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Rassegna Stampa
07.10.2010 Israele deve cedere ai ricatti di Abu Mazen
Questa è la formula di Tzipi Livni e Udg per far muovere i negoziati

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «La pace con i palestinesi è interesse di Israele. Non è più tempo di rinvii»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 07/10/2010, a pag. 32, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Tzipi Livni dal titolo " La pace con i palestinesi è interesse di Israele. Non è più tempo di rinvii ".


Tzipi Livni

Ciò che dice Tzipi Livni è vero, è nell'interesse di Israele negoziare. Non è possibile, però, condividere la sua analisi sulle mosse del governo Netanyahu.
Tzipi Livni incolpa il premier israeliano del possibile fallimento dei negoziati, lasciando intendere che la cosa più giusta da fare sarebbe soddisfare la richiesta di Abu Mazen di prolungare la moratoria sugli insediamenti.
L'Anp pretende da Israele, come precondizione necessaria per continuare le trattative, ciò che dovrebbe essere uno dei risultati dei negoziati e senza proporre nulla in cambio se non il fatto di restare al tavolo dei negoziati.
Come mai Tzipi Livni non ricorda (e Udg si guarda bene dal farlo notare, ovviamente) che la moratoria è durata 10 mesi durante i quali Abu Mazen non ha mosso un dito per riprendere i negoziati?
La storia di Israele dimostra come lo Stato ebraico abbia fatto di tutto, nel corso degli anni, per raggiungere la pace con gli Stati arabi limitrofi. Ha partecipato a negoziati fallimentari, ha ceduto territori. In cambio non ha mai ottenuto ciò che chiedeva, pace e accettazione della sua esistenza in quanto Stato ebraico. La formula territori in cambio di pace non funziona, Gaza ne è stato l'esempio più eclatante.
Inoltre se i negoziati falliranno, sarà per diversi motivi, per fare un esempio la mancanza di volontà di trattare dell'Anp. A tal proposito, invitiamo a leggere la Cartolina da Eurabia di Ugo Volli di oggi, pubblicata in altra pagina della rassegna, nella quale sono contenute le dichiarazioni di Abu Mazen e Saeb Erekat su alcuni nodi fondamentali dei negoziati. La loro posizione rende impossibile raggiungere qualunque accordo.
Abu Mazen, poi, chi dovrebbe rappresentare? Il suo mandato è scaduto da anni e a Gaza non ha nessun potere dal golpe di Hamas.
Nè Tzipi Livni nè Udg hanno evidenziato questi aspetti, chissà perchè.
Ecco l'intervista:

