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L'Espresso Rassegna Stampa
05.12.2008 Che sorpresa, Hamas e Fatah si odiano e si combattono
Paola Caridi dimentica le radici della lacerazione della società palestinese

Testata: L'Espresso
Data: 05 dicembre 2008
Pagina: 105
Autore: Paola Caridi
Titolo: «Kalashinikov e Kefiah»
"Ora è difficile andare anche ai funerali o ai matrimoni, se non si appartiene alla stessa fazione. Non mi sarei mai aspettato che il mio paese potesse diventare un giorno come la Somalia" dichiara una "colomba" di Hamas.
Paola Caridi, alla quale si deve la poco credibile definizione, lo prende sul serio.
Il suo articolo  "Kalashinikov e Kefiah", pubblicato a pagina 105 dell'ESPRESSO del 5 dicembre 2008, descrive gli scontri interni palestinesi come se fossero emersi improvvisamente dal nulla, e non dalla frammentazione violenta della società palestinese dovuta alla rivalità tra contrapposte bande armate, eredità del periodo di Arafat, e da un conflitto politico incentrato sulla possibilità stessa di un negoziato con Israele, Stato del quale Hamas nega apertamente il diritto all'esistenza.

Ecco il testo:

Il viale completamente vuoto e silenzioso. Nessuna macchina, ma anche nessun passante ammesso a percorrere quel lungo nastro grigio di almeno un chilometro. Solo giovanissimi soldati, spalle alla strada, fucile imbracciato e occhi puntati verso le casette che costeggiano il viale della Muqata. Quel pezzo di Betlemme ha un'aria spettrale, quando Abu Mazen passa in città. Come succede al Cairo o ad Amman, ora anche nelle città palestinesi i leader, più ancora dei loro ospiti stranieri, sono circondati da misure di sicurezza eccezionali. La sicurezza è definita la priorità assoluta da Abu Mazen, dall'Autorità nazionale palestinese che governa a Ramallah e in Cisgiordania. E anche dai paesi occidentali che sostengono il presidente palestinese con finanziamenti imponenti, addestramento militare, supporto politico. Così, il viale deserto di Betlemme diventa il simbolo di quello che i soldati palestinesi possono fare, non solo nella città di Gesù Cristo, ma a Ramallah, Nablus. Persino nella roccaforte di Hamas, a Hebron. L'Anp vuole mostrare di avere sotto controllo la Cisgiordania. Così come Hamas, da un anno e mezzo, ha il pieno e diretto controllo di Gaza, un lembo di 400 chilometri quadrati di sabbia e poca terra isolata dal resto del mondo per il blocco imposto da Israele e, a sud, anche dall'Egitto.

È stata proprio la sicurezza uno degli ostacoli insormontabili che hanno fatto fallire i colloqui del Cairo, lo scorso 10 novembre. Perché Hamas aveva chiesto all'Anp di liberare alcune delle centinaia di militanti dentro le carceri della Cisgiordania. Il governo di Ramallah aveva negato di avere prigionieri politici. Invece la Commissione indipendente palestinese sui diritti umani nel suo rapporto di ottobre parla di centinaia di denunce di arresti arbitrari.

Welcome to Palestine, nella crisi peggiore tra Fatah e Hamas. Il timore di una resa dei conti sanguinosa e incontrollabile è costante. Tanto più che il 9 gennaio scade il mandato presidenziale di Abu Mazen, eletto quasi quattro anni fa. La Lega Araba, nell'ultima burrascosa riunione del Cairo, gli ha chiesto di rimanere in carica finché non si troverà un accordo tra le parti. Ma Hamas ha già detto che, dal 10 gennaio, Abu Mazen non sarà più il presidente legittimo, e che lo speaker del Parlamento palestinese (da oltre due anni in un carcere israeliano) dovrà assumere la carica ad interim.

Il nodo è quello delle elezioni, che i consiglieri del presidente più duri contro Hamas, in prima fila Yasser Abed Rabbo, vorrebbero già ad aprile, legislative e presidenziali insieme. Hamas dice di no, perché il Parlamento, in cui ha la maggioranza, scade tra due anni. Ed è difficile capire come Abu Mazen potrebbe imporre le elezioni senza trattare con Hamas che controlla Gaza. C'è dell'altro, a complicare il tutto. Per esempio, la leadership di Hamas all'estero non ha alcuna intenzione di abbandonare la via della rappresentanza politica, scelta nel 2006. "Noi alle prossime elezioni presidenziali parteciperemo. Dobbiamo solo decidere se con un nostro candidato, o sostenendone un altro", dice Osama Hamdan, rappresentante di Hamas in Libano.

Formalmente, dunque, la linea della trattativa non si abbandona. Ma lo spazio d'azione è strettissimo. Perché è lo stesso 'tessuto sociale' a essere slabbrato, come ci ha detto Ahmed Youssef, una delle 'colombe' di Hamas, dal suo ufficio a Gaza City poche settimane fa, prima che Israele proibisse l'ingresso a Gaza a tutti i giornalisti stranieri: "Ora è difficile andare anche ai funerali o ai matrimoni, se non si appartiene alla stessa fazione. Non mi sarei mai aspettato che il mio paese potesse diventare un giorno come la Somalia".

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