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Rassegna Stampa
21.03.2010 Fassino, con degli amici così chi ha più bisogno di nemici ?
Il compito di Israele è obbedire

Testata:
Autore: Umbeerto De Giovannangeli
Titolo: «Medio Oriente, la pace è possibile ma non si perda altro tempo»

Sull'UNITA' di oggi, 21/03/2010, a pag.34, Umberto De Giovannageli intervista Piero Fassino sulla situazione mediorientale, con il titolo " Medio Oriente, la pace è possibile ma non si perda altro tempo ".
Piero Fassino viene considerato, sin da quando i DS si chiamavano ancora PCI, "amico degli ebrei", una qualifica ambigua che disegna però bene il personaggio. Si può essere amici, e nello stesso tempo esserlo dei nemici, come dimostra l'intervista di Udg, quanta cautela nello sfiorare le responsabilità della parte araba, e quanta certezza nell'indicare a Israele come deve comportarsi. In pratica accettare quanto impone il Quartetto, la Lega Araba, Abu Mazen ecc. Il tutto condito con i soliti richiami al dialogo,alla pace, la speranza.. neanche fosse il Papa nel sermone domenicale.
Una intervista che non dice nulla di nuovo, tranne imporre a Israele di obbedire.
Con degli amici così, chi ha più bisogno di nemici ?
Ecco l'articolo:


Piero Fassino

Il Medio Oriente tra venti di guerra e crisi diplomatica. L'Unità ne parla  con Piero Fassino, inviato del Consiglio d'Europa per il Medio Oriente e responsabile esteri del Pd.
Qual è la sua lettura del momento?
«Ancora una volta il Medio Oriente è a un passaggio critico. Un nuovo incendio rischia di bruciare le speranze di pace. È urgentissimo uscire dall'impasse prima che la situazione si deteriori inmodoirreversibile. Nonostante in queste ore prevalga il pessimismo, abbiamo tutti il dovere di non disperdere le opportunità maturate in questi mesi: c'è una grande determinazione di Obama e dell'amministrazione Usa che, dopo anni di attendismo, ha ripreso con vigore la mediazione; c'è il ritorno sulla scena del Quartetto (Usa, Ue, Onu, Russia) con un impegno esplicito a favorire una pace entro due anni. C'è da mesi una presenza attiva della Lega Araba che con la proposta del piano di pace di Beirut del 2002 testimonia la volontà di dare una soluzione al conflitto israelo-palestinese. E perfino guardando ai protagonisti ci sono atti che non vanno compromessi...».
Quali sarebbero questi atti?
«Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, nel giugno scorso, ha accettato il principio “due popoli, due Stati”, e ha riconosciuto la legittimità del diritto dei palestinesi ad avere una patria. E il governo israeliano ha deciso il congelamento degli insediamenti in Cisgiordania. Sono fatti certamente positivi i risultati ottenuti sia in campo economico sia nella sicurezza dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen e dal primo ministro Fayyad..». Però regna il pessimismo...
«Sì, questo scenario rischia di essere compromesso e vanificato dalla decisione del governo israeliano di proseguire gli insediamenti a Gerusalemme Est. Nessuno ignora il valore identitario che Gerusalemme ha per gli ebrei. Ma non può neanche essere ignorato che nei secoli si è affermata a Gerusalemme una presenza araba che non può essere sradicata o ghettizzata. Nel futuro di Gerusalemme c’è il suo carattere plurale. In ogni caso, il destino di Gerusalemme - così come i confini tra Israele e lo Stato palestinese, la sorte degli insediamenti, l'eventuale ritorno dei rifugiati palestinesi - devono essere oggetto di negoziati. Ma nessuna trattativa è possibile se invece a prevalere è quella strategia dei fatti compiuti che rende impossibile approdare a soluzioni soddisfacenti per entrambe le parti, e si mina quel rapporto di fiducia senza il quale nessun accordo è possibile ».
Se così è, cosa fare?
«Occorre intensificare gli appelli a Netanyahu e al governo israeliano perché accolgano le richieste del presidente Obama, del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, dell' Unione Europea, del Quartetto e di molti Paesi: sospendere ogni ulteriore insediamento a Gerusalemme Est, riavviare un negoziato con i palestinesi. Riaprire gli accessi a Gaza per permettere gli aiuti umanitari e tutto ciò che può alleviare le sofferenze della popolazione palestinese ».
A complicare il quadro ci sono le divisioni in campo palestinese...
«Certo, lo scenario è reso più precario dalla decisione di Hamas di non sottoscrivere l'accordo che, con la mediazione egiziana, è stato negoziato tra Al Fatah e Hamas, e che Abu Mazen ha invece accettato. Il campo palestinese continua a essere diviso in due entità e questa frattura indebolisce il presidente Abu Mazen, offre ad Hamas spazi per la sua azione destabilizzante, e rende più difficile un percorso negoziale».
Ma è pensabile un negoziato che tagli fuori Hamas?
«Occorre che i dirigenti di Hamas si persuadano ad accettare che Israele esiste e che con Israele bisogna negoziare. C'è il piano di pace della Lega Araba, più volte ribadito dai Paesi arabi in questi anni: convincere Hamasad accettare questo piano sarebbe un fatto nuovo che consentirebbe la riconciliazione nel campo palestinese e potrebbe rendere più facile la ripresa di un cammino negoziale con Israele. La comunità internazionale dovrebbe verificare questa possibilità ».
C'è poi il quadro regionalea complicare ancor più lo scenario...
«Sulla crisi israelo-palestinese pesano i conflitti dell'intera regione: il dossier iraniano, perché Teheran è il capofila della linea intransigente che boicotta ogni negoziato; il precario equilibrio dopo le elezioni libanesi; il contenzioso tra Israele e Siria sul Golan. Per non parlare della crescita del radicalismo islamico che, dai Pasdaran iraniani agli Hezbollah libanesi, dai Fratelli musulmani egiziani ad Hamas, è una presenza destabilizzante. È necessario cercare una soluzione politica al dossier iraniano, va favorita la stabilizzazione del Libano sostenendo il nuovo governo di Saad Hariri. E l'avvio di colloqui fra Israele e Siria, appoggiando l’intenso lavoro diplomatico Usa. Certo è che il tempo non lavora per la pace, anzi. Perciò bisogna agire adesso, convincendo il governo israeliano a compiere quegli atti che sblocchino la situazione. La comunità internazionale deve mantenere unaforte e costante pressione, e l'Italia deve sostenere in modo esplicito e con convinzione l'iniziativa del Quartetto e dell'Unione Europea»

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