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Rassegna Stampa
28.01.2010 Democrazia nel futuro Stato palestinese
Perchè non provare a metterla in pratica già da ora?

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Io governatrice sogno la parità delle donne nella mia Palestina»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 28/01/2010, a pag. 31, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Laila Ghannam, leader dell'Anp, dal titolo " Io governatrice sogno la parità delle donne nella mia Palestina ".

Laila Ghannam, che nei giorni scorsi, è stata scelta per guidare l’amministrazione locale di Ramallah, dichiara, riguardo al futuro Stato palestinese : " Guai se dopo aver combattuto contro l’occupazione israeliana finissimo per dar vita ad uno Stato autoritario, ad un regime di polizia. I diritti non sono un optional ma un punto fermo, il pluralismo una ricchezza e non un fardello. E mi creda siamo in molti a pensarla così ". Discorso condivisibile. Ma, per ora, non messo in pratica. Nè a Gaza nè in Cisgiordania i palestinesi conoscono i diritti e la democrazia. Come mai? E' necessario aspettare di avere uno Stato per metterli in pratica? Per ora, l'unica cosa messa in pratica con impegno è l'odio per Israele.
Ecco l'intervista:


Islam democratico ?!?

Ese l’alternativa ad AbuMazen e alla vecchia nomenklatura arafattiana fosse «rosa»? Se così fosse, e sono in molti, specie tra i giovani palestinesi,ad auspicarlo, l’alternativa più credibile ha già un nome: Laila Ghannam. Nei giorni scorsi, è stata scelta per guidare l’amministrazione locale di Ramallah, attuale capitale di fatto dei palestinesi, la prima donna-governatore dell’Autorità nazionale palestinese. Laila Ghannam appartiene alla nuova generazione dei 40-50enni in ascesa nei ranghi di al-Fatah, il partito fondato da Yasser Arafat e oggi guidato da Abu Mazen. «Lamia nomina – dice a l’Unità – è ancheunriconoscimento al ruolo che le donnepalestinesihannoavuto e continuano ad avere nella resistenza all’occupazione israeliana, e al tempo stesso è il segno che quella palestinese è una società realmente plurale». La prima governatrice dell’Anp. Come ci si sente in questo ruolo? «Orgogliosa e al tempo stesso consapevole della responsabilità. So che le aspettative sono molte...». Aspettativemaanche diffidenza verso la prima donna chiamata ad un compito di questa rilevanza. «In questi anni, noi donne palestinesi abbiamo lottato per liberarci da una doppia oppressione: quella dell’occupante israeliano, un’oppressione di cui il “muro dell’apartheid” è l’espressione più netta, asfissiante...Ma noi donne palestinesi ci siamo battute e continuiamo a batterci per realizzare una società aperta, plurale, fondata sulla parità tra uomini e donne. Una parità che sia tra i pilastri del futuro Stato di Palestina». Cosa possono portare le donne in questo sogno nazionale? «La nostra concretezza. Uno spirito costruttivo che è vissuto anche negli anni più duri dell’Intifada. Penso, ad esempio, alle tante maestre, insegnanti che quando le forze di occupazione israeliane decretavano il coprifuoco e chiudevano per settimane o mesi le scuole, facevano lezione nelle case, nei garage...Costruivano laddove altri distruggevano. È una lezione straordinaria che a molte donne hanno pagato con la loro vita». Il suo discorso sulla parità farà inorridire gli integralisti di Hamas. «Non c’è scritto da nessuna parte che l’Islam sia sinonimo di emarginazione della donna, di subalternità codificata, di oppressione sessista. Nel mondo arabo e musulmano ci sono tante donne che hanno dimostrato di avere capacità per governare un Paese. Ed erano, sono donne musulmane, orgogliose di esserlo». Lei fa parte della nuova generazione di Al Fatah, la generazione formatasi nella prima Intifada, la «rivolta delle pietre». «Fu innanzitutto una rivolta di popolo che riportò al centro dell’attenzione internazionale la causa palestinese. Quel carattere di massa si è perso nel tempo, non solo per l’inasprimento della repressione israeliana, ma è uno spirito che va recuperato: ognuno può fare la sua parte, dare il proprio contributo nel resistere all’occupazione e nel gettare le basi per un futuro degno di essere vissuto.Unfuturo da donne e uomini liberi in uno Stato indipendente di Palestina ». LeiparladiunoStatodi Palestinaindipendente. Ma sarà anche uno Stato di diritto? «Dovrà esserlo. Guai se dopo aver combattuto contro l’occupazione israeliana finissimo per dar vita ad uno Stato autoritario, ad un regime di polizia. I diritti nonsonounoptional ma un punto fermo, il pluralismo una ricchezza e non un fardello. E mi creda siamo in molti a pensarla così». Nelgennaio2006Hamasvinsele elezioni legislative. Molti imputarono quel successo ad un voto di protesta contro Fatah, e l’Anp. «In quel voto c’era la delusione verso una linea negoziale che non aveva dato alcun risultato concreto, e questo principalmente per responsabilità d’Israele se, le cui chiusure hanno alimentato Hamas. Ma certo, quel voto era anche il segno di un distacco tra la dirigenza di Fatah e la gente, l’incapacità di rappresentarne appieno le aspettative, di coglierne le critiche soprattutto per ciò che concerne la trasparenza nell’amministrare. C’era bisogno di un cambiamento, anche generazionale, e su questa strada ci siamo mossi. In fondo, anche la mia nomina ne è una riprova». Da palestinese, come valuta il primo anno di presidenza di Barack Obama? «Obamaha suscitato grandi aspettative con i suoi discorsi sul “Nuovo Inizio” e per l’impegno dichiarato di voler porre la questione palestinese tra le priorità nella sua agenda internazionale. I risultati non sono stati all’altezza delle aspettative. Ma la speranza non è venuta meno ». Quale potrebbe essere un atto concreto capace di ridare corpo a questa speranza? «Un duplice atto: lo stop agli insediamenti israeliani in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, e la fine del blocco a Gaza. Le due cose si tengono, perché il popolo palestinese è uno solo come unico sarà lo Stato di Palestina».

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