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L'Espresso Rassegna Stampa
21.07.2008 Chi ha rotto il cessate il fuoco tra Gaza e Israele ?
in proposito, Barbara Schiavulli segue la versione di un lanciatore di kassam

Testata: L'Espresso
Data: 21 luglio 2008
Pagina: 0
Autore: Barbara Schiavulli
Titolo: «Fino all'ultimo Kassam»
L'ESPRESSO del 18 luglio 2008 pubblica un'intervista di Barbara Schiavulli a un terrorista della Jihad islamica, uno di coloro che violanoil cessate il fuoco tra Hamas e Israele lanciando kassam contro le città israeliane.

Secondo il terrorista è Israele ad aver violato per prima la tregua: "gli israeliani non la rispettano, sparano contro i pescatori e soprattutto non aprono i valichi. Alla nostra gente manca tutto. In due settimane la tregua è stata violata 13 volte da militari di Israele"

In realtà le "violazioni" israeliane sono risposte ai lanci di kassam  ai tentativi di infiltrazione, al contrabbando di armi. Vale a dire che sono risposte, misurate, alle vere violazioni della tregua, che sono di parte palestinesi.

Barbara Schiavulli trova un modo per accennare a queste ultime, senza essere davvero chiara:
" Forse, se i jihadisti non lanciassero razzi, gli israeliani rispetterebbero gli accordi. Ma qui nessuno è in grado di fare il primo passo e di aspettare".

Non c'è nessun "forse". Israele ha rispettato i termini dell'accordo e a Gaza ha soltanto risposto a violazioni da parte dei terroristi.

Si deve anche sottolineare che da Israele carburante, viveri e medicinali continuano ad affluire a Gaza.
Hamas, dal canto suo, requisisce i beni di prima necessità per avere il monopolio della loro distribuzione.
Scrivendo delle condizioni di indigenza dei palestinesi di Gaza, Barbara Schiavulli farebbe dunque bene a spiegarne le cause.

Ecco il testo:

Ho lanciato io i razzi contro Sderot. I primi cinque Kassam contro Israele tre giorni dopo la firma della tregua. Ad Abid quello che succede lontano, a Parigi, dove il presidente Sarkozy festeggia l'Unione per il Mediterraneo e benedice le speranze di pace tra israeliani e palestinesi, non interessa. Si toglie la maglietta e se la strofina sulla fronte sudata. Rimane in canottiera rigirandosi un caffè turco tra le mani. Un ragazzino biondiccio con il pizzetto, un fisico asciutto. Una profonda cicatrice segna la mano. Un'altra più grande scava il piede. Indossa i pantaloni di una tuta bianca con una striscia rossa che corre lungo la gamba. "Combatto da quando avevo sei anni, ora ne ho 24 e sono stato ferito dagli israeliani quattro volte".

Abid è un militante della Jihad islamica, è ricercato per terrorismo da Israele e ora anche da Hamas, impegnata a non far saltare la fragile tregua firmata il 19 giugno scorso da israeliani e palestinesi (da Hamas che ha vinto le elezioni nel gennaio 2006, da Fatah e poi dalla stessa Jihad islamica, l'organizzazione più radicale) e continuamente violata.

I leader palestinesi hanno posto il loro sigillo sul cessate iul fuoco. Ma le frange militari sia di Al Fatah che della Jihad per ragioni diverse non depongono le armi e violano la tregua. Hamas tenta di fermarli, cerca di fare quello che Al Fatah, il partito di Arafat, ha fatto per anni senza riuscirci: ristabilire l'ordine e la legge in un pezzo di terra, la Striscia di Gaza, un'area con un milione di abitanti che mai come ora affonda nella sua stessa immondizia, senza cibo, senza acqua, senza medicine. Ovunque è forte l'odore dei muli che piano piano stanno sostituendo le macchine parcheggiate con i serbatoi vuoti: la benzina viene venduta a sei dollari al litro.

Abid si è dato alla macchia. Dopo che Hamas ha consegnato ai capi della Jihad una lista di 15 nomi: militanti accusati di aver partecipato al lancio di razzi contro Israele. Alcuni si sono arresi alla polizia, altri, come il fratello di Abid e suo cugino, sono stati fermati in mezzo alla strada. "Li hanno portati nella sede della Sicurezza, li hanno legati con le mani appese dietro alla schiena e con una corda li hanno tenuti appesi per ore", racconta Abid mostrando come vengono legati. "Se venissi torturato", continua, "non sopravviverei: soffro di cuore". Poi solleva la canottiera e mostra una lunga cicatrice, questa volta chirurgica, che gli deturpa il petto. Abid non vuole morire così. "Non morirò d'infarto, morirò combattendo", promette. O forse scappando, perché da giorni non fa altro.

Trovarlo non è stato facile, prima siamo dovuti andare dalla madre, poi dal nonno, attraversando viuzze strette e traboccanti di bambini del campo profughi di Jabalia. Abid si sente un topo in quella terra dove ci si può solo nascondere, ma non scappare: da una parte il mare, dall'altra Israele. "Lo so che è stata firmata una tregua", racconta il ragazzo, "ma è una farsa, gli israeliani non la rispettano, sparano contro i pescatori e soprattutto non aprono i valichi. Alla nostra gente manca tutto. In due settimane la tregua è stata violata 13 volte da militari di Israele".

