Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 14/04/2010, a pag. 48, l'articolo di Igiaba Scego dal titolo " Un lager dietro casa ".
Ecco la tesi di Igiaba Scego : " I lager nazisti e i Cie nostrani non sono la stessa cosa, ma sono animati dallo stesso meccanismo ". Evidentemente, Scego non legge gli articoli di Pierluigi Battista, sul Corriere della Sera. Peccato, quello di ieri sulla banalizzazione della Shoah (ripreso nella rassegna stampa di IC) le sarebbe stato utile. Forse, leggendolo, avrebbe evitato il parallelo fra centri di espulsione degli immigrati e lager nazisti. Il genocidio degli ebrei non è un termine di paragone da utilizzare a proprio piacimento per suscitare la compassione del lettore. Ed è vergognoso che questa pratica sia sempre più diffusa. Invitiamo i nostri lettori a scrivere al direttore dell'UNITA', Concita de Gregorio, per chiederle che cosa ne pensa dell'articolo di Igiaba Scego e del paragone inaccettabile che contiene. Ecco l'articolo:
Igiaba Scego
Sto sul tram. Guardo fuori dal finestrino. Gente, macchine, motorini, gas di scarico, polveri sottili. Sui muri simboli, graffiti, codici. Poi arriva quella scritta che mi dilania il cuore: «Lo sai che c’è un lager nella tua città?». Lager. La memoria si fa carne. Lager… nella mia città? Nella mia Roma? Lager. Il paragone mi sembra forzato. O forse no? Guardo la scritta. Il tram passa. Potrei dimenticarmene, come fanno tutti. Ma non posso. Non voglio. Non devo. I Cie sono qualcosa di nefasto. I lager nazisti e i Cie nostrani non sono la stessa cosa, ma sono animati dallo stesso meccanismo. In entrambi i luoghi si opera una disumanizzazione, un furto di dignità. Il Cie, Centro di identificazione ed espulsione (un tempo chiamati Cpt) è un luogo sospeso, dove vive gente sospesa. La personalità del migrante è annullata, il passato superfluo, il futuro incerto diviso tra una espulsione o una vita da eterno clandestino. Non ci sono diritti nel Cie, nonc’ènemmenoun codice penitenziario da seguire. La tua vita da non persona è legata all’estro di chi gestisce la struttura. Spesso i Cie sono teatro di violenze sia fisiche sia psicologiche e se ti ribelli non è detto che sarai ascoltato. Joy questo lo ha capito sulla sua pelle. La ragazza nigeriana è finita sui giornali perché ha denunciato un tentativo di stupro da parte di un ispettore. Una ragazza che fa la “vita” (come si diceva una volta) spesso non è creduta. Portata qui in Italia con l’inganno ora subisce un torto anche dalle istituzioni. È stata coraggiosa a denunciare, ma oggi rischia l’espulsione per il suo coraggio. Al Cie di Ponte Galeria Joy sogna di fare la parrucchiera, un mondo dove nessuno tenti più di oltraggiarla. Questo dovrebbe essere anche il nostro sogno. Il tram supera la scritta.Manonriesco a dimenticarla. Non voglio. Per Joy.
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