Una cosa deve essere chiaraa tutti: porre fine al conflitto con i palestinesi è nell'interesse di Israele e non un favore fatto al presidente degli Stati Uniti e tanto meno un cedimento al “Nemico”. Troppo tempo è stato sprecato. Ora è il momento delle decisioni da cui dipende il futuro d'Israele. Se Netanyahu le assumerà, siamo pronti a sostenerlo».
A parlare è Tzipi Livni, leader di Kadima, prima forza politica d'Israele. Impegnata in un ciclo di conferenze negli Stati Uniti, l'ex ministra degli Esteri israeliana fa il punto sullo stato dei negoziati tra Israele e l'Anp e torna sulla minaccia iraniana:
«Le ultime esternazioni di Ahmadinejad – afferma Livni – sono l'ulteriore conferma della pericolosità del regimeiraniano. La Comunità internazionale deve aumentare la pressione delle sanzioni economiche integrandole con sanzioni politiche contro i capi del regime. Il mondo deve smettere di concedere ai leader iraniani tribune da cui “vomitare” il loro odio, sia alle Nazioni Unite che in qualsiasi altro consesso internazionale».
Negoziati diretti tra Israele e l'Autorità nazionale palestinese sono di nuovo ad un bivio. C'è chi paventa l'ennesimo fallimento...
«E c'è chi sta alacremente lavorando per questo obiettivo. Un fallimento sarebbe unacatastrofe, perché aprirebbe le porte ad una fase di assoluta incertezza e di destabilizzazione ».
Come evitarlo?
«Assumendo decisioni da cui dipende il futuro d'Israele oltre che la stabilità del Medio Oriente. Ulteriori rinvii sarebbero esiziali. Il governo in carica ha sprecato due anni prima di accettare la ripresa delle trattative. Quella di rinviare scelte strategiche è una politica irresponsabile perché il tempo non lavora per la pace».
C'è chi sostiene che più che per convinzione, Netanyahu è stato costretto al tavolo del negoziato dalle insistenze di Barack Obama...
«Non m'interessa fare il processo alle intenzioni. Ciò che però deve essere chiaro a tutti è che unasoluzione del conflitto con i palestinesi è nell'interesse d'Israele e non è un favore fatto al presidente degli Stati Uniti, tanto meno un cedimento al “Nemico” palestinese. Chi lavora per il fallimento del negoziato si assume una responsabilità storica, perché è del tutto illusorio ritenere possibile, ancorché giusto, mantenere l'attuale status quo».
Lei guida il primo partito israeliano, quanto a voti e rappresentanzaparlamentare. Da leader dell'opposizione qual è il messaggio che intende inviare a Benjamin Netanyahu?
«Al primo ministro dico che non è più tempo di rinvii. È il momento delle scelte strategiche. Se le assumerà, vincendo le resistenze interne al suo Governo e allo stesso Likud (il partito di Netanyahu, ndr), Kadima è pronto a sostenerlo. Netanyahu sa che la possibilità di prendere la decisione che assicurerà la prosecuzione del negoziato è nelle sue mani, e sa anche che Kadima sosterrà ogni decisione finalizzata a facilitare i colloqui e rafforzare la sicurezza d'Israele. Netanyahu deve agire negli interessi a lungo termine d'Israele e non per i suoi interessi politici personali. Il che significa, ad esempio, non chiudere la porta alla proposta americana di una proroga di tre-quattro mesi della moratoria sugli insediamenti. Ritengo che esistano le condizioni per raggiungere un accordo di pace con i palestinesi fondato su due Stati. E questo, peraltro, è l'unico modo per preservare l'identità ebraico-democratica d'Israele.Maper farlo occorre un nuovo patto tra i partiti che rappresentano la maggioranza sionista in Israele». Nella coalizione che sostiene l'attuale governo israeliano c'è chi considera Barack Obama come un presidente ostile...
«È vero l'esatto contrario. Il presidente Obama è impegnato in prima persona nel tentativo di rafforzare la via negoziale.Elo fa nella convinzione che una soluzione del conflitto fondata sul principio “due Stati per due popoli” è nell'interesse d'Israele. È una posizione che va sostenuta con la massima determinazione. Il presidente Obama è un vero, sincero amico d'Israele. E da sincero amico avanza proposte e anche critiche costruttive e per questo è considerato dalla destra oltranzista un nemico. La sua politica è un’opportunità per Israele. Obama vuole essere coinvolto e risolvere il conflitto. Le sue pressioni sono rivolte a chi rifiuta questo processo, e Israele deve scegliere se sta con chi vuole fare avanzare il processo di pace o con chi lo rifiuta o agisce nell' ombra per farlo fallire: in quest’ultimo caso ci sarà un’inevitabile spaccatura con gli Stati Uniti».
Nel campo palestinese Hamas ha accusato Abu Mazen di cedimento al “nemico sionista”...
«Una ragione in più per sostenere la leadership di Abu Mazen...Hamas e i suoi sponsor iraniani hanno tutto l'interesse a far fallire il dialogo. Agevolarli sarebbe un tragico errore. Negoziare con chi predica e pratica la tua distruzione è improponibile. Ma per sconfiggere Hamas occorre anche dimostrare al popolo palestinese che la pace non è una utopia».
L'Iran. Altro dossier scottante.
«Denunciare la pericolosità crescente del regime militar-teocratico al potere in Iran non deve giustificare il freno a mano ai negoziati con i palestinesi. Detto questo, va subito aggiunto che le ultime esternazioni di Ahmadinejad dovrebbero convincere la Comunità internazionale a rafforzare le sanzioni economiche e integrarle con sanzioni politiche contro i capi del regime ».
In che termini realizzarle?
«Il mondo dovrebbe smetterla di concedere ai leader iraniani tribune dalle quali “vomitare” il loro odio antisemita, ciò vale per le Nazioni Unite come qualsiasi altro consesso internazionale. Non basta più lasciare le sedie vuote quando prende la parola Ahmadinejad. Fino a quando Ahmadinejad nega sfacciatamente l'Olocausto e incita alla distruzione d'Israele, la Comunità internazionale deve porre in atto tutte le iniziative politiche per fare il vuoto attorno a lui. E questo, ne sono convinta, sarebbe anche un messaggio di speranza a quanti in Iran si battono contro un regime che non ha esitato ad aprire il fuoco contro donne e uomini che reclamavano libertà e diritti».
Per ultimo vorrei tornare su Israele, stavolta in chiave interna alla società israeliana. Lei non ha nascosto le sue preoccupazione per una involuzione “fondamentalista” del Paese...
«Non posso accettare che l'Israele del 2010siaunPaese in cui le donne, in certi autobus, siano confinate nella parte posteriore o che vengano realizzare strade separate per donne e uomini. Gerusalemme non può trasformarsi in una città segnata dall'oscurantismo. Non posso accettare che la definizione di cosa sia uno “Stato ebraico” sia affidata al monopolio di politici ultraortodossi. Mi ribello al fatto che la nostra società sia ridotta a vari gruppi di “clausura”, ognuno chiuso, arroccato in se stesso. Una società in cui il senso di appartenenza non sia dato dall'essere, dal sentirsi “israeliano” ma dall'identificarsi con un gruppo etnico, o religioso. Non è questa l'idea aperta di Israele per cui hanno combattuto i nostri padri».

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