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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Rassegna Stampa
14.10.2009 Salam Fayyad assicura lo Stato ai palestinesi nel 2011
E' sicuro di aver capito come fare ?

Testata:
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Pronti nel 2011 a fondare lo Stato di Palestina»

Riportiamo dall'UNITA' di oggi, 14/10/2009, a pag. 26, l'intervista di Umberto De Giovannangeli a Salam Fayyad dal titolo " Pronti nel 2011 a fondare lo Stato di Palestina ".

Fayyad ha molto apprezzato le dichiarazioni di Ada Yonath (intervista di Udg criticata da IC il 12/10/2009) sulla necessità di liberare i terroristi palestinesi detenuti nelle carceri israeliane : "La dottoressa Yonath ha provato a calarsi nella psiche di quei giovani palestinesi, cogliendone la disperazione, la mancanzadi prospettive che li porta a gesti estremi, distruttivi ". I loro " gesti estremi e distruttivi " sono stati provocati dall'indottrinamento e dalla propaganda degli arabi, contrari all'esistenza di Israele. La "mancanza di prospettive" ha poco a che vedere con il terrorismo islamico.
Sulla marcia della pace organizzata da Flavio Lotti, Fayyad dichiara : "
Una iniziativa lodevole, condotta da persone che conoscono molto bene la realtà palestinese, impegnate attivamente in importanti progetti di solidarietà in Cisgiordania e a Gaza. A loro ho ribadito un diritto e un impegno ai quali dobbiamodedicare ogni nostra energia. Abbiamo il diritto di lavorare per fare sviluppare la nostra terra e lo Stato di Palestina.(...)Èquesta la risposta migliore, più incisiva alle avversità determinate dall’occupazione israeliana...". Nessuno vieta ai palestinesi di lavorare la terra e alla fondazione del loro Stato. Tanto meno Israele che, anzi, è interessato alla fine del terrorismo arabo e alla nascita di uno Stato palestinese. E' il terrorismo a remare contro questi progetti, non lo Stato ebraico.
Fayyad, riferendosi alle condizioni necessarie per la pace, sostiene che esse sono : "
Il blocco degli insediamenti. Lo stop totale alla politica di colonizzazione da parte d’Israele". Gli insediamenti illegali vengono smantellati. Per quanto riguarda gli altri, non sono definibili tali, in quanto si tratta di vere e proprie città israeliane, nelle quali la popolazione aumenta. Ed è naturale che, con la crescita della popolazione, aumentino le abitazioni.
Nell'elenco delle cause che minano la pace, mancano il terrorismo palestinese, il mancato riconoscimento di Israele come Stato ebraico, le assurde pretese degli arabi su Gerusalemme. Ma Udg si guarda bene dal chiedere spiegazioni a Fayyad. Ecco l'intervista:

