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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
30.04.2010 Non c'è pace in Medio Oriente? Colpa di Israele, come sempre
Il terrorismo di Hamas e di Hezbollah non contano

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Io sogno una città senza più Muri - Troppi falchi. L’accordo è difficile»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 30/04/2010, a pag. 30, le interviste di Umberto De Giovannangeli a Hanna Siniora e Menachem Klein titolate " Io sogno una città senza più Muri" e " Troppi falchi. L’accordo è difficile ".

Sia Hanna Siniora sia Menachem Klein, entrambi intervistati e mai contraddetti da un estasiato Udg, sono convinti che la responsabilità della situazione attuale fra Israele e palestinesi sia da attribuire allo Stato ebraico e che Gerusalemme non dovrebbe essere la capitale unica e indivisibile di Israele.
Entrambi descrivono futuri scenari terrificanti di guerra, scatenata dai falchi israeliani. Nelle due interviste non c'è alcun accenno al terrorismo islamico di Hamas, di Hezbollah. Nessuna parola sui missili che la Siria fornisce al Libano, non una sillaba sugli sforzi fatti dai vari governi israeliani per raggiungere la pace con gli arabi, ma solo accuse.
A Siniora e Klein, così entusiasti all'idea di dividere Gerusalemme, ricordiamo che, ad oggi, l'accesso ai luoghi sacri è garantito a tutti. Non si può scrivere lo stesso di quando Gerusalemme era in mano alla Giordania.
Ecco le due interviste:

" Io sogno una città senza più Muri "


Hanna Siniora

Gerusalemme: Città contesa. Snodo cruciale per un accordo di pace israelo-palestinese «Gerusalemme, Yerushalayim, al-Quds, cuore del conflitto, chiave della pace»: è il tema scelto dal CIPMO, Centro italiano per la pace in Medio Oriente, per «celebrare », nel migliore dei modi, i fecondi venti anni della sua fondazione. A parlarne in una conferenza a Milano il Cipmo, diretto da Janiki Cingoli, ha chiamato Hanna Siniora e Menachem Klein, esponenti di spicco del dialogo di pace tra Israele e l’Anp.
«La “mia” Gerusalemme è una città aperta, senza muri divisori. La città del dialogo», dice Hanna Siniora.
Gerusalemme, Città contesa, nodo cruciale di una pace negoziata tra Israelee l'Autorità nazionale palestinese. C'è il rischio che su Gerusalemme si inneschi una pericolosa guerra di religione”?
«È unproblema che si può presentare in tutto il mondo, non solo nel contesto israelo- palestinese, nel momento in cui il fondamentalismo religioso aumenta. InMedio Oriente esiste Hamas, esiste Hezbollah, ma fortunatamentenella nostra regionenonabbiamoAl- Qaeda o i talebani.Ma una pericolosa guerra di religione potrebbe è un rischio che potrebbe trasformarsi in realtà. Dobbiamo cercare di avviare un negoziato politico per risolvere la questione di Gerusalemme, che dal punto di vista religioso è la città più importante per ebrei, musulmani e cristiani. Una guerra religiosa potrebbe succedere, ma non per il momento, anche se non si può mai escludere nulla». Autorevolipersonalità israelianehanno messo in guardia sulla trasformazione in atto di Gerusalemme come «capitale» di un aggressivo integralismo ebraico che ha agganci anche nel Governo di Benjamin Netanyahu. È una deriva irreversibile?
«Purtroppo anche in Palestina non abbiamo soluzioni politiche da dare e questo porta le persone verso una sorta di deriva religiosa nazionalista. Non parliamo più di destra o sinistra, ma di nazionalismo laico o religioso. Secondo me la religione è come l’oppio. Spesso è facile accettare, non si può discutere, e questo è il motivo per cui credo che quanto più il conflitto si prolungherà sui punti di vista israeliani e palestinesi noi perderemo la possibilità di trovare un accordo basato sulla soluzione di uno Stato binazionale».
In passato si è cercato di delineare un compromesso sostenibile su Gerusalemme. Dal suo punto di vista, quale potrebbe essere oggi un compromesso sostenibile”?
«Non sono stato un grande sostenitore dell’Iniziativa di Ginevra (il piano di pace elaborato da politici, intellettuali, militari israeliani e palestinesi, ndr) ma credo che abbiano comunque capito la complessità della questione di Gerusalemme.E sono arrivati alla soluzione che ci debbano essere due sovranità. Ora, su dove tracciare la linea questo credo si debba farlo decidere ai negoziatori.Masenza avere due sovranità,una città aperta, senza muri, in Gerusalemme noi non potremo avere alcuna soluzione politica al conflitto israelo-palestinese. I valori spirituali della città non appartengono solo a una religione. Questa città condivide la santità per le tre religioni. Dobbiamo trovare la formula per far coesistere le tre religioni, è per questo motivo che io dico che senza fare questo il conflitto continuerà a lungo. Dobbiamo spostare la questione dall’aspetto politico territoriale a quello religioso: finché non arriveremo a questo punto, e me lo auguro, non ci sarà soluzione al conflitto. E verrà messo in pericolo tutto il Medio Oriente e il mondo intero. Proviamo a immaginare se gli estremisti religiosi, che gli ebrei chiamano Zeloti, dovessero davvero distruggere la moschea di Al-Aqsa, che cosa accadrà? Immediatamente tutti i moderati in Israele e Palesatine sparirebbero e prenderebbero il sopravvento gli estremisti. Che Dio ci aiuti».

