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L'Espresso Rassegna Stampa
23.02.2009 Il kibbutz raccontato da Amos Oz
di Wlodek Goldkorn

Testata: L'Espresso
Data: 23 febbraio 2009
Pagina: 16
Autore: Wlodek Goldkorn
Titolo: «Nel kibbutz con Amos Oz»

Riportiamo dall'ESPRESSO di oggi l'articolo " Nel kibbutz con Amos Oz " di Wlodek Goldkorn su Amos Oz. Ecco l'articolo:

L'utopia della vita in comune e dell'uguaglianza. L'amore e l'odio. Il fallimento degli ideali. Dal grande scrittore israeliano un magico affresco del suo popolo Nel 1965 Amos Oz aveva 26 anni e faceva il maestro di scuola nel kibbutz Hulda. Undici anni prima aveva lasciato la casa paterna a Gerusalemme, aveva cambiato il cognome da Klausner a Oz (che in ebraico significa forza). Era una specie di conversione, la sua: un'adesione piena a un sogno e un'utopia che pareva essere realizzata, un'utopia di un uomo nuovo che vive in un collettivo dove è abolita la proprietà privata, la circolazione del denaro, dove il lavoro manuale si unisce a quello intellettuale, dove dopo l'aratura dei campi o la mungitura delle mucche, ci si riunisce nella biblioteca per discutere di Freud, Marx e Spinoza. In quel luogo mitico, chiamato kibbutz, vigeva l'uguaglianza assoluta, i pasti venivano consumati in un grande refettorio e i bambini erano cresciuti tutti insieme, fuori dalle famiglie: erano i figli del collettivo, non solo dei genitori. E sempre, nello stesso anno 1965, un giovane di nome Yonatan Lifshitz all'età di 26 anni (la stessa età di Amos Oz all'epoca), decide di fuggire dal kibbutz Granot. Yonatan è un personaggio inventato, così come il suo kibbutz, sito da qualche parte in Galilea, ed è il protagonista di 'Una pace perfetta', uno dei romanzi più belli, meglio costruiti e di una scrittura trasparente e insieme ricca, del grande romanziere israeliano. Pubblicato nel suo Paese nel 1982, il libro esce ora in Italia da Feltrinelli, ma per una strana coincidenza degli eventi (o un capriccio della storia) è un testo quanto mai attuale. Il tema di 'Una pace perfetta' è il disincanto, o meglio il fallimento di ogni utopia e di ogni illusione di un sionismo socialista, umanista, laburista, capace di costruire un essere umano generoso, altruista, dedito al bene collettivo, scevro dall'egoismo e dalla meschinità. O se vogliamo 'Una pace perfetta' sta a Israele come 'I Buddenbrook' di Thomas Mann stava alla Germania. Là dove Mann costruisce un grande romanzo di famiglia per raccontare la crisi (definitiva) della borghesia e dei suoi valori agli albori del '900, e dove l'elemento autobiografico dà il via alla finzione, Oz narra il tramonto (più modesto, ma non meno drammatico) degli ideali dei padri fondatori di Israele. E anche nel suo caso il richiamo all'autobiografia è palese. Intanto il titolo. 'Una pace perfetta' è un'allusione al titolo originale 'Menukha nekhona' (giusto riposo), che a sua volta è un versetto di una delle più struggenti preghiere ebraiche 'El male rachamim' (Dio pieno di misericordia) recitata come augurio perché l'anima del defunto raggiunga il paradiso, o meglio perché possa avere un "giusto riposo sulle ali della Shekhina": per i mistici la parte femminile di Dio, quella che sta in esilio e vi rimarrà fino all'avvento del Messia. Oz parla invece dei morti viventi, che hanno perso la speranza di redenzione. La storia, come in certi racconti di Cechov, è intimissima, riguarda i rapporti tra persone, il loro vissuto interno, il bisogno e insieme l'incapacità di introspezione. Yonatan dunque è un ragazzo nato e cresciuto nel kibbutz. Ma è un uomo senza qualità. Lavora nella rimessa del villaggio collettivo, è incapace però di aggiustare le macchine agricole, di tenere in ordine il luogo (pieno di pezzi di metallo arrugginiti). Yonatan si annoia. È sposato con Rimona, una donna che a tratti pare inebetita (non lo è), non in grado di