 Salam Fayyad

Ho molto apprezzato le parole della dottoressa Yonath. Con grande sensibilità ha affrontato una questione cruciale: quella delle migliaia di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane. Si tratta di una ferita aperta in ogni famiglia palestinese, cercare di lenirla è un contributo importante alla ricerca diuna pace giusta, stabile, tra palestinesi e israeliani». A sostenerlo è il primo ministro dell’Autorità nazionale palestinese, Salam Fayyad. Nei giorni scorsi, il premier palestinese ha incontrato a Ramallah una delegazione dei partecipanti alla Marcia della pace: un’azione di diplomazia parallela tutta della società civile italiana, sotto l’egida del Coordinamento degli Enti locali per la pace, le Ong italiane e la Tavola della pace. Una iniziativa pienamenteriuscita che dimostra l’efficacia della «diplomazia dal basso».
Signor primo ministro, in unai ntervista a l’Unità e in dichiarazioni alla radio militare israeliana, la premio Nobel per la Chimica, la dottoressaAda Yonath, ha perorato la liberazione dei palestinesi incarceratidaIsraele.
«Si tratta di una presa di posizione importante, nobile. La dottoressa Yonath ha provato a calarsi nella psiche di quei giovani palestinesi, cogliendone la disperazione, la mancanzadi prospettive che li porta a gesti estremi, distruttivi. Ridare loro un futuro è il modo più incisivo per contrastare la violenza».
Nel futuro da Lei tratteggiato c’è la costruzionediunoStatoindipendentedi Palestinaentroil2011.Èunaprospettiva realizzabile?
«È un impegno che stiamo già attuando. Il governo palestinese non aspetterà la fine del negoziato per realizzare lo Stato di Palestina. Noi stiamo già lavorando a una piattaforma che intendiamo attuare entro il 2011, l’anno di fondazione. Dobbiamo essere consapevoli che è nostro compito realizzare le basi di questo Stato: le basi economiche, innanzitutto. Abbiamogià perso troppo tempo. Invece dobbiamo agire prestando maggiore attenzione a quel che accade sul territorio, alle sofferenze e alle difficoltà del nostro popolo. Così peraltro si rafforza l’autorevolezza di una classe dirigente».
Un impegno da Lei rilanciato nell’incontro con i protagonisti della Marcia per la pace.
«Una iniziativa lodevole, condotta da persone che conoscono molto bene la realtà palestinese, impegnate attivamente in importanti progetti di solidarietà in Cisgiordania e a Gaza. A loro ho ribadito un diritto e un impegno ai quali dobbiamodedicare ogni nostra energia. Abbiamo il diritto di lavorare per fare sviluppare la nostra terra e lo Stato di Palestina.Un diritto da coltivare giorno per giorno. Un impegno al quale nessun palestinese deve sottrarsi. Dobbiamo arrivare preparati all’appuntamento e con uno Stato che funziona. Èquesta la risposta migliore, più incisiva alle avversità determinate dall’occupazione israeliana... ».
Qualcuno potrebbe dire: ecco il Fayyad tecnocrate...
«Non lo ritengo un insulto. Lo Stato di Palestina avrà bisogno di persone preparate, capaci, che sappiano rispondere alle aspettative della gente. Dobbiamo pensare e agire sempre più come classe dirigente di uno Stato in formazione. So che è difficile farloquando sei costretto allo stesso tempo a resistere ad una occupazione. Ma è un passaggio obbligato. Non ho alcuna remora a utilizzare termini quali merito, efficienza. L’Anp deve essere più efficiente, deve essere in grado di erogare servizi migliori in tutti i settori. Non siamo all’anno zero: già esistono ambiti dell’amministrazione pubblica ad altissimo livello».
Costruire le fondamenta di uno Stato che non c’è. Una constatazione che ci riporta al presente.Unpresente caratterizzato dallo stallo del negoziato israelo-palestinese.Lamissionedell’inviato speciale Usa, il senatore Mitchell, si è conclusa con unnulla di fatto. Qual è, l’ostacolo principale da rimuovere?
«Il blocco degli insediamenti. Lo stop totale alla politica di colonizzazione da parte d’Israele. Il presidente Abbas (Abu Mazen, ndr) lo ha ribadito con grande forza nel suo incontro a Washington con il presidente Obama: lo stop agli insediamenti non è una concessione fatta ai palestinesi, tanto meno una pregiudiziale da noi posta per la ripresa delle trattative...».
Se non è tutto questo, cos’è?
«È il rispetto del diritto internazionale che Israele continua a violare ostinandosi a non voler congelare gli insediamenti nei territori palestinesi».
Unostop richiestoanchedall’Amministrazione Obama e dall’Unione Europea. «Apprezziamo queste prese di posizione ma i fatti purtroppo non vanno nella stessa direzione. Israele resta fermo sulle sue posizioni: a parole, il primo ministro Netanyahu afferma di essere pronto a trattare, nei fatti continua a portare avanti una politica unilateralista, quella dei fatti compiuti, per cui alla fine il negoziato viene svuotato di ogni contenuto. È necessario fare un bilancio di questi 16 anni di negoziati, e riconoscere che la costruzione di insediamenti continua, come la costruzione del muro, la confisca delle terre dei palestinesi, la demolizione di case a Gerusalemme».
Fin qui abbiamo parlato dello stallo del negoziato con Israele. Ma le cose non sembrano andare meglio nel dialogo interpalestinese. L’accordo di riconciliazione con Hamas continua a slittare. Lei si sente un premier dimezzato?
«No,misentoun primo ministro consapevole che la spaccatura interna indebolisce la causa palestinese. Il dialogo deve andare avanti ma ciò non deve impedire di proseguire nel nostro lavoro».
Signor primo ministro, se dovesse sintetizzare in un concetto, il senso della sua sfida, quale userebbe?
«Mettere fine all’occupazione, nonostante l’occupazione. Una sfida la cui posta in gioco è la realizzazione di un sogno collettivo: lo Stato indipendente di Palestina».

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