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Rassegna Stampa
27.03.2010 Si chiamano entrambi Umberto, ma Ranieri non è Udg
L'analisi di Umberto Ranieri

Testata:
Autore: Umberto Ranieri
Titolo: «Gerusalemme e colonie, obbligata la strada del dialogo»

Sull'UNITA' di oggi, 27/03/2010, a pag. 32, un'analisi di Umberto Ranieri dal titolo "Gerusalemme e colonie, obbligata la strada del dialogo ", che non riflette quanto scritto nell'articolo. Il titolo l'avrà fatto Umberto De Giovannageli, che per una volta non firma il pezzo. Infatti Ranieri è equilibrato e in gran parte condivisibile. Se Udg si occupasse delle pagine sportive e Ranieri della sezione mediorientale, i lettori dell'Unità finalmente comincerebbero a capire quel avviene da quelle parti.
Ecco l'articolo:


Umberto Ranieri

L’annuncio israeliano di un piano per costruire nuovi alloggi a Gerusalemme Est ha provocato l’interruzione di un traballante negoziato indiretto tra israeliani e palestinesi. Eppure, la ripresa del negoziato sembrava ormai una via obbligata considerati i mutamenti intervenuti nel quadro strategico regionale. Il riavvicinamento con l’Iran cui aveva puntato Obamanella fase iniziale della sua amministrazionenon è andato in porto; conseguenza dell’oltranzismo iraniano è stato il rifiuto da parte di Hamas della costituzione di un governo di unità nazionale palestinese; l’infiltrazione di Hezbollah in Egitto ha portato il Cairo alla decisione di costruire unabarriera per impedire il trasferimento di armamenti verso Gaza; la Siria, malgrado le aperture degli Stati Uniti, non ha intenzione di riconsiderare la propria alleanza strategica con l’Iran. In un tale difficile contesto gli Stati Uniti (e i Paesi arabi moderati) si erano venuti convincendo sempre di più che l’unica strada per sbloccare la situazione consistesse nella ripresa dei negoziati. Di qui l’incoraggiamento ad Abu Mazen e la pressione sul governo israeliano per avviare la trattativa. Quello che colpisce è che, in realtà, sia gli israeliani sia i palestinesi sembrano non essere interessati a riprendere il dialogo. La coalizione guidata da Netanyahu appare divisa sul possibile compromesso cui dovrebbe condurre il negoziato: tregua negli insediamenti, accettazione dell’obiettivo bistatuale. Abbas, da parte sua, sembra non perseguire più l’obiettivo dei due Stati attraverso il negoziato con Israele. L’obiettivo di Abbase del premier palestinese Salam Fayyad, sembra essere la realizzazione delle premesse in termini economici, di sicurezza e di governance, per la creazione de facto dello Stato palestinese.UnoStato che, forte del riconoscimento internazionale, negozierebbe poi con Israele. Una strategia che, come scrive Roberto Aliboni, sottrarrebbe Abbas al discredito del possibile fallimento dei negoziati con Israele e al rischio di compiere atti che potrebbero delegittimarlo agli occhi dell’opinione pubblica palestinese e favorire Hamas. Si tratta tuttavia di una strategia irrealistica Chi sarebbe disponibile al riconoscimento di una entità statale palestinese proclamata su basi unilaterali? In realtà la via maestra da seguire, al punto cui è giunta la situazione, resta ancora quella di riavviare il negoziato affrontando subito le questioni di sostanza: Gerusalemme, frontiere, coloni, insediamenti, sicurezza, acqua.Unnegoziato da concludere con la nascita di uno Stato palestinese indipendente, democratico e governabile, che viva accanto, in pace e sicurezza con Israele. Perdurare nel conflitto non è una soluzione. Israele deve rendersi conto che, come scrive Benny Morris, gli insediamenti nei territori occupati «hanno aggiunto un ulteriore strato di ostacoli a ogni possibilità di suddividere la terra in due Stati in grado di funzionare ». E tuttavia, soluzioni diverse non ci sono. L’idea che dopo 120 anni di guerra israeliani e palestinesi possano condividere pacificamente il potere anche solo in una cornice confederale risulta inaccettabile alla maggior parte degli ebrei israeliani e alla maggior parte degli arabi palestinesi. Néappare praticabile che i territori palestinesi entrino a far parte di uno Stato palestino-giordano che unisca il grosso della Cisgiordania, Gerusalemme Est e l’attuale regno di Giordania. Soluzione cui si oppongono sia i palestinesi sia il regime hashemita. In realtà, malgrado tutte le difficoltà, l’idea di creare uno Stato per i palestinesi che viva in pace con lo Stato degli ebrei rimane l’unica, solida base morale e politica per una soluzione che offra, per citare ancora Benny Morris, «almeno un po’ di giustizia e quindi una possibilità di pace per entrambi i popoli». È in questa direzione che occorre riprendere a lavorare. C’è una minaccia concreta da affrontare: l’oltranzismo dell’attuale leadership iraniana. Non a caso sono i vertici militari americani, a cominciare dal generale David Petraeus, a ritenere che l’impasse nel conflitto israelo- palestinese sia negativo per gli interessiUsa nella regione. Guai a dimenticare infine che, con il trascinarsi della situazione, può prendere corpo una nuova intifada. Non vi sarebbe più spazio per il negoziato in quel caso. La parola tornerebbe alle armi e alla violenza aperta.

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lettere@unita.it

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