" Troppi falchi. L’accordo è difficile "


Menachem Klein

Io sono più pessimista del mio amico Hanna Siniora. Siamo già dentro uno scontro nazional- religioso». A sostenerlo è Menachem Klein. In questo «gioco incrociato» di sensibilità e punti di vista, rivolgiamo a lui le stesse domande formulate all’intellettuale palestinese. Gerusalemme, Città contesa, nodo cruciale di una pace negoziata tra Israele e l'Anp. C'è il rischio che su Gerusalemme si inneschi una pericolosa «guerra di religione»?
«In prospettiva non vedo una pura guerra di religione, perché noi non viviamo più nel medioevo, dove c’erano guerre tra le religioni. Noi abbiamo guerre nazionali. Ma questo porta a unaconclusione pessimistica. Siamo già nel vivo dello scontro religioso e nazionale. Non è solo nazionale, ma è nazional-religioso. O così è per lo meno all’interno di Israele. C’è una combinazione tra religione e nazionalismo. Anche una parte significativa della società palestinese vede il conflitto come una guerra nazional-religiosa e non come una pura guerra nazionalista laica. Essendo già a questo punto la questione può intensificarsi notevolmente se continuiamo a ritardare un accordo politico chiarificatore: gli attivisti religiosi nazionalisti prendono sempre più potere e questo ci porta a un punto in cui sarà molto difficile trovare un accordo. E la difficoltà di trovare un accordo esiste in primo luogo e per la maggior parte perché in ciascuna parte, palestinese e israeliana, c’è uncontinuo scontro tra i liberali, favore voli alla a pace e quelli che vogliono governare sull’altra parte, senza trovare un compromesso. Ogni compromesso con i palestinesi o con gli israeliani porta inevitabilmente anche a uno scontro interno».
Autorevoli personalità israeliane, come Avraham Burg, hanno messo in guardia sulla trasformazione in atto di Gerusalemmecome“capitale”diunaggressivo integralismo ebraico che ha agganci anche nel Governo di Benjamin Netanyahu. È una deriva irreversibile?
«C’è sempre un punto di ritorno. La storia è piena di punti di ritorno. Ma secondo me la questione principale è quanto costa questo punto di ritorno? Quanto costerà il cambiamento? Posso dire che il costo sarà sempre più alto, ogni giorno, nel momento in cui si scontra con il radicalismo della società israeliana. Anche se Netanyahucambierà il governo, la composizione della società israeliana sta cambiando, Sta cambiando l’assetto della società. Non è un problema di formazione del governo, è un problema molto più grande. C’èun cambiamento drammatico nelle menti israeliane. Noi non abbiamo grandi leader che siano disposti a confrontarsi con i radicali, ad affrontare il corso degli eventi per imprimere una svolta. Nonabbiamo leader intellettualmente preparati, non abbiamo una sinistra sufficientemente potente a portare un cambiamento. Lo ha fatto negli anni ‘80 e ‘90, negli anni Ottanta arrivando a un dialogo con l’Olp, e negli anni Novanta supportando gli accordi di Oslo. Oggi non più. Non ci sono quasi più liberali capaci di influire e cambiare l’opinione pubblica israeliana. Il problema è molto, molto più grande, anche di quello che scrive e dice Avraham Burg. Gli israeliani sono vissuti in una “bunker mentality”, non vedono come sono percepiti fuori da Israele, qual è l’atteggiamento dell’opinione pubblica occidentale. Etichettano solo il mondo come antisemita e non accettano critiche che possono essere un contributo prezioso per capire dove loro sbagliano».
In passato si è cercato di delineare un compromesso sostenibile su Gerusalemme. Dal suo punto di vista,qualepotrebbe essere?
«Io sono stato il coordinatore israeliano dell’Iniziativa di Ginevra, un modello che ha tenuto conto non solo delle esigenze dei residenti della città, ma anche di come integrare Gerusalemme in un pacchetto più ampio per risolvere altre questioni territoriali sui confini, tra Israele e Palestina, al di fuori della città. L’unicità del modello è stata quella di inserire la questione di Gerusalemme in un contesto più ampio. Non sono le idee che mancano. Ciò che manca è la volontà dei leader a realizzarle»

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