambiamento integrale della Costituzione del ’71, giudicando insufficienti le modifiche elettorali per le elezioni presidenziali. Ma hanno perso, il «sì» ha stravinto. Paura del vuoto di potere, efficacia della propaganda dei Fratelli Musulmani, presenti in forza davanti alle moschee, e del NationalDemocratic Party, del deposto Mubarak, gli unici partiti organizzati sul territorio. La battaglia per la Costituzione è cruciale nel nuovo Egitto, soprattutto per le donne, e gli artefici della rivoluzione temono gli sfugga di mano. Gli emendamenti sono stati decisi, a porte chiuse, da un comitato di otto giuristi, nominati dal Consiglio Supremo Militare. Nessuna donna ne faceva parte. Con le norme ancora vigenti dopo la vittoria del «sì», le donne non sono eleggibili alla presidenza, ma il punto critico è l’articolo 2, di cui hanno chiesto a gran voce l’abolizione. Stabilisce la Sharia come fonte principale del diritto. Con una costituzione a base religiosa i diritti delle donne sarebbero annullati. «Abbiamo vissuto questa unità per il cambiamentoogni giorno, adesso deve essere sancita dalla legge. Vogliamo una Nuova Costituzione che garantisca lo Stato laico». Dice Khalifa, attivista del movimento. Nelle ultime settimane le donne sono scese in piazza per affermare i loro diritti, in un’atmosfera tutt’altro che pacifica. L’8 marzo è stato un giorno triste, rabbioso, violento. In piazza Tahrir, la marcia delle donne è attaccata da un manipolo di teppisti. Aggressioni verbali e fisiche. Con la violenza sono obbligate a lasciare la piazza. Chi sono questi provocatori? «Il prodotto di tanti anni di dittatura, di metodi violenti e di assenza di cultura». Dice Mona Ezzat, attivista femminista. Ma c’è chi sospetta che ci siano dietro agenti del partito di Mubarak o della famigerata State Security, polizia segreta del Presidente, alla quale il popolo egiziano chiede conto di anni di crudeltà, torture e omicidi. La stessa notte gli attivisti democratici, che ancora presidiano Tahrir square, sono attaccati da gruppi pro- Mubarak armati di coltelli e machete. «Conosciamo queste facce», dice OsamaMotawea,uno dei dimostranti che ha dormito in piazza ogni notte. «Vengono qui tutti i giorni e cercano di disperdere le nostre manifestazioni.. È il vecchio regime a pagare questi teppisti». Nei giorni seguenti, 11 donne sono arrestate in piazza Tahrir, dai militari, che erano stati acclamati durante la rivoluzione come eroi. Samira ha 25 anni. Abita lontano, otto ore di viaggio dal Cairo. È arrivata a gennaio e non se n’è più andata.Dopol’arresto in piazza viene portata, insieme ad altri compagni, al Museodel Cairo. Lì è picchiata e torturata con la corrente elettrica. Inutili le proteste e le preghiere, il richiamo alla fratellanza dei giorni della rivoluzione. Sono trasferite in una prigione militare, dove minacce , umiliazioni e torture continuano. Sonogli stessi giornidei sanguinosi attacchi ai Cristiani Copti. Eppure, giovani musulmani e cristiani, nei giorni della rivolta, si proteggevano a vicenda e partecipavano insieme ai funerali delle vittime. Gli slogan della rivoluzione erano chiari e pieni di speranza: «Donne e uomini, Cristiani e Musulmani una sola mano!» portavano cartelli con la mezza luna e la croce intrecciate. Cosa sta succedendo? «La violenza, da parte di teppisti e membri delle forze di sicurezza del passato regime, ha preso di mira idue gruppi egiziani più vulnerabili, da 40 anni relegati a cittadini di seconda classe e colpiti dalla propaganda religiosa, le donne e i cristiani copti». Dice, Hala Shukrallah, giornalista e attivista. «La contro- rivoluzione colpisce il cuore stesso della rivolta del 25 gennaio, la lotta per i diritti umani, soprattutto delle donne».Sonomolti, nelmovimento, a ipotizzare una tattica precisa. Intimidire i protagonisti della rivolta democratica, specialmente le donne, e aizzare scontri tra egiziani, riaprire conflitti cancellati nell’euforia della rivoluzione. Destabilizzare, creare confusione. Impedire che i promotori della democrazia egiziana si organizzino. In queste condizioni, gli attivisti, hanno poco tempo per costituirsi in partiti e prepararsi alle elezioni. La fretta e la vittoria al referendum, giocano a favore degli unici due partiti pronti per la competizione: i FratelliMusulmani e il National Democratic Party. La rivoluzione delle donne egiziane non è affatto finita.

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