esprimere qualunque passione. Oz, in un pezzo di prosa magistrale, descrive la coppia seduta nel soggiorno della loro casetta nel kibbutz: i due incapaci di avere una conversazione e che ascoltano alla radio le notizie di una imminente guerra o la musica di Bach. La loro comunicazione è limitata al silenzioso godere del modesto benessere raggiunto: come una qualsiasi squallida coppia di piccoli borghesi nel vecchio mondo. L'unico ricordo vero, l'unica memoria di un'avventura emozionante che Yonatan prova, è quando rammenta come da militare abbia partecipato alle sevizie sul cadavere di un soldato siriano ucciso in una schermaglia di frontiera. L'unico affetto che Yonatan prova è per il suo cane. L'unico sogno: fuggire. Andarsene in città, o forse nel deserto. Oz, che abita ad Arad nel deserto del Negev, ha confessato una volta in una conversazione, che ogni mattina all'alba parla con le pietre, per avere così a che fare con l'eternità. In questo romanzo, il deserto è un elemento di purezza primordiale, ma anche il luogo in cui Yonatan, per la prima volta nella sua vita priva di ogni significato ed emozione, scopre la vera gioia che dà l'amore fisico. Yonatan è il figlio di Yolek. Yolek è uno dei fondatori del kibbutz. È arrivato in Palestina dalla Polonia negli anni Venti. È stato un leader del movimento laburista, deputato alla Knesset e perfino ministro nel governo. Ora, malandato in salute e alcolizzato, segretario del kibbutz, scrive lettere agli amici e avversari, lettere che non spedisce, piene di rimproveri e risentimento. Uno di questi avversari è il primo ministro Levi Eshkol (un personaggio vero, che fa l'ingresso nella casa di Yolek mentre si reca a visitare i militari sul confine con la Siria). E a Eshkol, in una missiva mai mandata,Yolek confessa il fallimento: suo, come padre; e della loro generazione, come fondatori del movimento e dello Stato. "Abbiamo allevato una generazione di barbari", scrive. E Eshkol, durante la sua visita, dice a Yolek: quando chiedo loro cosa fare con gli arabi, i miei generali hanno una sola risposta: sparare. L'altro oggetto del rancore è Benya Trotsky, che anni addietro aveva sedotto Hava, la moglie di Yolek. Hava a sua volta non sopporta il marito, gli dà dell'assassino, lo eleva alla causa della propria infelicità. E poi, di chi è figlio davvero Yonatan? Di Yolek, l'eroe del movimento, o di Trotsky, il rinnegato scappato in Florida e diventato un magnate, "un capitalista che corrompe i giovani", secondo Yolek? In questo quadro di famiglia si inserisce un ragazzo parolaio, Azariah, che viene da non si sa dove in una giornata di pioggia, dice di essere un idealista, l'ultimo della sua generazione di giovani che non sanno invece che farsene dei valori del kibbutz, e che finisce per sedurre Rimona, la moglie di Yonatan. Sullo sfondo di tutto questo dramma: i fantasmi del villaggio arabo, accanto al kibbutz, un villaggio distrutto nella guerra del 1948, e dove quando si va in gita si ha paura di violare un indicibile tabù. Quando Yonatan finalmente fugge, l'unica preoccupazione del kibbutz è di non dare scandalo, di evitare che sui giornali si parli dei problemi in famiglia del fondatore Yolek, del fallimento del suo figlio Yonatan, dell'incertezza circa la paternità. Perché il kibbutz è solo un inferno piccolo borghese, permeato dall'egoismo, invidia, meschinità, un luogo che riproduce il peggio dell'infelicità familiare (un altro topos di Oz) e che toglie ogni vitalità, ogni capacità di decidere, compresa quella di tentare e compiere un suicidio romantico ed eroico. Oggi, che l'ethos del kibbutz e il progetto laburista sono davvero finiti, e il partito di Barak è a pezzi, sta subentrando qualcosa di molto peggio, qualcosa contro cui Oz, da intellettuale e da attivista politico, si batte. Ma questa è un'altra storia.

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