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Rassegna Stampa
10.07.2010 El tacon pejor del buso
Moni Ovadia lasci perdere gli argomenti seri

Testata:
Autore: Moni Ovadia
Titolo: «Shalit e la colpa di omissione»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 10/07/2010, a pag. 48, l'articolo di Moni Ovadia dal titolo " Shalit e la colpa di omissione ".


Moni Ovadia

Moni Ovadia risponde ad un lettore che lo aveva accusato di non aver speso nemmeno una parola per Gilad Shalit, il soldato israeliano rapito in Israele dai terroristi di Hamas e loro prigionero da quattro anni.
Ovadia prima ammette di aver sbagliato a non commentare la prigionia di Shalit, ma poi scrive : " 
Lascia inorriditi la sproporzione delle sensibilità. Il mio stigmatizzatore trepida giustamente per la sorte del caporale Shalit, ma proprio lui e quelli come lui sembrano indifferenti di fronte ai corpi sbranati di fanciulli innocenti vittime degli effetti «collaterali» delle bombe «intelligenti» o dei Droni dell’esercito israeliano.". Il 'pentimento' di Ovadia è solo una finzione per fare propaganda contro Israele. A Ovadia non interessa minimamente la sorte di Gilad Shalit, ciò che conta è attaccare Israele.
Il pezzo si conclude in tono paternalistico : "
Speriamo che il riconoscimento della mia colpa apra loro gli occhi e i cuori ".
Dopo aver letto la risposta di Moni Ovadia al lettore, l'unica commento possibile è che era meglio il silenzio.
Moni Ovadia lasci perdere gli argomenti seri e continui a fare ciò che ha sempre fatto.
Ecco l'articolo:

Il caporale Gilad Shalit oramai da più di quattro anni vive sotto stato di sequestro, senza che alla sua famiglia sia consentito di avere contatti con lui. Se pensiamo che un simile destino tocchi a un nostro caro non è difficile percepire il dramma di un giovane e della sua famiglia. Finora colpevolmente non ne ho mai parlato. Ieri ho ricevuto una mail di tono severo ma garbato che mi accusava di essere un pacifista a indignazione variabile e mi ha richiamato all’ordine. Non mi riconosco nella parola pacifista che ormai ha assunto accezioni sporche, prediligo nel mio piccolo la definizione di costruttore di pace, che implica in sé la pratica della giustizia sociale (l’unica vera giustizia) e, nei limiti in cui è consentito all’umano, il perseguimento della verità.Comunquesia, la colpa della mia omissione nell’esprimere solidarietà e richiesta di immediata liberazione del giovane militare israeliano rimane. Per quanto grande sia la tragedia del popolo palestinese, per quanto ingiusta sia la violenza che i suoi figli, soprattutto più indifesi subiscono a opera dell’autorità occupante e colonizzatrice israeliana, per quanto incommensurabile sia rispetto al dramma di un solo soldato, non siamo autorizzati a fare baratti di giudizio, pena la demolizione concetto di dignità di persona. Purtroppo la questione non si chiude qui. Lascia inorriditi la sproporzione delle sensibilità. Il mio stigmatizzatore trepida giustamente per la sorte del caporale Shalit, ma proprio lui e quelli come lui sembrano indifferenti di fronte ai corpi sbranati di fanciulli innocenti vittime degli effetti «collaterali» delle bombe «intelligenti» o dei Droni dell’esercito israeliano. Non si scandalizzano di fronte ai crimini di guerra del «piombo fuso». Non hanno lacrime per il dolore dei civili palestinesi. Speriamo che il riconoscimento della mia colpa apra loro gli occhi e i cuori.

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