Forse, se i jihadisti non lanciassero razzi, gli israeliani rispetterebbero gli accordi. Ma qui nessuno è in grado di fare il primo passo e di aspettare. È un gioco mortale che va avanti da anni. "Tre giorni dopo la firma della tregua i militari di Tel Aviv hanno ucciso un nostro leader in Cisgiordania. Non permettiamo che ci provochino. Anche per questo non deponiamo le armi. Ma badate bene, non sono contro gli interessi palestinesi, se gli israeliani rispettassero gli accordi, lo faremmo anche noi". Ma per Abid è sempre più difficile agire, trovare una macchina che possa trasportare i razzi, scovare un posto dove lanciarli, perché Hamas pattuglia la frontiera. "Il posto migliore è stare vicino al confine, abbiamo uomini che controllano quelli di Hamas. E appena troviamo un buco ci infiliamo. Più vicini siamo e meglio è". I razzi se li fanno a casa, non costano più di 500 dollari, spesso li lanciano senza neanche la carica esplosiva, solo per fare danni e paura. "I soldi ce li danno i capi", dice Abid, "ma se loro si rifiutano come stanno facendo adesso, allora facciamo una colletta, ognuno dà qualcosa e alla fine mettiamo insieme il necessario per il razzo. Non è difficile, ne ho lanciati almeno 200 in vita mia".

I Kassam volano verso Sderot, un paese di 20 mila abitanti in linea d'aria a un chilometro e mezzo da Gaza. Spesso finiscono nei campi, ma anche nelle case e nei giardini. La gente ha 15 secondi per mettersi al riparo dal momento in cui suonano le sirene. Almeno 13 persone sono morte dal 2001. I residenti vivono nel terrore. "Vivono come viviamo noi", replicano gli irriducibile della Jihad: "Gli israeliani non dormiranno sonni tranquilli se non potranno farlo anche i palestinesi".

Non sono solo i combattenti della Jihad a essere ricercati per il lancio di razzi. Pochi giorni fa i militari di Hamas hanno arrestato quattro uomini appartenenti alle Brigate di Al Aqsa, l'ala armata di Al Fatah. "Se la Jihad viola la tregua per rispondere alle provocazioni degli israeliani, Al Fatah lo fa perché non vuole che noi governiamo, come del resto il mondo occidentale. Da quando abbiamo vinto le elezioni non ci è stata data alcuna possibilità. Dite solo che vogliamo la distruzione di Israele. Io dico che non dobbiamo essere costretti a riconoscerci l'un l'altro, ma si potrebbe vivere in pace", afferma Ihab Hussein Ghusain, portavoce del ministero degli Interni: "Secondo gli accordi per la tregua, Israele doveva progressivamente aprire i valichi per far entrare le merci. Non lo ha fatto. Noi, durante le prime due settimane di tregua, abbiamo arrestato dieci persone, tra le quali anche trafficanti e una guardia del corpo di Dahlan".

Mahmoud Dahlan, capo della Sicurezza preventiva e delfino di Arafat, è considerato ancora uno degli uomini più potenti di Gaza, anche se ora vive per lo più in Cisgiordania dove si sente meno minacciato. I trafficanti, invece, hanno creato un fiorente mercato nero. Attraverso tortuosi tunnel che collegano l'Egitto a Gaza, riescono a far passare di tutto. Una settimana fa uno di loro è stato fermato addirittura con due canguri, due coccodrilli e otto scoiattoli.

Khaled Musa Al Hazar è un sindacalista che si è avvicinato ad Al Fatah dall'anno scorso, quando Hamas ha preso il controllo di Gaza con la forza. Lui è già stato arrestato 16 volte. Racconta: "Mi portano sempre in un posto nella zona degli insediamenti ebraici, mi legano e mi appendono per qualche ora e poi mi rilasciano, sperando di spaventarmi". Bassan Al Hanani, rappresentante di Al Fatah nel campo profughi di Nusseirat, è stato invece trovato morto sei giorni fa con segni di tortura. Al Fatah ha subito accusato le milizie di Hamas.

Abid scruta in continuazione l'orologio. Si sente braccato e se ne vuole andare. Suo cugino Muhammad gli dà una pacca sulla spalla. Lui è contro il lancio dei razzi, è contro la violenza, ma sa di non poter fermare Abid. Dice: "Credo nella soluzione politica, Israele è troppo forte per noi. I razzi sono noccioline". Ha 34 anni e un lavoro. Vengono dalla stessa famiglia, ma hanno preso strade diverse. Abid giura che gli sarebbe piaciuto continuare a studiare: "Ma qualcuno deve combattere. Qualcuno deve morire. Io sono pronto. Non ho sogni. Non ho futuro. Sarò felice di essere un martire e lo sarà la mia famiglia". Si alza, ci saluta, vede la macchina del nostro interprete, una station wagon quasi nuova. "Questa sì che trasporterebbe bene i nostri razzi", commenta Abid aprendosi in un sorriso. n

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